Impressioni di un inverno a Baghdad

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L’Iraq è stato il campo di battaglia di forze in competizione tra loro fin dal rovesciamento di Saddam Hussein da parte della coalizione guidata dagli Stati Uniti nel 2003. Da quel momento i governi iracheni, guidati principalmente dagli sciiti, hanno lottato per mantenere l’ordine e il paese ha goduto solo di brevi periodi di tregua dagli alti livelli di violenza settaria. L’instabilità e il terrorismo di matrice jihadista hanno ostacolato gli sforzi per ricostruire un’economia distrutta da decenni di conflitti e sanzioni, dall’immobilismo della classe politica e dalla corruzione. L’Iraq è al quinto posto per riserve accertate di petrolio. Secondo le stime della Banca Mondiale, nell’ultimo decennio le entrate petrolifere hanno rappresentato oltre il 99 percento delle esportazioni, il 42 percento del PIL e l’85 percento del bilancio del governo. Il settore privato resta però marginale, la disoccupazione è al 23,5 percento e il mercato del lavoro non riesce ad assorbire la forza lavoro potenziale composta dai giovani.

Fonte: Kurdistan24

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Dal punto di vista politico, dopo la caduta del regime di Assad in Siria e l’indebolimento del cosiddetto Asse della resistenza, il premier iracheno Al-Sudani (musulmano sciita) è stato impegnato in una intensa attività diplomatica ad Amman, Baghdad e in Arabia Saudita. Lo scorso 11 dicembre si è recato in visita dal re Abdullah di Giordania e, due giorni dopo, ha ricevuto il segretario di Stato americano Antony Blinken. Una visita non annunciata che, secondo Al-Jazeera, doveva servire a impedire che l’Iran faccia transitare attraverso il territorio iracheno le armi destinate agli Hezbollah libanesi. Dopodiché, il 18 dicembre Al-Sudani ha incontrato Mohammad bin Salman, il principe ereditario saudita. Ufficialmente si è trattato di incontri, di altissimo livello, per discutere il futuro della Siria, la sua integrità territoriale e il rispetto delle sue diversità religiose evitando conflitti settari. In realtà, tutti hanno fatto pressione sul premier iracheno affinché Baghdad si sganci dall’Iran, che nel 2022 gli aveva permesso di andare al potere. In particolare, i funzionari statunitensi e i leader regionali vorrebbero un giro di vite da parte di Al-Sudani nei confronti dei gruppi armati iracheni appoggiati dall’Iran, raggruppati nelle Forze di mobilitazione popolare (di cui ha scritto Eleonora Ardemagni nel volume L’Iraq contemporaneo).

Sono state queste ultime, le Forze di mobilitazione popolare rafforzatesi dopo la sconfitta territoriale dello Stato islamico nel 2017, ad avere arrestato a fine dicembre a Tikrit l’italiano Marco Picillo. Il dottorando in ingegneria aerospaziale al Politecnico di Torino viaggiava su un taxi collettivo diretto a Mosul. A uno dei numerosi posti di blocco, è stato fermato e gli è stato controllato il bagaglio. Nello zaino aveva Bandiere nere. La nascita dell’Isis, il bestseller di Joby Warrick, giornalista premio Pulitzer. Un testo che, a partire dall’analisi degli errori strategici commessi durante e dopo la seconda guerra in Iraq e basandosi su un novero di informazioni confidenziali, ricostruisce la drammatica ascesa di uno dei gruppi terroristici più temuti al mondo. I miliziani che hanno fermato Marco Picillo credevano che il libro fosse un testo di propaganda dell’Isis. Da subito collaborativo, il venticinquenne goriziano non è stato maltrattato e, grazie all’intervento della diplomazia italiana, è stato rapidamente rimpatriato.

