Serve una geopolitica della gentilezza

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Sono davvero periodi cupi e tristi quando la ferocia viene esibita come un valore, quando il disprezzo della vita altrui – soprattutto la vita dei poveri e dei meno fortunati – diviene un elemento di successo politico. Era lecito aspettarsi il peggio dal ritorno alla presidenza statunitense di un Donald Trump privo di freni inibitori, attorniato da una corte di tecnocrati miliardari insofferenti di ogni regola; e infatti il peggio sembra essere arrivato oltre ogni timore.
Questi primi giorni sono un diluvio di ordini esecutivi, alcuni palesemente incostituzionali, che vanno a minare alcuni dei principi cardine della democrazia americana. Stupisce la brutale crudezza con cui la nuova amministrazione intende trattare i migranti: separare le madri dai figli piccoli, come promesso dal nuovo “zar” della lotta all’immigrazione, Tom Homan; attuare una grande deportazione di donne e uomini, abolire l’automatismo dello jus soli, cardine fondativo della società statunitense: se nasci in America sei americano.
Ma a destare ancor più stupore è l’amara costatazione che tutto ciò venga accolto dai sostenitori repubblicani con grande soddisfazione. La crudele indifferenza verso la sofferenza altrui viene celebrata come una virtù da esibire e da premiare; la brutalità delle politiche, il disprezzo verso chi raccomanda prudenza e solidarietà divengono mosse elettorali vincenti. Sarebbe tuttavia troppo facile ritenere che tutto ciò sia il simbolo di una “malattia” confinata negli Stati Uniti. Perché gli atteggiamenti muscolari, l’arroganza e la violenza del potere sembrano un aspetto comune di un bel pezzo del mondo contemporaneo. Dalla Russia di Putin, che massacra cinicamente i nemici quanto i suoi stessi soldati, alla politica minacciosa di Xi Jiping verso Taiwan e contro ogni dissenso interno; dal premier indiano Modi, il quale ha fatto dell’induismo un’ideologia politica intimidatoria nei confronti delle minoranze cristiane e musulmane, al razzismo messianico dell’ultradestra israeliana che ha impedito per mesi di fermare la sanguinosa guerra a Gaza.
E questa “ferocia della politica” non risparmia l’Europa. I movimenti sovranisti e della destra estrema avanzano quasi ovunque nel Vecchio Continente, con i loro proclami di deportazioni di migranti, frontiere chiuse e intolleranza, speculando sulle paure nei confronti del futuro che ci attende. In Italia hanno comunque pagato i proclami elettorali per un “blocco navale” impossibile giuridicamente e tecnicamente quanto. Che deve fare l’Europa, ci si chiede continuamente, ora che la Russia si fa più aggressiva e che gli Stati Uniti minacciano di rompere quel legame speciale di amicizia e alleanza che rappresentava il pilastro dell’Occidente? In molti spingono per un riarmo massiccio, addirittura si parla di un 5% dei nostri bilanci per la difesa; una cifra iperbolica che assorbirebbe le risorse destinate al welfare. Altri suggeriscono di scimmiottare la minacciosa arroganza di Trump, per costruire una “fortezza Europa”.
Ma snaturare i valori che sono stati alla base della costruzione dell’Unione Europea non sembra essere una cura ragionevole. Una massima di un generale britannico nell’India coloniale recitava: «Dimostriamo a questi selvaggi che possiamo essere più selvaggi di loro». Ecco, questa sarebbe la ricetta per perderci definitivamente. Non si tratta di voler immaginare un Europa incatenata a un buonismo sciocco e velleitario. Dobbiamo rafforzarci? Lo faremo. Dobbiamo essere più pronti a difenderci? Impareremo a farlo. Ma senza rinunciare ai nostri valori fondativi, che ci impongono di prediligere la diplomazia alla forza, la cooperazione agli ultimatum, il sedersi attorno a un tavolo piuttosto che rovesciarlo. Insomma, all’aggressività della politica neo-imperiale di Trump, alla cinica durezza esibita da troppi leader nel mondo, opponiamo una “geopolitica della gentilezza”, che guardi sì ai nostri interessi nazionali e continentali – sarebbe assurdo non volerlo fare – ma senza umiliare o minacciare gli altri. Diventare meno inconcludenti e farraginosi evitando di trasformarci in lupi affamati non deve suonare un’utopia velleitaria, ma il miglior regalo che possiamo fare a noi stessi.

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