“Sarà la pietra tombale delle élite”

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“I leader delle un tempo grandi potenze europee tremano a ogni tweet proveniente da Mar-a-Lago”. In un editoriale pubblicato sul Wall Street Journal, l’illustre politologo Walter Russel Mead traccia un quadro impietoso della profonda crisi che colpisce le élite europee, definite incapaci di affrontare le sfide economiche, politiche e strategiche del 21° secolo. Un ritratto triste ma reale di ciò che è oggi l’Unione europea. Politicamente irrilevante e in piena crisi, non solo economica ma anche identitaria, come dimostrano le difficoltà di Emmanuel Macron in Francia, travolto da proteste e instabilità sociale, e la crisi politica in Germania, culminata con le dimissioni di Olaf Scholz. Per non parlare dei vertici della Commissione europea come Ursula von der Leyen e Kaja Kallas.

Mentre Donald Trump si prepara al ritorno trionfale alla Casa Bianca, il futuro dell’Europa appare dunque sempre più precario e incerto, complice una classe dirigente – politica e burocratica – incapace di leggere il futuro. “Il secondo mandato di Trump sarà ancora più dirompente del primo”, scrive Mead, sottolineando che la crescente disparità tra Stati Uniti ed Europa porterà a un cambiamento di equilibrio senza precedenti. “Gli alleati americani in Europa stanno affrontando una realtà scomoda: l’America sarà più potente, mentre loro saranno più deboli e meno influenti di quanto siano stati per decenni”.

Il fallimento dell’Ue

Secondo Mead, l’Europa sta fallendo “il test dell’era digitale,” incapace di produrre nuove tecnologie e aziende all’altezza delle sfide globali. L’abbraccio a politiche climatiche che penalizzano la competitività, il “NIMBYismo” (Not In My Backyard) che soffoca la crescita e sistemi di Welfare insostenibili aggravano il quadro. “L’Europa non genera ciò di cui il 21° secolo ha bisogno”, avverte l’editorialista, evidenziando come i pilastri economici dell’Unione Europea siano sempre più fragili.

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Ma l’editorialista critica la governance politica e strategica del Vecchio Continente, descrivendo un’Unione Europea lenta e incapace di agire con efficacia. “Gli Stati europei, presi singolarmente, sono troppo piccoli per influenzare gli eventi globali. Quando cercano di agire insieme, ottengono risultati al di sotto del loro peso”.

“Europa vulnerabile”

Anche sul piano strategico, la performance europea viene giudicata fallimentare: “L’Europa è più vulnerabile al disordine in Medio Oriente, all’aggressione russa e alle politiche economiche predatorie della Cina rispetto agli Stati Uniti, ma le sue risposte sono insufficienti e mal concepite.” L’esempio della guerra in Ucraina è emblematico: “Quasi tre anni dopo l’inizio del conflitto, l’Europa continua a finanziare Vladimir Putin acquistando energia russa,” scrive Mead, aggiungendo che le politiche green europee hanno aperto la strada a una crescente dipendenza economica dalla Cina, mettendo a rischio settori chiave come l’industria automobilistica. Il risultato, secondo Mead, è che l’Europa dipende dagli Stati Uniti più che mai, ma ha sempre meno capacità di influenzarne le politiche. “I leader delle un tempo grandi potenze europee tremano a ogni tweet proveniente da Mar-a-Lago,” scrive, evidenziando come il ritorno di Trump rappresenti una sfida epocale per l’Europa.

Pietra tombale per le élite europee

Con il passaggio da un’amministrazione Biden, percepita come indulgente verso le debolezze europee, a una più pragmatica amministrazione Trump, il cambiamento sarà traumatico. “Per Biden, andare d’accordo con la Germania era il fondamento di una politica estera intelligente,” afferma Mead, sottolineando come questo approccio tuttavia abbia ignorato i gravi errori strategici tedeschi su Russia, Cina, Iran e difesa. Il politologo americano lancia dunque un avvertimento: “Il secondo mandato di Trump potrebbe segnare la pietra tombale per le élite europee.” Se l’Europa non riuscirà a reagire alle sue debolezze e a ridurre la sua dipendenza dagli Stati Uniti, rischia di perdere definitivamente il ruolo di protagonista nel panorama globale. Un mondo, come suggerisce il titolo dell’articolo del Wsj, “post-europeo”.

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