Trump, Musk e il futuro della democrazia

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Il comprensibile entusiasmo dei giornali e dell’opinione pubblica per la liberazione di Cecilia Sala rischia di far perdere di vista la problematicità del contesto in cui è maturato il successo dell’operazione diplomatica della nostra premier, sulla linea del suo proposito di ridare all’Italia il prestigio che, secondo lei, aveva perduto a livello internazionale.

Un richiamo a tale contesto viene dal fatto che quel successo è stato reso possibile dall’incontro cordiale della Meloni col presidente eletto degli Stati Uniti e dalla voce – subito smentita da Palazzo Chigi – che in questa occasione sia stato stretto un accordo con Elon Musk per aderire al sistema satellitare di SpaceX.

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Ciò che è in gioco, però, va ben al di là delle singole questioni e riguarda la posizione dell’Italia di fronte alla rivoluzione che si è verificata nello scenario mondiale con l’ascesa di Donald Trump al vertice del paese-guida dell’Occidente e del ruolo assunto dal suo ormai inseparabile partner Elon Musk.

Una nuova visione del ruolo internazionale della democrazia

Nel suo primo discorso da presidente eletto, Trump ha fatto delle dichiarazioni che è molto difficile situare nel quadro della prassi delle democrazie occidentali così come finora le si è concepite.

Particolare impressione ha suscitato la sua risposta a un giornalista che gli chiedeva se il suo progetto di annessione della Groenlandia e di riconquista del canale di Panama escludesse comunque l’uso della forza militare. «Non posso dare assicurazioni su nessuna delle due questioni», ha risposto.

Riguardo alla Groenlandia, Trump ha spiegato che gli USA devono ottenerne il controllo per motivi di «sicurezza nazionale», affermando che «nessuno sa se la Danimarca» – lo Stato di cui la Groenlandia fa parte – «ha un diritto legale» su di essa. Ha inoltre dichiarato che la popolazione dell’isola potrà «decidere sull’indipendenza».

Quanto a Panama, nel suo discorso il neo-presidente americano ha giustificato l’ipotesi dell’uso della forza per la sua riconquista dicendo: «Abbiamo bisogno di sicurezza economica, il canale di Panama è stato costruito dai militari, non mi impegno ora a fare questo, ma potrebbe essere quello che dovremo fare», e sottolineando che il canale di Panama «è vitale per il nostro Paese, ora è gestito dalla Cina. Noi abbiamo dato il canale a Panama non alla Cina, e loro ne hanno abusato».

Forse ancora più impressionante è stata la presa di posizione nei confronti del Canada. Il prossimo inquilino della Casa Bianca ha detto di aver l’intenzione di usare la «forza economica» (applicando dazi) nei confronti dello Stato vicino. Ma l’obiettivo è che esso diventi il 51° Stato americano.

«Potremmo liberarci di quella linea di confine costruita artificialmente e sarebbe anche molto meglio per la sicurezza nazionale». Un progetto confermato da fatto che Trump ha pubblicato, sul suo social «Truth», una mappa in cui il Canada far parte degli Stati Uniti.

Il neo-presidente ha anche voluto lanciare un avvertimento al Messico, responsabile, a suo avviso dell’immigrazione irregolare e della penetrazione della droga. «Cambierò il nome al Golfo, lo chiamerò Golfo d’America. Come suona bene!», ha detto.

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Ma i suoi strali sono stati rivolti anche agli alleati della NATO, ai quali ha ribadito la necessità di aumentare le spese per la difesa se non vogliono perdere l’ombrello americano con l’uscita degli Stati Uniti dall’Alleanza. «Se lo possono permettere tutti», ha sostenuto Trump, «ma dovrebbero pagare il 5% del PIL, non solo il 2%».

È la logica del sovranismo: «Ci stiamo avvicinando all’alba dell’età dell’oro dell’America», ha concluso, davanti ai suoi sostenitori in delirio.

Le risposte dei potenziali aggrediti

Siamo davanti a una visione che, secondo la valutazione di un osservatore acuto come Vittorio Parsi, «seppellisce il concetto di Occidente, che è quello invece che ha costruito il mondo del secondo dopoguerra e fino all’altro ieri». Ma che, soprattutto, cancella ogni riferimento al diritto internazionale e al suo fondamento etico, in nome del primato assoluto della «sicurezza nazionale» degli Stati Uniti e dei loro interessi economici.

Le risposte a questo discorso non hanno tardato ad arrivare. «La Groenlandia appartiene ai groenlandesi e non è in vendita», ha avvertito la premier danese Mette Frederiksen, mentre re Frederik ha cambiato appositamente lo stemma reale per inserirvi i simboli di Groenlandia e isole Faroe.

E il ministro degli Esteri panamense Javier Martinez-Acha ha ribadito che la sovranità del Canale di Panama «non è negoziabile (…). Il Canale appartiene ai panamensi e continuerà ad essere così».

Anche il Canada ha risposto alle minacce di dazi da parte di Donald Trump dichiarando che non «farà nessun passo indietro. Le dichiarazioni del presidente eletto Trump dimostrano una totale incomprensione di ciò che rende il Canada un paese forte. Non ci arrenderemo mai di fronte alle minacce», ha dichiarato su X la ministra degli Esteri Melanie Jolie. Poco dopo, il primo ministro dimissionario Justin Trudeau ha aggiunto: «Mai e poi mai il Canada farà parte degli Stati Uniti».

