La Vision europea per l’agricoltura e l’alimentazione è miope

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Il 19 febbraio scorso la Commissione europea ha pubblicato la nuova Vision per l’agricoltura e l’alimentazione. Un documento che serve a indirizzare le politiche agricole comunitarie fino al 2040, alla luce dello stato attuale del settore, delle nuove necessità o delle questioni endemiche cui rispondere. La sensazione di osservatori e analisti, però, è che si tratti dell’ennesimo colpo inferto al Green Deal, in una fase di smantellamento di tutte le norme di tutela ambientale e dei diritti umani in nome della competitività.

Abbiamo intervistato Federica Ferrario, responsabile delle campagne di Terra! Onlus, chiedendole chiarimenti sul contenuto e sulle criticità della nuova visione europea.

In che contesto arriva la nuova Vision per l’agricoltura e l’alimentazione?

La Vision sull’agricoltura nasce in un contesto articolato. È il documento di programmazione per i prossimi anni di questa Commissione, alla luce dei suoi primi 100 giorni di attività. Sicuramente una delle spinte maggiori nell’elaborazione è stata fornita dalle proteste dei trattori che abbiamo visto nel corso del 2024 e che, a dire il vero, ancora continuano anche se non se ne parla più molto. È una risposta a quelle sollecitazioni.

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Nel 2024 la Commissione ha lanciato un lavoro consultivo per instaurare un dialogo strategico con il mondo dell’agricoltura. Il gruppo nato da questo proposito raccoglieva 29 esperti rappresentanti dei diversi stakeholder del settore agroalimentare europeo: produzione, trasformazione, società civile, organizzazioni ambientaliste, e naturalmente agricoltori. Il gruppo ha ragionato su quali siano i passaggi necessari per evolvere l’attuale modello agricolo europeo, e ha elaborato una serie di raccomandazioni alla Commissione diffuse pubblicamente lo scorso settembre. A queste, è seguita poi l’elaborazione della Vision su agricoltura e alimentazione.

Qual è l’impostazione del documento? Risponde agli obiettivi per cui è nato?

Dalla nostra analisi del testo proposto dalla Commissione possiamo dire che non solo è un’occasione persa, ma un vero e proprio passo indietro rispetto a un percorso ben avviato. La relazione finale del gruppo di lavoro ci aveva fatto ben sperare, in particolare per quanto riguarda la tutela delle piccole e medie aziende a discapito delle grandi. Sembrava davvero una premessa efficace per l’avvio di una transizione ecologica dell’agricoltura.

Una parte importante delle raccomandazioni sull’agricoltura, però, sembra essere sparita nel documento di Vision che non è assolutamente all’altezza della sfida climatica. Sembra anzi che strumentalizzi le proteste del comparto per consolidare lo schema che lo sta mettendo in crisi: premiare le grandi aziende, minimizzare i problemi ambientali, mettere al centro la competitività.

Entrando nello specifico, cosa introduce per quanto riguarda il tema pesticidi e diserbanti?

Il testo esplicita – e questo è positivo – il fatto che bisogna lavorare su norme di reciprocità, le cosiddette clausole specchio. Se l’Europa vieta o regola in maniera stringente l’utilizzo di un determinato principio attivo perché dannoso per l’ambiente, deve fare in modo che non sia presente in prodotti che importa dall’estero. Lo stesso vale per il benessere animale.

Il problema, però, è che per i termini in cui è formulato il documento ci sono i margini per temere che accada qualcosa di più rischioso. La Commissione sottolinea che siamo intervenuti con leggi che vietano molte più sostanze rispetto al numero di alternative che abbiamo autorizzato e che questo, sul lungo termine, potrebbe avere impatti sulla produzione di cibo. Sembrano insomma le premesse al fatto che si lavorerà sì sul principio di reciprocità, ma non nella direzione giusta. Il timore è che invece si possa annullare un buon lavoro che la Commissione ha fatto in questi anni, in cui abbiamo scardinato il meccanismo per cui in Europa è vietato usare prodotti che però produciamo ed esportiamo in Paesi dove vengono utilizzati, e da cui poi importiamo i prodotti. Tornare indietro su questo sarebbe una sconfitta.

