Il parlamento ha approvato la riforma dell’accesso ai corsi di medicina

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La Camera dei deputati ha approvato in via definitiva la legge delega sulla riforma delle modalità di accesso ai corsi universitari di medicina, che modifica anche il funzionamento del cosiddetto “numero chiuso”. Nonostante molti esponenti della maggioranza ne abbiano parlato anche nei mesi scorsi come di una «abolizione del numero chiuso», il numero di posti nelle facoltà continuerà a essere limitato e la selezione degli studenti avverrà comunque: sarà solo spostata in avanti alla fine del primo semestre di università.

Attualmente l’accesso alle facoltà di medicina (così come a quelle di veterinaria, odontoiatria e ad alcune altre ancora) viene consentito solo agli studenti che superano un test d’ingresso. L’abolizione del meccanismo del “numero chiuso” viene ormai da tempo indicata come una delle possibili soluzioni alla carenza di medici e mediche negli ospedali del servizio sanitario nazionale e sul territorio, ma è difficile che la riforma proposta possa migliorare significativamente la situazione.

Le leggi delega si chiamano così perché con loro il parlamento affida al governo (quindi appunto delega) la produzione di una legge, cioè l’attività che solitamente spetta proprio al parlamento. Nelle leggi delega vengono fissati i principi e i limiti entro cui intervenire su una certa questione: sulla base di questi il governo produce un decreto legislativo, in cui ha comunque una certa autonomia nel decidere come agire. In questo caso il parlamento ha dato al governo un anno per approvare la riforma, e una serie di àmbiti da modificare: i dettagli delle modifiche devono però ancora essere decisi dai ministeri coinvolti (principalmente quello dell’Università).

La proposta della riforma è che chiunque possa iscriversi all’università di Medicina, frequentare i corsi e sostenere quattro esami nei primi sei mesi di scuola: al termine di questo periodo gli aspiranti medici saranno valutati e solo chi avrà un punteggio alto potrà accedere ai posti disponibili. Non è ancora del tutto chiaro come saranno calcolati i punteggi: Francesco Zaffini (Fratelli d’Italia), presidente della commissione Sanità del Senato e relatore del provvedimento, aveva detto che sarebbero stati presi in considerazione i crediti formativi universitari ottenuti con gli esami, il voto ricevuto e il numero di risposte esatte date.

Il numero di studenti che potranno continuare il proprio percorso formativo continuerà a essere programmato sulla base dei dati del ministero dell’Università e di quello della Sanità, e per ora la riforma non sembra aver spinto il governo a rivalutare il numero di medici che saranno formati, che nei prossimi anni si prevede saranno circa 30mila, molti meno delle probabili domande di iscrizione alle facoltà di medicina.

Un sistema analogo è stato a lungo in vigore in Francia, dove però negli ultimi anni è stato messo in discussione e in parte modificato. Uno dei problemi di questo modello è la forte selezione che ogni anno causa una certa disillusione tra gli studenti costretti a cambiare indirizzo di studi al termine del primo semestre o del primo anno, dopo aver investito energie e riposto speranze nel percorso universitario, oltre a prolungare per sei mesi la tensione legata al processo di ammissione. Per questo negli anni scorsi molti studenti francesi emigravano per diventare medici all’estero.

Già durante le primi fasi del suo percorso parlamentare la riforma era stata molto criticata sia da esponenti dell’ambiente universitario che da quello dei sanitari.

Molti negli ambienti universitari criticano da tempo la possibilità di annullare la programmazione degli accessi, che ritengono ingestibile per gli atenei per la carenza di aule, professori e attrezzature a fronte di un numero molto cresciuto di studenti (che in questo caso si verificherà comunque, ma solo nel primo semestre). La legge prevede che gli esami saranno validi anche per i corsi di area biomedica, sanitaria, farmaceutica e veterinaria, a cui gli studenti possono trasferirsi in caso non siano ammessi al secondo semestre della facoltà scelta inizialmente. Questo potrebbe rendere più difficile la gestione di quei corsi, in cui nel secondo semestre potrebbe arrivare un numero notevole e difficilmente prevedibile di studenti.

Anche gli Ordini dei medici sono contrari alla proposta, per il rischio che tra dieci anni ci possano essere molti più medici rispetto a quanti potranno essere effettivamente assunti dal sistema sanitario nazionale e dalle cliniche private. Già ora il numero di accessi previsto supera quello dei medici che si prevede andranno in pensione nei prossimi anni: in questo modo una volta che gli studenti che iniziano la formazione in medicina completeranno il proprio percorso ci saranno migliaia di medici in più di quelli che servono (anche se va considerato che molti studenti lasciano gli studi prima di completarli). Un allentamento dei meccanismi di selezione potrebbe aggravare questo sistema.

Il test di ingresso in ogni caso non è l’unica barriera che deve essere superata da chi vuole diventare medico o medica. La seconda barriera consiste nella specializzazione richiesta per l’assunzione negli ospedali: dopo la laurea, per diventare specialisti, i medici devono vincere un concorso nazionale del ministero dell’Università e ottenere una borsa di studio per praticare una specializzazione in ospedale. Una volta specializzati possono partecipare ai concorsi per essere assunti a tempo indeterminato dal servizio sanitario nazionale (SSN). In tutto il percorso di formazione come medici dura dieci anni: 6 di laurea in medicina e almeno 4 di specializzazione.

– Leggi anche: L’abolizione del numero chiuso a medicina di cui si parla non è una vera abolizione



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