L’appoggio di Musk al neonazismo tedesco

Di questo sovranismo senza regole morali Musk è, da parte sua, il profeta a livello mediatico, con la sua rete di comunicazione appoggiata su 67.000 satelliti, a cui anche l’altro grande padrone del mondo mediatico, Mark Zuckerberg, si è ultimamente allineato, con quella che molti quotidiani hanno definito una «resa» all’ex concorrente ormai onnipotente.

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Perché Musk non è ormai solo un imprenditore, ma un soggetto politico che interferisce, col suo potere economico e mediatico, nella vita interna di vari Stati. Come abbiamo già visto nelle critiche a quei magistrati italiani che ostacolano i progetti del governo italiano in tema di migrazioni.

Recentissime, poi, sono le prese di posizione di Musk a favore di Aletrnative für Deutchland, il partito tedesco di estrema destra, con forti ascendenze neonaziste, che attualmente è in Germania al secondo posto.

In una conversazione di 75 minuti con la candidata alla Cancelleria, Alice Weidel, trasmessa in questi giorni sulla propria piattaforma X – a poco più di mese dalle imminenti elezioni tedesche –, il tecnomiliardario ha collegato la linea di Trump a quella di Alternative für Deutchland: «I tedeschi devono votare per il cambiamento, come hanno fatto gli americani, e per questo raccomando con forza di votare la Afd, è puro buon senso. Solo Afd può salvare la Germania, fine della storia».

La stessa logica che sta portando Musk a sostenere con ingenti finanziamenti l’estrema destra britannica, come aveva fatto con Trump nella campagna per la Casa Bianca.

Siamo davanti, insomma, a un dichiarato progetto politico-ideologico, di cui Trump, negli Stati Uniti, è l’espressione istituzionale – qualcuno, maliziosamente, dice «il braccio» –, e Musk, a livello planetario, quella culturale e finanziaria («la mente» e il «portafoglio»).

La posizione della Meloni

Questo è il contesto in cui si è svolta la celebrata «missione» della Meloni, della cui visita Trump ha peraltro parlato come di un atto di omaggio: «La premier italiana Meloni è volata fin qui per poche ore solo per vedermi».

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Non sono parole che definiscono una partnership e che sembrano piuttosto indicare un vassallaggio. E in effetti uno Stato sovrano non avrebbe avuto bisogno di chiedere il permesso per negare l’estradizione chiesta da un altro Stato. Il fatto è che il sovranismo di quello più potente può coesiste con gli altri sovranismi solo assoggettandoli e capovolgendoli, così in una dipendenza che è il loro contrario.

Certo è che la nostra premier, nella sua conferenza stampa di inizio d’anno, non ha detto una parola di critica al discorso di Trump, che pure ci riguarda direttamente, sia per la parte che concerne l’eventuale attacco militare alla Danimarca, che fa parte sia dell’UE che della NATO, sia per la richiesta di investire il 5% del PIL in spese miliari (l’Italia attualmente non riesce neppure ad arrivare al 2%).

Tanto meno – dopo aver infinite volte ripetuto, per Ucraina e Israele, la condanna verso chi aggredisce e l’appoggio incondizionato all’aggredito – ha fatto un cenno di solidarietà agli Stati minacciati da Trump.

Anzi ha definito il presidente americano «una persona che quando fa una cosa la fa per una ragione» e ha ripreso quasi alla lettera le sue argomentazioni, ricordando che «il canale di Panama fu costruito a inizi del Novecento dagli Stati Uniti, ed è fondamentale per il mercato mondiale e per gli Usa. La Groenlandia» – ha continuato – «è un territorio particolarmente strategico, ricco di materie prime strategiche: sono territori su cui negli ultimi anni abbiamo assistito a un crescente protagonismo cinese. Per il Canada si potrebbe fare un ragionamento simile».

In conclusione Meloni – pur dicendosi personalmente convinta che l’attacco militare non ci sarà – non mette in discussione la nuova impostazione data da Trump e la condivide.

Il futuro della democrazia

Nella sua conferenza stampa la nostra premier ha parlato anche di Musk, sostenendo che «non è un pericolo per la democrazia» e che l’eventuale affidamento della sicurezza delle nostre comunicazioni militari alla rete satellitare Starlink da lui controllata è solo un problema tecnico, che verrà risolto nelle sedi competenti.

Interpellata sul sostegno elettorale dato da Musk ad Alternative für Deutschland, ha risposto che ognuno è libero di esprimere il proprio pensiero. Fingendo di non sapere che Musk non è un qualunque privato, bensì il detentore di un potere immenso che ormai sembra deciso a sfruttare senza scrupoli per un progetto politico in sintonia con quello ex nazista. È saggio mettere il nostro sistema di comunicazione militare nelle sue mani?

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Non sembra eccessivo chiedersi, davanti a questo quadro quale sia il futuro dell’Occidente e, in particolare, dove stia andando il nostro paese. È molto dubbio che il suo prestigio sarà accresciuto dal ridursi ad essere il valletto di un arrogante padrone come Trump o dal mettersi sotto il controllo di Musk, magari in cambio di qualche vantaggio economico. Ma soprattutto è dubbio che, in questo contesto, possa sopravvivere quello che finora abbiamo chiamato democrazia.

  • Dal sito della Pastorale della cultura della diocesi di Palermo (tuttavia.eu), 10 gennaio 2025
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