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Passano gli anni, le proposte si raffinano e sono pubbliche, ma quando parli di IRC nella Chiesa devi ancora precisare che esso ha un risvolto educativo e, soprattutto, culturale…
Ieri si è conclusa la sessione primaverile del Consiglio Permanente della CEI, durante la quale è stata affidata «alla Presidenza della CEI, allargata ai Vescovi che fanno parte della Presidenza del Comitato nazionale del Cammino sinodale, l’approvazione della redazione finale del Documento che contiene le proposte da sottoporre all’Assemblea sinodale» (che si terrà a Roma dal 31 marzo al 3 aprile 2025).
In attesa di poter leggere e discutere tali «Proposizioni», il mio auspicio è che in esse si possano ritrovare almeno il senso delle proposte esposte (qui) su cosa deve intendersi (e praticare) oggi quando si parla di missione – soprattutto all’interno di un rapporto di compagnia (non di accompagnamento) con il mondo – e a proposito degli organismi di partecipazione (vedi qui) quali luoghi di “salvezza” per il pluralismo democratico e per una condizione di pace sempre più in crisi .
Aggiungerei alle due precedenti proposte anche una richiesta relativa all’insegnamento della religione e alla scuola tout court, sui quali avevo effettuato un intervento in seduta plenaria durante la prima assemblea sinodale.
Innanzitutto, sarebbe necessario modificare o quantomeno integrare l’espressione utilizzata nei Lineamenti (n.25-6), laddove si parla di «valorizzare pastoralmente il servizio» (IRC), in quanto essa è carente, equivoca e, forse, ridondante. Carente perché dimentica che l’insegnamento della religione cattolica è anche, se non innanzitutto, una professione culturale ed educativa. Equivoca perché rischia di far ricadere l’IRC in un’ottica di evangelizzazione diretta se non di proselitismo (vedi qui e qui). Ridondante perché in realtà tutta l’azione della Chiesa in quanto tale è pastorale e, per essere veramente evangelica, non può che essere improntata al servizio. In ogni caso, anche se si volesse mantenere il termine «servizio», devono essere assolutamente inseriti gli aggettivi «culturale» ed «educativo» (peraltro presenti in tutti i documenti magisteriali sull’IRC, a livello di Vescovo di Roma, Curia Romana e Conferenze episcopale italiana), senza i quali lo stesso avverbio «pastoralmente» renderebbe il tutto ancora più equivoco.
In secondo luogo, poi, ricordavo un articolo apparso sull’Osservatore Romano (5/6/21) a firma di Mons. Palmieri, nel quale si evidenziava il fatto che «mentre nelle nostre parrocchie i giovani e gli adolescenti sono spesso una rarità, l’insegnamento della religione a scuola (…) registra ancora oggi in Italia un’adesione del 86% degli studenti. Questa dovrebbe interpellare la Chiesa in uscita. Come intercettare questa domanda di senso? Non è questa ricerca di spiritualità tra i giovani un segno del “nuovo” di Dio?». Anche per questo motivo, ritenevo e ritengo necessario far emergere la questione scuola dal calderone degli ambienti educativi in cui la Chiesa incontra i giovani (Lineamenti, n.24).
Nelle scuole italiane, infatti, passano 8 milioni di giovani (con altrettante famiglie, se non il doppio) e 1 milione tra docenti e personale ata, dei quali vediamo in chiesa forse il 10%. Ogni disciplina, a partire dall’IRC, può essere – anzi è! – un gigantesco laboratorio di mediazione culturale tra contenuti teologici e contesti culturali-antropologici ormai per lo più secolarizzati. Inoltre, i contributi provenienti da questo ambito educativo sono incomparabili con i restanti – seppur importanti – contributi provenienti dalle altre figure segnalate nei Lineamenti (dirigenti, educatori, allenatori, etc.), perché in contatto con meno ragazzi e sempre indirettamente, oltre al non dover porre in essere nessuna mediazione culturale-teologica, da sempre fondamentale per dare senso al nostro credere.
Tra l’altro, è proprio il contatto con questi giovani che fa emergere l’eccessiva cautela di altre espressioni relative ai giovani utilizzate nei Lineamenti. Ad esempio quella in cui si afferma che per essi «il linguaggio simbolico non è sempre facilmente comprensibile» (Ib., n.23), quando la situazione è invece molto più drammatica e grave (basti leggere la relazione di sintesi della diocesi di Roma, pp.8 e 12): da qui la proposta di integrare i Lineamenti (n.25-7) laddove si parla di «percorsi formativi pensati e costruiti», completando la frase con un riferimento al problematico rapporto tra giovani e liturgia: «percorsi formativi e liturgici pensati e costruiti».
Presto, dunque, scopriremo quanto di questo e di tanto altro segnalato dalle diocesi italiane in questi mesi è stato ripreso e , allora, potremo valutare se la Chiesa italiana vuole affrontare coraggiosamente la crisi attuale o finirà, come si usa dire, per “partorire il solito topolino”…
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