Dani García: “Gli chef non sono artisti. Pensate ai conti, non a fare le star” | Ultime notizie

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Foto di copertina: @EFE

Foto nel pezzo: Leña Marbella

L’opinione

Ci siamo sempre sentiti dire “impara l’arte e mettila da parte”. Tuttavia, il monito di Dani García -blasonato chef andaluso dalla fama internazionale- sembra essere ben diverso: “Impara l’arte, ma anche la matematica”. In una recente intervista a Sietes Caníbales lo chef originario di Marbella, con ristoranti in tutto il mondo, ha fatto una riflessione particolarmente analitica. C’è una cosa che tutti dovrebbero capire di questa professione: che tu sia lo chef di un ristorante Michelin o di un tapas bar, hai comunque un’enorme responsabilità. Non sempre tutto va bene. Bisogna cercare di essere il più professionali possibile; questo è un settore scarsamente professionalizzato, dove quasi tutto è intuitivo. In molti “alzano le tapparelle di un ristorante” come se fosse un chiosco in spiaggia improvvisato. La ristorazione è questione di algebra: i numeri sono una questione vitale troppo spesso tralasciata. In questo mondo, quando affronti determinati argomenti, non ti considerano più un creativo, ma io vorrei chiarire che non sono un artista; in qanto cuoco, sono un imprenditore con un business molto complesso in cui i soldi vanno e vengono e dove possono esserci grandi contraccolpi negativi”.

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“Quando entri nel caos del mondo finanziario internazionale, il sistema è spietato.. Si può vincere molto, così come si può perdere tutto. Bisogna sempre considerare le proprie responsabilità; l’arte è, tra virgolette, la cosa meno importante. L’ideale, ovviamente, è raggiungere l’equilibrio tra i due aspetti”. Quello di Garcia è un approccio chiaro e concreto che non vuole sminuire l’importanza del talento e della creatività nel mondo dell’hospitality, ma mira a sottolineare la necessità della sostenibilità economica per sopravvivere. Un modus operandi che chef Garcia adotta nella gestione, ma, soprattutto, nell’ apertura di ogni suo locale.

Dani Garcia 2025 01 07 16 42 23
 

Così, nel caso della recente inaugurazione di Leña a Barcellona, racconta: “Non ho aperto prima un locale a Barcellona perché non me la sentivo. Penso che in molte occasioni sia il sentimento a decidere. A volte si arriva un anno e mezzo o due anni dopo il dovuto, così è accaduto a Dubai, dove le cose vanno benissimo, ma avremmo dovuto aprire almeno due anni prima. A  Barcellona siamo arrivati ​​nel momento giusto. Ogni città, ogni Paese, ogni ristorante e ogni marchio è un mondo a sé da trattare individualmente. Non basta dire: andiamo a Barcellona, ma bisogna domandarsi: Come? Con chi? Investiamo? C’è qualcuno dietro? Sono molti gli elementi che devono intrecciarsi…Tre anni fa in un’intervista dissi che preferivo investire a Madrid piuttosto che a Barcellona e qualcuno si arrabbiò. Ma era così. Adesso è giunto il momento propizio per inaugurare Leña lì”, ha spiegato.

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Un approccio strategico e ben ponderato che nelle situazioni più difficili fa sì che Garcia giochi la “pedina Leña”. “Leña è il nostro format più sicuro. È come giocare in difesa, non è un gioco offensivo. È un marchio molto confortevole per il design degli interni, per l’ambiente, per il menu… Offriamo piatti che possono piacere sia ai commensali gourmet che a quelli con meno interesse per il cibo. Ecco perché nelle situazioni difficili e nelle partite importanti giochiamo con Leña”. Una visione meticolosamente studiata e, ormai, rodata, ma che, allo stesso tempo, risulta  estremamente versatile per adattarsi alle richieste di ogni Paese e mercato.Se penso a Leña Barcellona e a quello a Dubai posso dire che si somiglino per l’80-75%, ma a Dubai, per esempio, non si può cucinare con l’alcol e ci sono alcune questioni che rendono il tutto più complesso, mentre a Barcellona per me è più facile. Conoscere l’ambiente è fondamentale per mimetizzarsi, così come per emergere”.

dani garcia Torta di Rose Lena Marbella 2025 01 07 16 42 23
 

L’entusiasmo e la determinazione per l’espansione dell’impero Garcia è molta, ma i piedi dello chef restano sempre ben saldi a terra, così alla domanda: “Aprirà altri ristoranti a Barcellona?” senza dubitare risponde: “Sarebbe immaturo dire che voglio aprire altri quattro ristoranti qui quando non ho ancora testato le sorti del primo…La cosa più sensata è aprirne uno e se va bene aprirne un altro, come abbiamo fatto in Qatar, a Marbella o a Madrid. Aprire dei locali non è come giocare a Monopoli, è un processo molto più organico di quanto sembri”.





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