Premesso che sarebbe un passo indietro dal punto di vista ambientale, servirebbe almeno a rispondere alla crisi del settore?

Che il settore sia in sofferenza è innegabile, ma gli elementi negativi sono altri. Innanzitutto il tema del giusto prezzo: mentre alcuni attori della filiera sono sistematicamente in difficoltà, altri si arricchiscono. È come se mangiassero anche nei piatti degli altri. Sono questi i meccanismi su cui agire, non le norme di tutela ambientale.

Quello che ha messo in crisi l’agricoltura nel 2024 non sono certamente le norme ambientali ma gli sconvolgimenti climatici. Lo abbiamo visto nel nostro Paese: il problema sono state le alluvioni al nord e la siccità al sud, non di certo il divieto del pesticida X o Y. E questo non è solo un dato di fatto ma anche un monito per il futuro: sarà sempre più così e sempre peggio, le previsioni scientifiche ce lo dicono già. Su questo dovremmo intervenire.

Terra! Insieme ad altre organizzazioni è impegnata nella campagna su una proposta di legge per superare il sistema degli allevamenti intensivi. La Vision affronta il tema?

Anche da questo punto di vista la Vision è una delusione. Nonostante il testo stesso espliciti che si tratta di uno dei settori responsabili di più emissioni, la zootecnia è presentata come settore imprescindibile e quasi intoccabile. Eppure gli allevamenti intensivi rilasciano enormi quantità di metano, che è un gas climalterante, di ammoniaca, che in aria è un precursore alla formazione delle polveri sottili (PM2,5) e di carichi di azoto che portano alla  presenza di nitrati nelle acque. C’è il tema degli antibiotici, quello del consumo di risorse: il 70% dei suoli agricoli europei è usato per foraggio e colture che serviranno all’alimentazione animale. Non producono cibo, ma mangimi per gli animali che alleviamo. E lo stesso vale per l’acqua.

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In aggiunta, è un sistema che sta mettendo in difficoltà le aziende di piccole dimensioni, concentrando la produzione in poche aziende sempre più grandi e intensive. Chiedere la transizione di questo modello in chiave di sostenibilità non è una battaglia ideologica ma una questione di buon senso.

La questione degli allevamenti intensivi si connette a un’altra delle questioni affrontate dalla Vision sull’agricoltura: il nuovo piano proteico europeo. Come viene affrontato il tema?

Il documento afferma che dobbiamo elaborare un piano proteico europeo per limitare la nostra dipendenza dalle importazioni di colture destinate ai mangimi. Per farlo però è necessario cambiare il modello, riducendo la produzione e il consumo di prodotti di origine animale, altrimenti non ci sarebbero risorse sufficienti. Questo si può fare in una sola maniera: riducendo il numero di animali allevati e lavorando su politiche di guida della domanda che orientino i consumi.

Mangiamo troppa carne. Negli anni Sessanta consumavamo a livello nazionale circa 20kg di carne all’anno a testa. Oggi ne consumiamo 80. Questo fa male alla salute, oltre che all’ambiente, e, di conseguenza, incide sulle spese sanitarie.

Il documento cita a più riprese lo sviluppo e la diffusione di tecnologie utili al raggiungimento degli obiettivi della transizione ecologica. In cosa si sostanzierebbero?

Questo è un trend che osserviamo da tempo: invece di affrontare un problema alla radice vengono evocate soluzioni tecnologiche come unica via di uscita  e a volte ci troviamo di fronte a finte soluzioni, che distraggono dalle cause reali del problema, e sulle possibili soluzioni.

