Quella debordante solidarietà filo-palestinese che ha resuscitato l’antisemitismo in Ue e Usa

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Tra poche settimane, il 27 di gennaio, ricorrerà l’80° anniversario della liberazione, da parte dell’Armata rossa, del campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau (in Polonia ma vicino ai confini con la Germania). In quella data si svolgerà la Giornata internazionale della memoria delle vittime dell’Olocausto promossa dall’Onu, nel 2005, con l’invito agli i Stati Membri a sviluppare programmi educativi per infondere la memoria della tragedia nelle generazioni future e impedire che si ripeta.

Il presidente Sergio Mattarella parteciperà alla cerimonia di commemorazione che si svolgerà in quel campo che dell’Olocausto è divenuto il simbolo. Negli anni scorsi, la commemorazione della Giornata del 27 gennaio (il Parlamento italiano assunse un ruolo di avanguardia a partire dal 2000) ha unito le opinioni pubbliche europee, ben al di là del loro atteggiamento nei confronti di Israele, lo Stato che alla fine del Secondo dopoguerra fu costituito con un voto dell’Onu per dare una patria comune alla popolazione della diaspora dove vivere e progredire in libertà e pace. Uno Stato sovrano è chiamato a compiere scelte ed azioni politiche nell’area in cui è insediato e sul piano dei rapporti internazionali.

È normale che quelle iniziative politiche incontrino approvazione o dissenso. Ma non era mai successo (almeno da molti decenni) che un intero popolo unito da una stessa fede, ma articolato in contrapposte convinzioni politiche dei singoli e delle diverse comunità, nonché perfettamente integrato nella storia e nella vita delle nazioni in cui le generazioni passate avevano trovato accoglienza, fosse ritenuto responsabile in toto delle alleanze e delle politiche adottate ed effettuate dai governi di volta in volta in carica nello Stato di Israele.

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Anche gli alleati e i prosseneti dei nemici dello Stato ebraico hanno manifestato nel tempo, verso gli ebrei sterminati a milioni dai nazisti, quella pietà che non hanno mai sentito nei confronti degli ebrei vivi, nostri contemporanei. In fondo, quanto era avvenuto in quella fredda giornata del 1945 costituiva un titolo d’onore per la gloriosa Armata rossa. Dopo i massacri del 7 ottobre 2023, e la reazione dell’esercito israeliano deciso a venire a capo una volta per tutte dei nemici dislocati sui confini (peraltro con risultati effettivi dopo decenni trascorsi invano nel ricercare invano, attraverso i negoziati, situazioni di pacifica convivenza), quella capacità di distinguere l’ebreo e l’israeliano sembra venuta meno in tutto quel mondo civile che, fino a pochi mesi addietro, rivendicava le sue radici ebraico-cristiane.

Purtroppo una debordante solidarietà filo-palestinese, anch’essa priva di riscontri nella storia recente, ha recuperato dall’immondezzaio della storia la pianta carnivora dell’antisemitismo, resuscitando in Europa e in Usa vere e proprie campagne di persecuzione delle comunità ebraiche. E sono proprio gli Istituti di eccellenza come le università a distinguersi in queste insensate manifestazioni. Già l’anno scorso la giornata del 27 gennaio venne turbata dai Propal al punto di impedire agli ebrei di sviluppare, per ragioni di sicurezza, le loro commemorazioni.  Nulla può essere definito aberrante se non il risorgente antisemitismo camuffato da un moto di solidarietà con i palestinesi, magari agitando le stesse parole d’ordine di Hamas.

Ma così è stato. Vigileremo su quanto accadrà il 27, chiedendo al governo di usare la massimo fermezza e pretendendo che le Autorità accademiche si dimostrino all’altezza della loro funzione. Davanti all’università statale di Milano, lo scorso anno, un gruppo di studenti (che alle successive elezioni per eleggere le loro rappresentanze negli organismi accademici si rivelarono una netta minoranza) affissero un manifesto dal titolo “L’indifferenza è peggiore della violenza” nel giorno in cui l’ateneo conferiva la laurea honoris causa in Scienze storiche alla senatrice a vita, Liliana Segre.

Nel manifesto non si metteva in discussione l’onorificenza per la senatrice, vittima della Shoah, ma si criticava l’ipocrisia di un’istituzione accademica che ricordava gli orrori del passato, voltandosi dall’altra parte di fronte agli orrori del presente. Fino a collaborare alla ricerca bellica su nuovi strumenti con cui uccidere in tutto il mondo e negando il genocidio in Palestina. Le università – concludeva il manifesto – hanno il dovere di fare memoria, e di farla vivere nell’oggi, di fronte ai genocidi del presente. Se non lo fanno, sono complici. Un vero e proprio furto di memoria incistato in un insieme di falsificazioni dei fatti che poi sono dilagate in migliaia di manifestazioni nel corso di tutto l’anno.

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