Insurance Review | RISPARMIO E INVESTIMENTI TRA SPERANZE E PAURE DEL FUTURO

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Le pensioni? Un miraggio. Il sistema sanitario nazionale? Al collasso. Banche e assicurazioni? Nessuno si fida. La percezione degli italiani di un avvenire a tinte fosche paralizza il paese e spesso la narrazione proposta anche da chi dovrebbe rispondere ai bisogni delle persone insiste su un linguaggio negativo ai limiti con la distopia. Risultato: l’incapacità di scegliere

In un bel film del 1990 con Robin Williams e Robert De Niro, intitolato Risvegli (che molti conosceranno), alcuni pazienti cronici, intrappolati in una sorta di immobilità cosciente si sbloccavano grazie a una cura sperimentale: la nuova terapia scommetteva sul fatto che l’immobilità del corpo fosse in realtà l’esito estremo di tremori talmente intesi da impedire il movimento. 

Esattamente come quei pazienti, gli italiani oggi sembrano immobilizzati dai troppi e continui stimoli esterni che insistono sulla paura del futuro: una narrazione che ben conosciamo, fatta costantemente di previsioni fosche, discorsi rinunciatari, anatemi apocalittici. Non che le preoccupazioni non ci siano, e tuttavia la pioggia incessante di messaggi che prefigurano un futuro nero ha creato l’effetto contrario a quello che (forse) si voleva ottenere: l’immobilismo, la non scelta, il disimpegno.

Come ha raccontato il sociologo e fondatore di Progetica, Sergio Sorgi, durante un evento organizzato da Athora Italia e Nomisma sui temi del risparmio e degli investimenti, compito di chi ha a che fare con questi temi è contribuire a “ricostruire le relazioni, ricostruire un pensiero trasformativo, che è il pensiero assicurativo per eccellenza, ricreare comunità”. Se la speranza “è una fiducia de-specializzata – ha detto Sorgi – la fiducia è un fatto tecnico. La soggettività va considerata: non importano le cose in sé, ma il senso delle cose. Il malessere è individuale, i temi macro sono lontani dalle persone”. 

© Athora Italia

UN CONTESTO MOLTO COMPETITIVO

Incertezza e preoccupazione, quindi, ma anche un po’ di speranza e fiducia, sono i sentimenti più presenti tra gli italiani secondo lo studio presentato a Milano dalla compagnia e realizzato in collaborazione con Nomisma. L’Osservatorio Look to the future, questo il titolo dell’indagine, ha analizzato cosa pensano davvero gli italiani rispetto a grandi temi assicurativi e finanziari come risparmio, previdenza e investimenti. Per il 66% del campione prevale l’incertezza e per il 52% preoccupazione e paura, mentre la speranza e la fiducia animano rispettivamente il 55% e il 29% degli italiani.

Intervenuto in apertura dell’evento, il ceo di Athora Italia, Jozef Bala, ha parlato della traiettoria di crescita e sviluppo della compagnia finora, in un contesto che in pochi anni si è fatto “molto competitivo, soprattutto nel ramo vita”. Bala ha sostenuto l’importanza di essere “creativi e innovativi per rispondere a esigenze concrete”, soprattutto nel ridisegno dei prodotti, come chiesto al mercato, peraltro, dal presidente di Ivass, Luigi Federico Signorini.  

Athora Italia, ha detto il ceo della compagnia, “vuole crescere tramite nuovi accordi ed eventualmente acquisizioni”, sulla scia di un piano industriale che ha l’obiettivo di far diventare Athora un’impresa aperta al mercato: “il nostro core business – ha sottolineato Bala – rimarrà la bancassurance, tramite accordi con le banche commerciali, ma stiamo investendo molto nel mondo del brokeraggio, oltre ad avere già una rete di 100 agenzie monomandatarie, che vogliamo sviluppare ulteriormente”.

LA PERCEZIONE DEL PEGGIO

Tema centrale diventa capire qual è la capacità di risparmio degli italiani e come questi guardano al futuro. La ricerca di Nomisma ci dice che il 27% del campione giudica buona o eccellente la propria situazione economica familiare e che un ulteriore 54% la valuta almeno sufficiente, mentre il 60% dichiara di arrivare a fine mese con qualche difficoltà. “Una complessità nella gestione dell’economia familiare – si legge nella ricerca – che deriva in parte da una redditualità limitata e in parte dalla difficoltà, anche psicologica, di pianificare in maniera razionale e lungimirante”. 

