Ariedo Braida: “A 78 anni sogno col Ravenna. Milan, ora i rinforzi. Scudetto? Dico Napoli”

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L’ex d.s rossonero a tutto campo: dal momento difficile dei rossoneri al calciomercato, passando per la lotta scudetto. Con un obiettivo preciso: tornare nel grande calcio

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Quando risponde al telefono sembra chiuso, schivo, come se non avesse voglia di parlare. Poi appena gli nomini il Milan e il mercato, si accende e non la smette più di raccontare storie e dire la sua. Sono parole, ma sembrano batterie. Lo illuminano, lo vedi dallo sguardo. Per Ariedo Braida il Milan vuol dire 30 anni di vita, di storie di mercato, di aneddoti. Fa sorridere che quando ne parla usa ancora il “noi”, come se si sentisse ancora parte della famiglia rossonera. 

Partiamo proprio dal Milan. Come la vede la squadra di Conceiçao? 

“Vedo una squadra alla costante ricerca di un’identità precisa. E che purtroppo non l’ha ancora trovata. Vince grandi partite – vedi il derby, Madrid o la Supercoppa – e poi cade davanti al primo ostacolo. La sintesi del discorso è chiara: bisogna intervenire. Anche perché le mancanze sono evidenti”. 

Dove dovrebbe rinforzarsi per lei il Milan a gennaio? 

“È più un problema di sistema, che di singoli. Certo un difensore sarebbe utile – si parla di Walker – così come un attaccante. Ma si deve lavorare sulla testa, prima di tutto. La squadra è indietro in classifica e ha l’obbligo di provare ad andare in Champions”. 

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Invece per lo scudetto, chi vede favorita? 

“Vedo il Napoli davanti, con Atalanta e Inter un gradino più in basso. La forza della squadra di Conte è il gruppo. Ecco perché non risentirà della partenza di Kvara. E poi non hanno le coppe, un fattore che inciderà tanto. Bisogna fare i complimenti al direttore Manna e a De Laurentiis per il mercato fatto in estate. Lukaku, Neres, McTominay…” 

Parliamo di lei adesso. In 30 anni di Milan ha concluso tantissime operazioni e scovato grandi campioni. Quale è il colpo a cui è più affezionato? 

“Ve ne dico due. Uno è Shevchenko, quello a cui sono più affezionato, e l’altro è Van Basten. Marco fu una vera scoperta”. 

Ce li racconti. Partiamo dall’ucraino. 

“Non era un giocatore sconosciuto, aveva già fatto molto bene alla Dinamo Kiev, ma noi in quel momento storico non potevamo sbagliare. Il centravanti era quindi una grossa responsabilità. Io sono andato a vederlo più volte e, mi creda, faceva delle cose impressionanti. Poi lo vide anche Galliani, ma lì Sheva sbagliò la partita… per fortuna poi Adriano si è fidato di me. Io ad Andriy avevo detto: ‘Vieni al Milan e vincerai il Pallone d’Oro’. E infatti…” 

“È un altro colpo che sento molto ‘mio’. Lo avevo visto al vecchio stadio di Amsterdam e mi aveva colpito. Faceva solo giocate determinanti. Ha presente la sensazione di quando vede una bella donna e scatta qualcosa dentro? Esattamente quello. Possiamo dire un colpo di fulmine”. 

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Per lei il Milan ha rappresentato tantissimo. Trent’anni di vita, sempre al fianco di Galliani. C’è un’immagine che porta nel cuore?

“Il nostro abbraccio dopo Perugia nel 1999. Resterà nella storia. Poi Adriano ha un modo tutto suo di vivere il calcio e le partite. È un uomo passionale con un grande cuore”. 

A proposito di grandi dirigenti. Qualcuno dice che la figura del direttore sportivo è destinata a sparire. Lei cosa ne pensa? 

“Io credo che il direttore sportivo non morirà mai. Sia chiaro, algoritmi e dati sono utili, ma non vinceranno mai contro l’occhio umano. Per me l’uomo resta al centro del mondo. Il giocatore deve darti una sensazione dal vivo. E poi serve qualcuno che abbia competenza nella scelta: un conto è dire che un giocatore è bravo, un altro è puntarci e crederci”. 

Dopo il Milan ha girato un po’ tra Sampdoria, Barcellona e Cremonese. Adesso cosa fa? 

“Ho 78 anni e il calcio ancora mi appassiona. Mi tiene vivo. Ho scelto di sposare il progetto del Ravenna. La speranza è quella di riportare presto il club fra i professionisti. Sarebbe come realizzare un piccolo sogno”.





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