Legambiente: “Grave e inaccettabile che il Governo continui ad attingere alle risorse destinate alle bonifiche dell’ex Ilva per far fronte alle carenze di liquidità di Acciaierie d’Italia in AS.
Per quanto riguarda la vendita ex Ilva serve trasparenza. Non si ripetano gli errori del passato: si dia priorità a salute, ambiente e lavoro”
Legambiente ritiene grave ed inaccettabile che il Governo continui ad attingere risorse provenienti dai fondi sequestrati alla famiglia Riva, pari inizialmente ad 1,157 miliardi di euro, destinate alle bonifiche dell’ex Ilva, per far fronte alle carenze di liquidità di Acciaierie d’Italia in AS. Con il decreto-legge approvato ieri, che porta da 150 a 400 milioni, la facoltà di utilizzo a fini di continuità produttiva, vengono infatti sottratte alla bonifica di un territorio martoriato risorse ingenti, tali da incidere sicuramente in modo negativo sulla sua bonifica.
Per quanto riguarda le informazioni sulle offerte pervenute nella procedura di vendita della ex Ilva, dopo il riepilogo iniziale fornito dai commissari di Acciaierie d‘Italia in AS, per Legambiente sono scarse e frammentarie, sostanzialmente riferibili a ciò che le aziende, e specificatamente il gruppo Jindal, hanno ritenuto di rendere pubblico.
“Se da un lato comprendiamo le ragioni del riserbo mantenuto sinora – commentano il presidente nazionale di Legambiente Stefano Ciafani, il presidente di Legambiente Puglia Daniela Salzedo e Lunetta Franco del circolo di Taranto – dall’altro è necessario che vengano forniti ai cittadini di Taranto ed ai lavoratori, sia quelli direttamente alle dipendenze di Acciaierie d’Italia ed Ilva in AS sia quelli occupati nelle aziende dell’indotto, i principali elementi che connotano le tre offerte presentate per l’acquisto del complesso dei beni aziendali. Crediamo sia un atto dovuto ad una comunità che attende con ansia di comprendere cosa avverrà e se finalmente il diritto alla salute ed all’ambiente sarà effettivamente salvaguardato. È inoltre fondamentale far tesoro della esperienza del passato e non ripetere scelte, come quelle che portarono alla gestione Arcelor Mittal, basate sulla prevalenza dell’entità del prezzo d’acquisto rispetto alla salvaguardia dell’ambiente, di cui paghiamo da tempo le conseguenze. Questa volta bisogna dare priorità assoluta alla tutela delle persone, della salute, dell’ambiente e fare in modo che non sia chi lavora nella fabbrica a pagare il conto di oltre dieci anni di decisioni in cui la tutela della produzione dell’acciaio ha prevalso su tutto”.
L’aspetto decisivo – sottolinea Legambiente – deve essere costituito dalla decarbonizzazione del siderurgico, da avviare e realizzare con urgenza, arrivando in tempi brevi, i più brevi possibili, alla sostituzione completa di altoforni e cokerie con forni elettrici e utilizzo del preridotto (DRI). In questo quadro diventa importante stabilire non solo quando il processo arrivi a conclusione, ma anche, in egual misura, le sue tempistiche: quando inizia, quando verrà messo in funzione il primo forno elettrico, quando verranno spenti definitivamente gli impianti che marciano a carbone. Diventa importante stabilire che la tecnologia che verrà utilizzata sia “h2ready”, pronta cioè alla introduzione dell’uso dell’idrogeno quale agente riducente, la sola che può garantire il raggiungimento, nel tempo, dell’obiettivo di una effettiva totale decarbonizzazione. È questa la svolta che Taranto attende da oltre dieci anni.
La tecnologia DRI è già realtà in diverse parti del mondo come l’India e l’Iran. In Europa nuovi impianti alimentati ad idrogeno sono in costruzione in diversi Stati, a partire dalla Svezia, con il modello HYBRIT e la H2 Green Steel, e dalla Finlandia con la Blastr Green Steel.
La decarbonizzazione comporta non solo vantaggi per ambiente e salute, ma anche un miglioramento delle condizioni e della qualità del lavoro all’interno dello stabilimento, cosa che non va trascurata. Essa, oltre che una riqualificazione di una parte consistente dei lavoratori, può richiedere l’utilizzo di un minor numero di occupati diretti, ampiamente compensata però da nuova occupazione nei settori legati direttamente alla produzione di acciaio (fonti rinnovabili, DRI), come sta già avvenendo in Svezia. E’ importante perciò che vengano attivati strumenti, come l’accordo di programma, che non solo assicurino sostegni al reddito, ma che conseguano l’obiettivo di occupare in altri settori le donne e gli uomini che non potessero trovare posto all’interno dell’azienda siderurgica.
In questo senso è essenziale che, dopo un’attesa diventata ormai angosciante, venga finalmente dato il via libera all’utilizzo delle risorse del Just Transition Fund, oltre ottocento milioni di euro, destinati dalla Comunità Europea proprio alla giusta transizione ecologica del nostro territorio. Risorse che vanno spese presto e bene, senza sprecarle, e che costituiscono un volano essenziale per far uscire la nostra economia dalla monocultura siderurgica.
Un grande bacino di nuova occupazione è sicuramente costituito dallo sviluppo delle energie rinnovabili e dalla produzione di idrogeno verde, sia in termini di costruzione di nuovi impianti che di successiva manutenzione degli stessi. La riconversione dell’industria e del settore siderurgico passano, necessariamente, per un incremento ed una veloce transizione del settore elettrico verso le rinnovabili presenti sul territorio nazionale, ovvero impianti fotovoltaici, turbine eoliche e l’idroelettrico. Dal punto di vista occupazionale, con l’adozione della tecnologia DRI, ad un modesto calo dei posti di lavoro nell’industria siderurgica, corrisponderebbe un’enorme graduale crescita di forza lavoro qualificata, che nel 2050 raggiungerà 900.000 addetti, per la realizzazione, gestione e manutenzione degli impianti a Fonti Energetiche Rinnovabili.
Legambiente in questi mesi svilupperà uno studio scientifico proprio su questi temi per metterlo poi a disposizione di tutta la comunità tarantina, delle forze sociali e dei decisori politici.
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