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L’arresto di Picillo da parte delle Forze di mobilitazione popolare è il segno tangibile dei timori degli iracheni, e soprattutto degli sciiti, per la vittoria nella vicina Siria dei jihadisti di Ahmed al-Sharaa, meglio noto come Abu Mohammad al-Jolani. Le mosse di al-Sharaa sono monitorate con attenzione dalla leadership di Baghdad. In questi giorni, a far discutere è stata la prima visita del 3 gennaio a Damasco da parte di esponenti di Paesi occidentali da quando Bashar al-Assad è stato deposto l’8 dicembre. A rappresentare i 27 Paesi Ue e le istituzioni comunitarie sono state la tedesca Annalena Baerbock e il suo omologo francese Jean-Noel Barrot, esponenti dei due Paesi europei forse con i maggiori legami, per tradizione storica e presenza di rifugiati siriani, con il Paese mediorientale. Ma se il capo dei ribelli ha salutato con una stretta di mano il ministro Barrot, non ha riservato la stessa accoglienza all’omologa tedesca. Per lei capo chino e mano sul cuore. Un gesto che ha scatenato molte polemiche anche in Germania, ma dietro al quale ci sono anche motivazioni di carattere puramente religioso e culturale.
Non stringere la mano a una donna con cui non si ha un legame di parentela rientra nel codice di comportamento dell’Islam. Al-Jolani non è da biasimare per non avere stretto la mano alla ministra tedesca. A preoccupare dovrebbe essere altro, e stupisce il fatto che l’Occidente lo abbia sdoganato così rapidamente, trasformandolo da leader jihadista a politico ribelle.

A preoccupare dovrebbe essere il fatto che le elezioni si terranno forse tra quattro anni. E poi il cambiamento dei curricula scolastici senza consultare il resto della società siriana, ovvero prima della Conferenza del dialogo nazionale che dovrebbe mettere insieme le diverse comunità della Siria (cristiani e curdi inclusi), ma anche intellettuali e artisti. Nei nuovi curricula sono stati inseriti riferimenti islamici. Per esempio, laddove c’era scritto dell’importanza di difendere la nazione, ora c’è scritto che bisogna difendere l’Islam. Nel programma di scienze sono state cancellate le pagine sull’evoluzione e sul Big Bang. Nel curriculum di storia delle religioni non vi sono più i riferimenti alle divinità venerate prima dell’avvento dell’Islam e le immagini delle loro statue sono state rimosse dai libri di scuola: l’Islam salafita di al-Jolani è iconoclasta. È stata ridimensionata l’importanza della Regina Zenobia, fino a pochi mesi fa considerata un’eroina siriana: prese il potere a Palmira nel 267 d.C. e trasformò il suo Stato in una monarchia indipendente, sfuggendo al controllo di Roma. L’epoca di Assad è stata cancellata, e di pari passo anche le poesie in arabo in onore del padre Hafez e del figlio Bashar al-Assad. Di questi cambiamenti parte dei siriani sono contenti, altri spaventati, soprattutto coloro che sono rientrati in patria dopo tanti anni. E intanto gli iracheni osservano, timorosi che il jihadismo possa tornare anche a casa loro.

Nel frattempo, l’Iraq è diventato hub dell’opposizione sciita in paesi arabi come il Bahrain e l’Arabia Saudita, dove gli sciiti sono stati e sono tuttora vittime di una durissima repressione di regime. Dopo l’esilio in Europa, alcuni dissidenti arabi sciiti hanno preferito tornare in Medio Oriente e hanno scelto l’Iraq in seguito all’invio di emissari a Londra e Parigi da parte dell’allora premier Nouri Al-Maliki (2006-2014) il cui obiettivo era coordinare l’opposizione saudita all’estero. Si tratta infatti, in primis, di cittadini sauditi di fede sciita, provenienti dalla regione orientale dell’Arabia Saudita, che scelgono di frequentare i seminari religiosi della città santa irachena di Najaf. Oltre a costoro, in Iraq sono presenti anche numerosi sciiti del Bahrain, la cui cittadinanza era stata revocata in seguito alle proteste di piazza del 2011. Molti di questi dissidenti sono finanziati e incoraggiati nelle loro attività dall’Iran.
Ma ora questo dato di fatto potrebbe mettere in difficoltà le autorità irachene nel loro tentativo di acquisire maggiori finanziamenti dai Paesi del Golfo persico.

 

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