«Ed è subito pera», recensione della raccolta di Gino Patroni

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Esistono certi componimenti che, fin dalla prima lettura, non si scordano mai. Rimangono impressi della mente del lettore e, volente o nolente, lo accompagnano per tutta la vita. Possono essere poesie imparate a memoria durante gli anni scolastici, capaci di colpire uno studente piuttosto che l’altro in base alla propria sensibilità. Così nella testa di qualcuno può riecheggiare il Padre, se anche tu non fossi il mio di Sbarbaro oppure «la nebbia agl’irti colli» di San Martino di Carducci.

Ci sono però anche poesie che non si leggono a scuola. È il caso di Gino Patroni e dei suoi mirabolanti epigrammi. È così che la casa editrice Metilene, con un gusto eccezionale verso la parola e il suono, decide di inaugurare la sua collana Aritmie, diretta da Paolo Albani, con Ed è subito pera e altri epigrammi di questo autore purtroppo sconosciuto ai più.

Il valore della brevità

Ed è subito pera e altri epigrammi raccoglie la produzione più significativa di Gino Patroni abbracciando un periodo che va dal 1956 al 1992, anno della sua scomparsa.

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Patroni, originario di Montemarcello, in provincia di La Spezia, ha collaborato per diverse testate giornalistiche e ha scritto anche di cronaca sportiva per la Gazzetta dello Sport. Nonostante un animo tormentato e una vita contraddistinta da periodi di depressione, riesce a trovare nel gioco delle parole una forma di espressione che gli permette di crearsi una voce unica, eccezionale nel panorama italiano.

Fermo sostenitore del genere epigrammatico, Patroni struttura componimenti satirici, arguti, contraddistinti da una decisiva brevità. Un testo che si mostra non solo nel suo intento meramente ironico, ma che cela un velo di malinconia. Una malinconia che, come precisa Monica Schettino nella prefazione, «giace al fondo, negli strati più profondi del carattere e della scrittura […], nasce dalla constatazione che esiste una distanza incolmabile tra quel mondo figurato […] e la vita reale».

Le scorciatoie per la verità

Gli epigrammi di questa antologia, nonostante i calembours e le freddure, rinnegano qualunque superficialità. Il titolo diventa parte integrante del componimento e, come verso a sé stante, dona un senso compiuto a quello che potrebbero essere i contorni di un possibile nonsense. È il caso, ad esempio, di Mensa popolare:

Una
zuppa
di
verdura
ed
è subito
pera.

Nel gioco di linee e colori affiora in copertina proprio una pera, ad opera di Jonathan Calugi. Una pera, servita come misero finale, per un pasto frugale alla mensa popolare, che Patroni frequentava abitualmente, soprattutto nel secondo dopoguerra. Un epigramma che fa il verso al ben più famoso Quasimodo che, però, non sembrerebbe avere apprezzato la sagacia di Patroni. Ma questo è solo un esempio.

Per attestarsi sempre ai riferimenti ad altri poeti della nostra tradizione si può prendere a riferimento anche Infarto in trattoria, parodia di una delle più note poesie di Pavese:

Verrà
la morte
e avrà
i tuoi gnocchi.

Come specifica Giancarlo Fusco, Patroni non si può ridurre al semplice gioco di parole. Certamente, ma anche «i nodi, gli equivoci, gli slittamenti del linguaggio sono, sovente, altrettante scorciatoie verso la verità».

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«Ed è subito pera»: verso l’impulso essenziale

Ogni epigramma di Gino Patroni, per citare Mario Soldati, «è un piccolo sasso gettato in un’acqua ferma e che si propaga in cerchi sempre più vasti, in risonanze ed echi sempre più significativi». Ed è subito pera e altri epigrammi (acquista) è un libro che sorprende per la sua capacità di stupire, donando nuovo vigore a un genere che anche già solo nella seconda metà del secolo scorso aveva visto esempi illustri in Franco Fortini, Ennio Flaiano e Gaio Fratini, per citarne solo alcuni.

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In Patroni, però, c’è sempre una prontezza di spirito, una tensione all’«impulso essenziale», usando le parole di Oreste del Buono. Un’ironia che nasconde sempre in sé una consapevolezza disarmante. Il foraggio di vivere, in sintesi, per usare il titolo di una sua raccolta. Anche perché, come dice l’autore in Limitazione, componimento uscito postumo nel 1994:

Si può
ridere
sino alle lacrime…
Ma
non si può
lacrimare
sino alla risata.

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