Guerra in Ucraina, Meloni tra pace e alleanze: le prossime mosse dell’Italia

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Ora che Putin ha scoperto alcune delle sue carte, circa la reale volontà di arrivare in breve tempo alla cessazione delle ostilità contro l’Ucraina, per Giorgia Meloni i prossimi giorni si fanno decisamente complessi. Se a Strasburgo, infatti, la delegazione di Fratelli d’Italia aveva giustificato la propria prudenza sulla risoluzione anti-Mosca (su cui si era astenuta) sottolineando gli sforzi di Washington per arrivare al cessate il fuoco e la disponibilità ottenuta da Zelensky per uno stop alle armi di un mese, ora che la Russia continua a tenere un atteggiamento assai ambiguo sul cessate il fuoco, risulta ancor più arduo per Palazzo Chigi tenere tutto assieme, tenendo conto però che gli Usa sono sempre di più i player principali di questa partita.

Da una parte, l’esigenza di continua-re a manifestare lealtà a Kiev, nel contesto degli impegni già presi in Europa, dall’altro non contraddire la linea di piena fiducia alla linea americana di pace a ogni costo. Stavolta, infatti, non si tratta solamente di assumere posizioni di principio: si avvicinano due scadenze ben precise, nelle quali la presidente del Consiglio dovrà fare delle scelte univoche e mettere nero su bianco la sua visione a breve della situazione internazionale e dei passi da intraprendere in merito.

Primo step e primo dilemma: la riunione in videoconferenza dei “volenterosi”, promossa dal premier britannico Keir Starmer per coordinare un’eventuale invio di forze di peacekeeping in Ucraina, per il quale Meloni si è già detta scettica, nel caso non vi fosse una copertura dell’operazione anche da parte degli Stati Uniti. Al momento, la premier sta ancora valutando il da farsi, anche in virtù dei rapporti comunque buoni che intercorrono con Downing Street.

Ma la questione più spinosa a livello politico è certamente quella relativa alla mozione che la maggioranza dovrà mettere a punto all’inizio della prossima settimana, quando Meloni dovrà rendere le consuete comunicazioni alle camere sul vertice europeo previsto a Bruxelles a partire da giovedì prossimo. Il testo, dopo che all’Europarlamento il centrodestra ( oltre ovviamente al centrosinistra) ha assunto praticamente tutto lo spettro delle posizioni possibili sulla risoluzione di appoggio al piano di riarmo di Ursula von der Leyen, non dovrà scontentare nessuno, e l’impresa non appare facile. In primis perché la Lega di Matteo Salvini è alle prese col tentativo dichiarato e spregiudicato di impugnare la bandiera di partito trumpiano d’Italia, e a questo scopo, dopo aver votato no assieme ai Patrioti di Orban a qualsiasi ipotesi di aumento per le spese della difesa Ue, ha già messo abbondanti paletti su ciò che a suo avviso il nostro governo dovrebbe avallare in sede di Consiglio europeo.

Su questo versante, però, gli sherpa del centrodestra stanno già lavorando a un punto di caduta che appare solido, e cioè al cosiddetto “lodo Giorgetti”, il piano di investimenti per la difesa da 200 miliardi, sostenibile, garantito, che non comporti un aumento incontrollabile del debito pubblico e che soprattutto non avvenga a scapito di settori chiave come sanità e servizi pubblici in generale. La strada indicata da Giorgetti sembrerebbe gradita anche a Forza Italia, la quale resta il partito attualmente più allineato sulle posizioni di Bruxelles ma allo stesso tempo è abituata a gestire da tempo le divergenze di vedute col Carroccio.

Non c’è dubbio, però, che il lavoro sul testo dovrà prendere in considerazione ogni sfumatura e c’è da scommettere che attorno al tavolo gli esponenti dei partiti del centrodestra controlleranno anche le virgole di un documento che dovrà allo stesso tempo soddisfare chi è ostile e chi è organico alla maggioranza Ursula, chi è amico di Orban e dei sovranisti e chi ha contribuito al suo allontanamento dal Ppe.

Inoltre, non è possibile scorporare da questo contesto la competizione per la ricerca del consenso che si è innescata tra Lega e M5s, ormai protagoniste di un ultrapacifismo e di un antimilitarismo che sta creando seri imbarazzi a Meloni, ma soprattutto alla segretaria dem Elly Schlein, ormai incalzata dall’ala riformista con tanto di richiesta latente di un congresso straordinario.



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