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Sassari Denise è viva e qualcuno sa dove si trova o dove è stata portata dopo il sequestro: «Lo sa perché ha disposto di persona lo spostamento o ne è stato testimone. E sino ad oggi ha taciuto, nel rispetto di un patto che ora è saltato». Questo qualcuno o qualcuna è il tassello mancante per scoprire che cosa sia accaduto alla bambina di 4 anni sparita a Mazara del Vallo, in provincia di Trapani, il 1 settembre del 2004. Un attimo prima Denise Pipitone giocava a 20 metri dalla casa della nonna materna, poi qualcuno la portò via con sé. «Chi prese Denise voleva ucciderla, ma qualcun altro lo impedì: salvò la bambina ma non la riconsegnò alla sua mamma, perché questo era il patto». Diciassette anni dopo, Maria Angioni, ex pm che seguì le prime fasi dell’inchiesta, dice che il clima a Mazara è cambiato: «Qualcuno sta parlando e scardinando alibi, altre testimonianze importanti sono state riascoltate, è tempo di intensificare le ricerche, perché la verità potrebbe essere a un passo».
La denuncia dell’ex pm Maria Angioni, da 4 anni giudice del Tribunale del Lavoro a Sassari, il 1 settembre del 2004 era pm alla procura di Marsala. Un mese dopo il rapimento della piccola Denise, divenne titolare dell’inchiesta, che poi lasciò nel luglio del 2005 in seguito al trasferimento a Cagliari: «Volevo continuare a occuparmi del caso, ma il Csm non me lo consentì». Nelle ultime settimane l’ex pm sassarese ha denunciato in varie trasmissioni televisioni l’ostruzionismo, i depistaggi e le minacce che segnarono l’attività di indagine «iniziata in un periodo in cui la procura di Marsala era finita nel mirino in seguito ad un paio di inchieste precedenti (per favoreggiamento, spaccio di droga e induzione alla prostituzione ndr) in cui erano coinvolti diversi esponenti della polizia, poi assolti, e che avevano generato tensioni fortissime all’interno del Commissariato». Maria Angioni va oltre: dice infatti che proprio la polizia aveva eretto un muro di protezione nei confronti della famiglia Corona, i principali sospettati della sparizione di Denise, al punto che gli intercettati sapevano di esserlo un istante dopo «e io non potevo fidarmi, così cambiai squadra e iniziai a lavorare con un gruppo ristrettissimo di persone. Ma anche questo non bastò, perché le informazioni filtravano». Ancora: «Credo che la data del rapimento non sia casuale: Denise scomparve in un momento in cui la Procura era in una situazione di oggettiva debolezza per via delle inchieste precedenti. Al nostro procuratore capo era stato recapitato un proiettile militare e alcune intercettazioni rivelarono la volontà di mettere una bomba sotto casa sua. Io e lui andammo insieme a denunciare questa situazione in procura a Caltanissetta, competente per i casi che riguardavano i magistrati e ricordo che il procuratore invece di darci sostegno ci prese in giro, definendoci “zuzzurelloni”. Ricordo che quando sentii quella parola girai le spalle e me ne andai». Il clima pesante di quegli anni è emerso in maniera pubblica e dirompente nelle ultime settimane, dopo gli accertamenti su una ragazza russa molto somigliante a Denise che ha raccontato di essere stata rapita da bambina. «Ma io – precisa Maria Angioni – è da anni che denuncio questa situazione: l’ho fatto con segnalazioni alla Dda, con diverse mail e colloqui con esponenti della magistratura. Ma non è successo nulla: poi sono stata contattata dal giornalista Rai Milo Infante e ho pensato che fosse giusto dire quelle cose pubblicamente. Sono felice di averlo fatto, parlare era doveroso. E dopo qualche giorno sono stata convocata dalla procura di Marsala che ha riaperto le indagini. Questo è quello che conta: continuare a cercare la verità e riportare Denise a casa, restituirla a sua mamma, alla sua famiglia».
I gruppi rivali e alleati Secondo l’ex pm Angioni fu un errore concentrare le indagini su un’unica persona: «Jessica Pulizzi, figlia di Anna Corona e sorellastra di Denise, figlia del padre Piero e di Piera Maggio». Jessica Pulizzi è stata processata e assolta, per la madre Anna Corona è stata disposta l’archiviazione. «Finché fui lì e fino a quando l’inchiesta rimase in mano alla mia squadra e ai due pm che lavoravano con me, indagammo sulla famiglia allargata Corona-Pulizzi: una sorta di clan, con una rete fitta ed estesa di parentele e amicizie e di protezioni reciproche». Anna Corona, per esempio, «aveva tante amiche: una di queste le fornì l’alibi che lei ha mantenuto per 17 anni. La donna disse che quel 1 settembre rimase al lavoro in hotel sino alle 15,30 come certificato dal registro delle presenze. Qualche giorno fa l’amica e collega Francesca Adamo ha rivelato di avere firmato lei per conto di Anna Corona, che era andata via prima. Questa donna ha deciso di parlare dopo 17 anni, segno che il patto iniziale è saltato». E secondo la giudice del lavoro questo patto era stato siglato tra due gruppi di persone «all’interno della grande famiglia allargata. Il gruppo dei “cattivi” che odiava la madre di Denise e voleva fargliela pagare nel peggiore dei modi, anche uccidendo la bambina. E il gruppo dei “buoni” che ha messo all’angolo gli altri e ha evitato la morte della piccola facendola sparire. Come? Consegnandola a qualcuno, dando la garanzia ai cattivi che la madre non l’avrebbe in ogni caso mai più rivista. E il patto prevedeva che l’inchiesta sarebbe stata ostacolata in tutti i modi grazie alle protezioni di cui la famiglia godeva. Così è stato infatti per molti anni, ora il clima è cambiato e chi sa, e sinora è stato zitto per paura, ha iniziato a rompere il muro del silenzio». La collega di Anna Corona, nei confronti della quale la Procura ha disposto nuove indagini, e l’anonimo che avrebbe fatto nomi e cognomi in una lettera inviata a “Chi l’ha visto”.
Dove è Denise? La Angioni non ha dubbi: Denise Pipitone «è viva e quasi certamente ignara del suo passato e del clamore che la sua storia suscita a distanza di tanti anni dalla scomparsa». C’è una pista privilegiata che porta al mondo dei rom: «Un mese e mezzo dopo la sparizione della bambina, il 18 ottobre 2004, la piccola fu avvistata a Milano assieme a delle donne di etnia rom. Una guardia giurata, Felice Grieco, notò la grande somiglianza e fece un video da cui si intuisce il nome: Danas. L’uomo le rivolse la parola chiedendole se aveva fame e la piccola rispose “voglio la pizza” con una inconfondibile cadenza siciliana. Io – spiega Maria Angioni – inviai ai Ris il video per la comparazione dei tratti somatici». Quelli compatibili risultarono essere 7: la forma delle sopracciglia, gli occhi, la forma tonda del viso, le guance paffute, naso mento e labbra. Dunque secondo i Ris c’era una probabilità altissima che Denise e Danas fossero la stessa bambina. Anche la madre Piera Maggio ne è convinta, così come l’ex pm Angioni. «Credo che la bimba sia stata inserita in un nuovo contesto familiare al quale sia convinta di appartenere da sempre perché non ha memoria della sua vita precedente. E ignora che la sua vera mamma non ha mai smesso di cercarla: perché si possano riabbracciare è necessario che qualcuno ci porti da Denise. È il famoso anello, il tassello che manca per chiudere il cerchio».
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