I soldi spesi dall’Italia sul Pnrr? Solo 62,2 miliardi. Storia dei ritardi

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Gli investimenti proseguono a ritmo molto blando, la matematica ci dice che va peggio di quanto ci si sarebbe aspettato. Abbiamo finalmente scoperto quante risorse del piano europeo sono state spese dall’Italia


La spesa Pnrr contabilizzata è di 62,2 miliardi: l’ultimo dato in mano al governo, di cui il Foglio è entrato in possesso, conferma a pieno che gli investimenti procedono a ritmo molto blando. Il ministro Foti sta impostando il suo racconto sul rapporto fra la spesa effettiva e le risorse incassate finora dall’Unione europea: quindi poco più del 50 per cento dei 120 miliardi ricevuti a oggi. Operazione “matematica” legittima, finalizzata a creare un nesso fra l’attuazione buona del Pnrr – le rate incassate con il raggiungimento di tutti gli obiettivi – e l’attuazione “cattiva” – la spesa effettiva di investimento. Operazione che però non cancella né i ritardi cumulati nel tempo (certamente non responsabilità di Foti) né la sfida del rush finale verso il 30 giugno 2026.

La matematica ci dice che va peggio di quanto ci si sarebbe aspettato. Al 30 settembre 2024 la spesa era a 57,7 miliardi. Da allora la crescita sarebbe limitata a meno di cinque miliardi in 3-4 mesi, quando bisognerebbe spendere mediamente di qui alla fine del Piano almeno 7-8 miliardi al mese. Non si è visto neanche quell’effetto Regis atteso da tutti, a partire da Raffaele Fitto, che, presentando la sua ultima relazione disse che mancavano all’appello alcuni miliardi per la lentezza di contabilizzazione e che le norme del decreto legge Pnrr 4 avrebbero portato a un’immissione straordinaria di dati nel sistema proprio per superare i ritardi di contabilizzazione. Un paio di settimane fa, Foti ha ribadito che la contabilizzazione è uno dei problemi e che c’è una trattativa con Bruxelles per alleggerire procedure e documentazione. Se la matematica è matematica, come dice il ministro, è anche vero che a questo punto del percorso siamo in grado di scattare una fotografia molto più approfondita di cosa sta andando e cosa è fermo. Le luci si fanno sempre più luci e le ombre sempre più buie, a dispetto anche di rappresentazioni sintetiche per cui tutto è ritardo.

Ci aiutano alcuni dati del ministero delle Infrastrutture, resi noti di recente. Ci sono tre numeri che, affiancati, sono davvero clamorosi: il dato medio della spesa delle opere Mit è del 57 per cento sul totale previsto (piuttosto buono); la spesa media delle opere ferroviarie dell’Alta velocità è del 27 per cento (in pratica sarà completata solo la Brescia-Padova); la spesa media di tutte le altre opere ferroviarie è del 93 per cento. Qualche altro numero: le metropolitane sono messe anche peggio, ferme al 22 per cento mentre al 27 per cento sono pure le altre infrastrutture della Zes, dei porti e degli aeroporti (digitalizzazione). C’è poi l’altro tema, la revisione generale del Pnrr, scomparsa dai radar. Doveva essere inviata a Bruxelles a febbraio, poi a fine febbraio, poi ai primi di marzo. Non solo non è arrivato nulla a Bruxelles, ma sono pure rallentate le riunioni che portano a quel documento. Scomparse le cabine di regia che in genere preludono all’invio delle proposte. 

Quello che trapela è che il governo – e ogni singolo ministero – lavora su tre soluzioni. Prima soluzione: mettere fuori dal Pnrr, del tutto o parzialmente, le opere che non potranno rispettare le scadenze e sostituirle con opere più facili da realizzare in tempi rapidi. Seconda soluzione, la rimodulazione finanziaria: è un negoziato con la Commissione per consentire di ricevere i finanziamenti parziali di opere che non si riusciranno a completare, definendo i pagamenti in funzione di quanto effettivamente speso. Terza soluzione: la rimodulazione creativa per individuare soluzioni, meccanismi e metodi che portino a “un Pnrr nel Pnrr” o, se si preferisce, a una transizione “post Pnrr”.  E’ la vera trovata su cui sono arrivate aperture da Bruxelles. Nuove riforme e i fondi necessari per finanziarle con una parte delle risorse non spese entro il 2026. Una prosecuzione riformatrice post Pnrr ancora sotto la sorveglianza della Commissione Ue per casa, acqua, ferrovie, digitalizzazione, ambiente. Qualche ministero – come il Mit che l’ha inventata – è più avanti, altri arrancano alla ricerca di proposte. Bisogna attendere solo qualche giorno per capire come stanno le cose. Perché la proposta di revisione entro un paio di settimane dovrà essere comunque presentata se non si vogliono perdere i mesi che restano per recuperare almeno una parte dei ritardi. Dopo la presentazione c’è un tempo inevitabile per l’approvazione europea e poi bisogna inserire le nuove misure nel Piano e riaccendere i motori per marciare veloci. Nella revisione del dicembre 2023 questa fase di approvazione, messa a punto e avvio durò più di sei mesi. Stavolta bisogna fare più in fretta.





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