Pensiamo alla zootecnia intensiva: se di fronte a tutti i problemi legati al settore, la soluzione proposta è solamente di utilizzare, ad esempio, additivi nell’alimentazione degli animali per ridurre le emissioni in atmosfera, oppure iniettori per interrare direttamente i liquami nei campi, stiamo parlando solo di palliativi. Utili magari, ma non risolvono il problema, soprattutto nelle aree dove c’è la concentrazione maggiore di allevamenti intensivi, come la Pianura Padana. In Italia la seconda causa di formazione delle PM 2.5 è l’ammoniaca liberata dall’agricoltura, prodotta principalmente degli allevamenti intensivi. E le polveri sottili, nel nostro Paese, causano circa 50mila morti premature all’anno.

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Anche gli OGM sono menzionati fra le soluzioni tecnologiche. Cosa dice su questo la Vision?

Il documento menziona i nuovi OGM e sono presentati come soluzione ai cambiamenti climatici. È come darsi la zappa sui piedi: si perpetua un sistema sempre più concentrato nelle mani di pochi, ancora più povero dal punto di vista della biodiversità. Eppure tutelare la biodiversità è la prima arma per affrontare al meglio la crisi climatica. Con questa Vision su agricoltura e alimentazione l’Europa rischia di andare nella direzione opposta: poche aziende che controllano il settore sementiero e che detengono i brevetti. È una visione miope.

Il documento esplicita la necessità di rivedere la Politica Agricola Comune (PAC) in ottica di semplificazione. Sembra così che risponda alle necessità del comparto. Come?

Sicuramente la semplificazione della PAC è una necessità, il problema è come la si fa. Se la strada scelta è annullare i passi necessari a salvaguardare ambiente e clima, la direzione è sbagliata. Non stiamo facendo un favore al mondo agricolo, stiamo aggravando la situazione di pericolo. Vanno modificati i meccanismi di elargizione dei sussidi pubblici.

Per fare un esempio: uno dei più grandi problemi della PAC è come vengono distribuiti i sussidi. Il modello attuale premia le aziende più grandi e intensive perché assegna i finanziamenti in maniera proporzionale agli ettari gestiti. La conseguenza è che l’80% dei sussidi va al 20% delle aziende. E stiamo parlando di circa il 30% del budget europeo. Va da sé che più sei piccolo meno sei aiutato, indipendentemente da cosa produci e come lo produci. Per quanto piena di buoni propositi come quello di destinare le risorse a chi ne ha più bisogno, la Vision andrà in direzione opposta se non si metterà in discussione il pilastro della distribuzione a ettaro.

La valutazione sembra molto negativa. Ci sono degli aspetti per cui il documento può essere inteso come un miglioramento?

Ci sono degli aspetti positivi. Si specifica la necessità di lavorare sul riconoscimento del giusto prezzo ai produttori. In genere questo non avviene e anzi, gli agricoltori si trovano spesso costretti a vendere a un prezzo più basso dei costi di produzione. Di solito, quando si tratta di tagliare sui costi, si interviene sempre e solo sull’anello più debole. Che può essere la forza lavoro, come nel fenomeno del caporalato. O l’ambiente, con l’indebolimento delle normative a sua tutela. Salutiamo quindi in maniera molto positiva l’idea di un’analisi della filiera per distribuire in maniera equa costi e sforzi necessari alla transizione del settore e fare in modo che non ricadano ancora sull’anello più debole. Un altro aspetto positivo è l’intento di rivitalizzare le aree marginali.

Aspetti positivi, ma parte di un testo che segna un colpo di grazia al Green Deal europeo, dove la parola d’ordine diventa competitività, ad ogni costo. Che è quello che sta accadendo anche in altri settori, basti guardare al pacchetto Omnibus presentato nei giorni scorsi. Serve ripensare l’agricoltura, è vero, ma il presupposto per cui bisogna farlo non può prescindere dalle sfide climatiche e ambientali presenti e quelle che saranno sempre più parte del quotidiano.



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