Per emergere nel campionato italiano una piccola società di calcio deve puntare su un modello di business sostenibile, che aumenti il flusso di ricavi. Potrebbero riuscirci le nuove proprietà straniere, che portano con sé un più forte approccio manageriale.
Il business del calcio
Su lavoce.info abbiamo affrontato più volte il tema del business delle squadre di Serie A, finora concentrando l’attenzione sui club più blasonati, come Inter, Juve e Milan, o su società come l’Atalanta. Abbiamo poi lanciato uno sguardo all’élite europea. Ora, invece, analizziamo situazione e prospettive delle squadre cosiddette più piccole, appena promosse in Serie A o con una lunga tradizione di lotta nelle parti basse della classifica.
L’analisi prende in considerazione il Parma (acquistato dagli americani Krause Group), il Torino di Urbano Cairo e il Como 1907 (della famiglia indonesiana Hartono), anche in virtù delle proprietà dei club. Infatti, i modelli di business diventano gioco forza sempre più globali in un settore che si internazionalizza e si espande.
Per il Parma e per il Torino è stato possibile procedere con la consueta lettura dei bilanci, mentre per il Como (il cui ultimo bilancio disponibile fa ancora riferimento alla stagione giocata in serie B) abbiamo interpellato l’amministratore delegato della società, Francesco Terrazzani.
Prima di spostare lo sguardo sui modelli di business delle tre società, serve una premessa. I ricavi di una squadra di Serie A arrivano principalmente da quattro voci: diritti tv, sponsorizzazioni e merchandising, vendita di biglietti, player transfer. Per quanto concerne il primo aspetto, in Italia la ripartizione dei proventi da diritti tv viene effettuata sulla base di criteri precisi imposti dalla legge Melandri (revisionata poi dalla riforma Lotti). La distribuzione delle risorse provenienti dalla commercializzazione delle partite avviene secondo i seguenti criteri:
– 50 per cento in parti uguali;
– 20 per cento in base al bacino d’utenza (di cui 8 per cento in base alla audience televisiva certificata Auditel e 12 per cento in base agli spettatori paganti);
– 30 per cento in base ai risultati sportivi (di cui il 12 per cento basato sul piazzamento e il 3 per cento sui punti della stagione in corso, il 10 per cento sulla base dei risultati conseguiti negli ultimi cinque campionati e il 5 per cento sulla base della graduatoria formata tenendo conto dei risultati sportivi conseguiti a livello nazionale e internazionale dalla stagione sportiva 1946/1947 alla sesta antecedente a quella di riferimento)
Per caratteristiche di sistema, le società con maggiore tradizione e blasone hanno dunque un vantaggio strutturale sulle altre. Non è nostro scopo criticare il meccanismo, ma indicare il contesto all’interno del quale una squadra più piccola, magari neopromossa, si trova a operare per migliorare non solo i risultati sportivi, ma la sua attività economica.
Una società che cerca di emergere nel campionato italiano deve, più delle altre, puntare su un modello di business sostenibile, teso ad aumentare il flusso di ricavi.
I bilanci di Torino e Parma
Tabella 1
Non si riscontrano grandi diversità tra Torino e Parma per quanto riguarda lo stato patrimoniale, con una differenza di valori probabilmente influenzata dal fatto che il Torino gioca in serie A da vari anni e il Parma è stato promosso la scorsa stagione. L’attivo di bilancio presenta come voce principale i diritti delle prestazioni dei calciatori, come di consueto. Per il Parma arriviamo a 115 milioni e per il Torino a 191.
Guardando alle passività, sono entrambe squadre poco indebitate, in particolare verso le banche. I debiti che hanno sono per lo più con altri club in riferimento alle operazioni di player transfer. Il Torino ha qualche debito non significativo verso l’erario. Il modello è quello di una proprietà che finanzia la società con gli investimenti richiesti.
Tabella 2
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Sul fronte del conto economico, lo scarto tra Parma e Torino costituisce una riprova del meccanismo per la distribuzione dei diritti tv. Se la società granata incamera più di 50 milioni di euro, il Parma del Krause Group ne ottiene poco meno di 3 dopo avere vinto il campionato di serie B.
Non sorprende che la società emiliana sostenga costi più elevati e dunque registri una perdita di circa 80 milioni di euro che, alla luce del contesto descritto, rappresenta l’inizio di un percorso di crescita che sconta il passaggio dalla serie cadetta alla massima serie.
Il Como e la sinergia con la città
Le prospettive di crescita di una società dipendono innanzitutto dai risultati sportivi che, a loro volta, dipendono dai risultati economici. Per questo abbiamo chiesto a Francesco Terrazzani quali sono i pilastri e le linee guida del modello di business di una società come il Como 1907.
Al di là del denaro distribuito dalla Lega, secondo l’amministratore delegato il Como è una società che punta a incrementare negli anni il flusso di ricavi provenienti dalla vendita dei biglietti. Per questo, ha in programma la ristrutturazione dello stadio Sinigaglia e, prima che il progetto diventi operativo, l’aumento dei posti disponibili. La sinergia tra turismo e sport sfrutta poi la location di uno stadio affacciato sul lago e permette di gestire un’hospitality di alta gamma, che fa leva sull’attrazione esercitata dalla città lariana.
Proseguono anche gli investimenti per il potenziamento della squadra, tanto che il Como è una delle società di Serie A che detiene il cartellino del maggior numero di giocatori sotto contratto (senza, dunque, ricorrere a prestiti o altre forme di acquisto differito), da valorizzare in termini patrimoniali.
Il modello di business punta molto, poi, sull’aumento dei ricavi da sponsorizzazioni e merchandising, in un’alleanza tra società, brand e città che, di nuovo, lavori in sinergia con la leva di un turismo molto attrattivo.
Per un campionato più competitivo
Come abbiamo spesso ribadito negli articoli precedenti, una società di calcio professionista è un’azienda molto peculiare. E lo è ancora di più quando il nome è meno blasonato rispetto alle squadre che per tradizione e bacino di utenza dominano il calcio italiano da decenni. Per questo motivo, l’ingresso di proprietà straniere solide va guardato con favore, anche perché potrebbe rappresentare una leva per provare a colmare il gap tra grandi e piccole squadre, grazie anche a un approccio più manageriale. Una maggiore competitività delle piccole renderebbe il campionato di Serie A più divertente.
È un discorso non dissimile da quello che le nostre società più blasonate (Juve, Inter, Milan) portano avanti in Europa, per provare a ridurre le distanze con i giganti dei fatturati (Real Madrid, Manchester City, Bayern Monaco). Dove c’è internazionalizzazione e visione manageriale, c’è competizione e crescita. Senza dimenticare il romanticismo di uno sport che ogni settimana porta milioni di persone allo stadio, ma con il realismo sano di una gestione economica più moderna e aziendale.
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