Al via il ciclo di studi su vino storia e territorio, inseriti nella 19a Rassegna Internazionale Biodivino

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Prima tappa al Castello Chiaramontano di Favara in provincia di Agrigento. Poi, il tema della biodiversità viticola ed enologica sarà discusso anche in Puglia e in Toscana fino ad arrivare al Vinitaly per poi tornare ad Agrigento Capitale italiana della Cultura 2025. Durante l’appuntamento dello scorso 3 gennaio su “Il barone Antonio Mendola e la biodiversità viticola ed enologica italiana”, organizzato dall’associazione Italia Bio nell’ambito di “Bio-ConvItalia – Biologico Conviviale Italiano”, il progetto finanziato dal Ministero dell’Agricoltura, della Sovranità Alimentare e delle Foreste, si sono confrontati numerosi esperti del comparto vitivincolo siciliano. Ciascuno ha portato il proprio contribuito al ciclo di studi su “Vino, storia e territorio”, una delle tante iniziative previste nell’ambito del Biodivino 2025, la 19a edizione della rassegna internazionale dedicata ai vini biologici e biodinamici che, nella tappa di Favara, ha ottenuto il patrocinio del Comune di Favara, dell’Università degli Studi di Palermo e Università degli Studi di Catania, dell’Accademia Italiana della Vite e del Vino, dell’Istituto Regionale della Vite e dell’Olio di Palermo, di Confagricoltura Sicilia e di FederAgri.

Si è partiti da Favara non a caso. È questo, infatti, il centro agricolo che ha dato i natali al barone Antonio Mendola, di cui ha parlato Filippo Sciara dell’Officina di Studi Medievali di Palermo. “Il barone Mendola – ha ricordato Sciara – è stato uno dei più grandi ampelografi europei, con numerose pubblicazioni di importanza europea e citato da moltissimi studiosi anche stranieri, soprattutto francesi”. L’agronomo, viticoltore e ampelografo nato a Favara nel 1828 è noto ai più per avere tenuto a battesimo il Grillo – il vitigno ottenuto dall’incrocio tra lo Zibibbo e il Catarratto – che tanto lustro ha portato al mondo enologico dell’Isola. Un successo che, alla luce dei cambiamenti climatici e delle preferenze dei consumatori, adesso ha bisogno di nuove spinte verso produzioni diversificate e capaci di esprimere al meglio le caratteristiche di territori molto vocati alla viticoltura pur nello loro diversità. “La grande biodiversità enologica e viticola italiana è un grandissimo punto di forza per arricchire il vino di racconto, spirito e anima. Senza il racconto e il collegamento con la storia del territorio, infatti, il vino è soltanto una miscela di acqua, alcol e ceneri”, ha affermato Lillo Alaimo Di Loro, presidente di Italia Bio.

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Non c’è al mondo un paese con una viticoltura ricca come l’Italia dove nel 75 per cento della superficie vitata (660 mila ettari di cui 133 mila in bio) sono presenti ben 80 vitigni. Nei vigneti francesi (quasi 900 mila ettari) sono presenti soltanto 40 vitigni. In altri paesi produttori che non hanno una storia enologica antica (Australia, Usa, Canada, Sud Africa) vengono coltivati in prevalenza da nove a undici dei vitigni internazionali.

“La biodiversità assume una particolare valenza in agricoltura, viticoltura e, in particolare, nella viticoltura siciliana. È importante perché è uno strumento colturale e culturale e i sistemi produttivi, come quelli vinicoli che vivono di coltura e cultura, devono valorizzare la biodiversità esistente. E, in tal senso, la Sicilia è uno scrigno prezioso di biodiversità”, ha sottolineato Rosario Di Lorenzo, presidente dell’Accademia italiana della vite e del vino. Il riferimento è ai cosiddetti vitigni reliquia che negli ultimi anni sono oggetto di studi approfonditi finalizzati al loro recupero e valorizzazione produttiva.

“Le qualità reliquie – ha detto Clara Vitaggio, del Dipartimento di Scienze agrarie, alimentari e forestali Università degli Studi di Palermo – sono una potenziale risposta ai cambiamenti climatici, resistono alle condizioni climatiche estreme e producono vini nuovi, fortemente legati al territorio e possono interessare il consumatore”. Su quelli dell’Etna esiste già uno studio piuttosto avanzato. Ne ha parlato Elisabetta Nicolosi, del Dipartimento DiA3 dell’Ateneo catanese: “I vitigni reliquie dell’Etna sono vitigni molto antichi. Li abbiamo caratterizzato dal punto di vista morfologico, ampelografico e adesso con le microvinificazioni, anche dal punto di vista enologico: siamo di fronte a una grande opportunità per ampliare la piattaforma ampelografica etnea. Questi vitigni, infatti, possono essere utilizzati per la costituzione di vini unici, rari, distintivi del territorio etneo”.

“Ci siamo resi conto che lo sbocco naturale del processo di raccolta delle varietà reliquia deve essere la valorizzazione”, ha aggiunto Filippo Ferlita, dell’Università degli Studi di Messina. “Per questo – ha proseguito – abbiamo riportati questi vitigni antichi nei territorio dove erano stati reperiti realizzando alcuni piccoli campi sperimentali in diversi ambienti dell’Etna. Le prime produzioni sono state micro-vinificate e valutate con l’obiettivo finale di reintrodurli stabilmente nel territorio rendendo così più ampia la piattaforma ampelografica disponibile per i produttori del territorio etneo”.

La parola poi all’Istituto Regionale Vino e Olio i cui tecnici da diversi anni si occupano della salvaguardia della biodiversità viticola. Due i vigneti collezione definiti “banca del germoplasma viticolo siciliano” dove sono raccolte circa sessanta varietà autoctone cosiddette minori o reliquie. “Su questi vigneti – hanno spiegato Antonio Sparacio e Salvatore Sparla – operiamo una serie di osservazioni dal punto di vista viticolo e soprattutto ci occupiamo della valorizzazione enologica: nella cantina sperimentale di Marsala, saggiamo le potenzialità viticole ed enologiche delle varietà. I vini poi vengono proposti ai produttori durante apposite sedute di degustazione con un semplice obiettivo: fare in modo che queste varietà possano essere utilizzate dai produttori anche ai fini commerciali”. Il tutto in un contesto internazionale davvero differente come ha potuto descrivere Gianluca Alaimo Di Loro parlando del panorama enologico internazionale e l’interazione con il paesaggio culturale nelle aree non tradizionali.

La giornata si è chiusa con un wine tasting dedicato ai vini biologici siciliani e curato da Giovanni Giardina, enologo dell’Istituto Vino e Olio. Vini di un certo spessore che esprimono la mediterraneità quelli proposti in degustazione. Nel corso del wine tasting sono stati valutati alcuni vini da vitigni autoctoni con un contenuto di anidride solforosa molto basso. Una caratteristica che consente di fare esprimere in maniera particolare le caratteristiche organolettiche del vino, soprattutto quelle olfattive. Ha spiegato Giardina: “Tra i nostri vini biologici ce ne sono molti che stupiscono i palati più esigenti in tutto il mondo. Ormai i vini biologici non hanno niente da invidiare ai vini convenzionali anzi, hanno una marcia in più perché sono vini provenienti da una agricoltura sana e danno veramente soddisfazione”

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