Nell’ultimo anno, il 64% dice di aver accumulato risparmi sul conto corrente e il 36% di essersi indirizzato a soluzioni di risparmio, investimento o protezione del capitale. Il 57% si fida del consulente bancario, il 26% preferisce il promotore finanziario, il 12% l’agente assicurativo, ma c’è anche chi, e non sono pochi (16%), si affida al fai da te.

“Più in generale – è intervenuta Valentina Quaglietti, responsabile degli osservatori di Nomisma – nel Paese c’è una tendenza ad adattarsi più che ad attivarsi per modificare in meglio le prospettive future”. La possibilità di scivolare verso una vulnerabilità economica data da vari fattori, tra cui il timore, quasi la certezza (percepita), di non avere una pensione pubblica, è una preoccupazione “quasi intima” e che prevale nettamente sulle considerazioni di carattere sociale. La percezione è che le cose “non andranno bene” in futuro: il 47% degli italiani dichiara che sta cambiando o cambierà il proprio stile di vita, il 58% non sottoscriverà una polizza integrativa e il 71% non pensa ancora di fare investimenti per contare su rendite future. 

© Athora Italia

RICUCIRE BISOGNI E RISPOSTE

Questo atteggiamento si riflette in modo inequivocabile sulla sfiducia degli italiani verso la sostenibilità delle pensioni (82%), il sistema sanitario nazionale (76%), ma anche verso banche e assicurazioni (59%).

Liberarsi dal pensiero distopico negativo, in cui “in futuro tutto andrà male”, ha detto Sorgi rivolgendosi agli addetti ai lavori del settore assicurativo, è una necessità giacché “il livello di tolleranza del linguaggio negativo è al limite: la percezione è che il mondo sarà peggiore e noi continuiamo a confermare queste percezioni. C’è una rescissione del rapporto di fiducia tra il cittadino e chi prova ad aiutarlo”.  

In un paese in cui sembra che “le persone abbiano staccato la spina”, bisogna andare loro incontro: “non dobbiamo chiedere loro atti di assicurazioni e di risparmio – ha concluso Sorgi – ma ricucire i bisogni personali alle risposte che devono essere professionali, trasformando la visione del futuro da disimpegno a sviluppo cognitivo”.

© BrianAJackson – iStock

UN GRUPPO “CONTROCORRENTE” 
Athora, fin dalla sua nascita, negli anni ’10 del nuovo secolo, ha scommesso sullo sviluppo. Con l’entrata in vigore di Solvency II e l’ambiente di tassi di interesse ai minimi storici, “i grandi gruppi assicurativi vita – ha ricordato Jozef Bala, ceo di Athora Italia – hanno cominciato a ridurre la propria esposizione al business, ridisegnando l’offerta e limitando la commercializzazione dei prodotti garantiti di ramo I, favorendo quelli a più basso impatto di capitale”. 
In questo contesto, Athora ha fatto la scelta opposta, cercando di inserirsi in un mercato in trasformazione, puntando alla crescita dei volumi. In meno di dieci anni, attraverso diverse acquisizioni e operazioni in Europa, il gruppo ha raggiunto 73 miliardi di euro di attivi e quasi tre milioni di clienti (dati al 2024), anche grazie a quello che Bala definisce un “capitale paziente”: in cinque anni, la compagnia controllata da Apollo Asset Management ha fatto aumenti di capitale per 6,7 miliardi di euro, “più di tutto il capitale raccolto dalle compagnie in Europa nello stesso periodo, che hanno invece distribuito capitale tramite dividendi e buyback”, ha precisato il top manager. 
Insistendo sulla differenza tra Athora e gli altri grandi gruppi vita europei, Bala ha spiegato che mentre gli altri stanno consolidando il proprio business, Athora sta puntando alla crescita: “vogliamo raddoppiare le masse gestite nei prossimi cinque anni”, ha confermato.

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