Sorpresa: in Europa, il trumpismo è già diventato tossico per molti follower di Trump

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Stare il più possibile al riparo dal presidente americano è anche un tema di consenso, di affidabilità e di stabilità. C’entra Kyiv ma anche il futuro. Il caso Le Pen


Può darsi sia solo un’illusione dettata da un colpo di sole primaverile, o dalla nostra ferrea e irresponsabile volontà di trovare buone notizie anche quando il mondo sembra andare in una direzione opposta. Può darsi che sia così, naturalmente. Ma può anche darsi che gli eccessi vistosi del trumpismo, sommati agli estremismi clamorosi del suo fiero scudiero, il signor Elon Musk, le cui posizioni antitetiche alla Nato ieri sono state respinte persino da Matteo Salvini – e ho detto tutto – stiano producendo in Europa un effetto contrario alle attese. Per molto tempo, i partiti di destra, non solo quelli più estremisti, hanno pensato di poter trarre un qualche beneficio dalla scalata al potere di Trump. Da quando Trump è arrivato al potere, però, salvo alcuni casi isolati, si è generato un effetto diverso. I partiti di destra, e non solo quelli non populisti, hanno cercato di non farsi travolgere dall’onda lunga del trumpismo stando il più possibile al riparo da Trump. E anche i partiti che avrebbero in teoria una vicinanza naturale con l’agenda del trumpismo, sull’immigrazione, sull’Ucraina, sull’Europa, hanno compiuto scelte sorprendenti che meritano di essere studiate. Il caso più rilevante è certamente quello francese. Marine Le Pen, leader del Rassemblement National, è quanto di più trumpiano si possa immaginare, all’interno dell’Europa. Ma nonostante questo, da quando Trump è arrivato alla Casa Bianca il suo partito ha fatto di tutto per evitare sovrapposizioni. Nessuna campagna dedicata al tema dei Mega. Nessuna volontà di essere considerata l’AfD della Francia. E nessun tentativo di flirtare con Musk.

La prudenza di Le Pen, rispetto a Trump, è stata notata anche dai giornali anti lepenisti francesi. E lo stesso Monde, la scorsa settimana, ha dedicato un approfondimento al tema mettendo in fila alcuni fatti. Primo: ai leader del suo partito, dopo il risultato elettorale americano, a parte Jordan Bardella, è stato proibito di commentare le elezioni presidenziali. Secondo: Le Pen ha criticato la decisione di Trump di sospendere gli aiuti militari all’Ucraina, definendo la mossa “brutale”. Terzo: settimane fa, Bardella ha annullato il suo intervento alla Conservative Political Action Conference (Cpac) negli Stati Uniti dopo il famoso saluto con il braccio teso di Steve Bannon. Quarto: Bardella ieri ha annullato una conferenza organizzata a Parigi dalla fondazione del gruppo da lui presieduto al Parlamento europeo, i Patrioti per l’Europa, dove era previsto un omaggio al sistema conservatore del paese più trumpiano d’Europa, ovvero l’Ungheria. La Francia, naturalmente, è un caso speciale, perché il patriottismo lepenista, per così dire, si fonda anche su una consolidata piattaforma di anti americanismo, che nella politica francese non è un sentimento unicamente populista (chiedere agli appassionati di De Gaulle).

Ma tra i follower del trumpismo, in Europa, è evidente che deve essere subentrato un punto di domanda grande che potremmo sintetizzare così: l’agenda trumpiana può anche piacerci, ma siamo sicuri che il trumpismo possa essere popolare tra i nostri elettori? Il cofondatore di Vox, Javier Ortega Smith, tanto per dirne una, giorni fa ha affermato che “se Trump decide di voltare le spalle a un paese europeo come l’Ucraina e di dividerne i confini e di stipulare cosiddetti accordi di pace senza tenere conto di questa nazione offesa, non possiamo essere d’accordo con Trump”. E in fondo deve essere questo anche il ragionamento di Meloni. La premier italiana è stata incoerente su molti dossier, lo sappiamo, ma l’incoerenza sull’Ucraina è forse l’unica che Meloni non può permettersi, perché dietro l’adesione alla difesa di Kyiv vi è la costruzione di un percorso di presentabilità che sarebbe un delitto rendere reversibile. Sintesi: aderire al trumpismo, in Europa, è tossico, starne il più possibile al riparo è anche un tema di consenso, di affidabilità e di stabilità, e se più trumpismo uguale meno patriottismo, allora meno trumpismo uguale più credibilità. Anche fra i trumpiani. Solo un colpo di sole primaverile? Chissà. 



  • Claudio Cerasa
    Direttore
  • Nasce a Palermo nel 1982, vive a Roma da parecchio tempo, lavora al Foglio dal 2005 e da gennaio 2015 è direttore. Ha scritto qualche libro (“Le catene della destra” e “Le catene della sinistra”, con Rizzoli, “Io non posso tacere”, con Einaudi, “Tra l’asino e il cane. Conversazione sull’Italia”, con Rizzoli, “La Presa di Roma”, con Rizzoli, e “Ho visto l’uomo nero”, con Castelvecchi), è su Twitter. E’ interista, ma soprattutto palermitano. Va pazzo per i Green Day, gli Strokes, i Killers, i tortini al cioccolato e le ostriche ghiacciate. Due figli.





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