Qualcuno ha iniziato a paventare il rischio di una nuova oligarchia di stampo social.
Allarmismo o meno quello che sta succedendo in Usa merita di essere osservato con grande attenzione, compreso e spiegato. Recentemente, Meta, la società madre di Facebook e Instagram, ha annunciato una significativa modifica alle proprie politiche di moderazione dei contenuti, decidendo di interrompere il programma di fact-checking di terze parti negli Stati Uniti. La mossa di Zuckerberg è arrivata come un fulmine a ciel sereno.
Nel frattempo anche YouTube, come Meta, si allinea al modello definito da Elon Musk con X. Per la società di Mountain View le norme europee del Digital Services Act non si adattano agli algoritmi usati, e per il controllo dei contenuti bastano le segnalazioni degli utenti. E Google ha fatto più o meno la stessa cosa comunicando all’Unione Europea che non intende né aggiungere il fact-checking ai risultati di ricerca e ai video di YouTube né introdurre sistemi per classificare o rimuovere i contenuti. Con buona pace del Digital Services Act.
Facebook, dal canto suo, implementerà un sistema chiamato “Community Notes”, anche in questo caso un modello già adottato da X. E così, mondi che sembravano lontani, si rivelano in realtà vicinissimi. Mark Zuckerberg per giustificare questa scelta ha spiegato che l’intenzione dell’azienda è quella di tornare alle origini per quanto riguarda la libertà di espressione. Posto che generalmente le scelte di una big tech sono dettate in primis da questioni di business e di opportunità piuttosto che da ragioni etiche, prima di stracciarsi le vesti vale forse la pena porsi qualche domanda. E chiedersi se il fact-checking abbia davvero contribuito in questi anni a contrastare in modo significativo la disinformazione sui social e se i risultati ottenuti siano davvero barattabili limitando la libertà d’espressione.
Perché a oggi la sensazione è che il contributo del fact-checking di Meta nella lotta alle fake news non sia stato determinante. Certo, in assenza di un computo oggettivo e senza controprove, siamo pur sempre nel campo delle sensazioni. Chi, per esempio, era convinto che il fact-checking di Meta potesse limitare i consensi di Trump ha dovuto ricredersi. È davvero troppo difficile arginare la disinformazione sui social ed è ancora più difficile farlo stando al di sopra di ogni sospetto senza apparire parziali e senza far sembrare la verità qualcosa il cui perimetro si definisce in base alla propria convenienza. E così il fact-checking mai troppo amato dalla destra, ora sembra non scaldare più di tanto neanche la sinistra.
Da Zuckerberg a Cook, i big della Silicon Valley si inchinano a Trump: tutti presenti al giuramento
Fatto sta che da adesso in poi su Meta il “monitoraggio sulla verità” sarà appaltato al nuovo sistema “Community Notes” progettato per permettere agli utenti di aggiungere note ai post che ritengono fuorvianti, affidando così alla comunità il compito di fornire contesto e correggere eventuali disinformazioni. Questo approccio trasferisce la responsabilità del controllo dei contenuti dagli esperti indipendenti alla base utenti delle piattaforme. Un’opzione che seppur apprezzabile nelle premesse presta il fianco a una serie infinita di effetti collaterali. Chi impedirà, per esempio, a un utente qualsiasi di andare sotto a un post veritiero a scrivere che si tratta di una menzogna? Un rischio che potrebbe persino culminare in un aumento della disinformazione e dei discorsi d’odio che si trovano sulle piattaforme.
I TIMORI
Negli Usa qualcuno sospetta che le scelte di Zuckerberg e delle altre big tech siano un modo per allinearsi e compiacere il nuovo presidente degli Stati Uniti. L’Unione Europea ha espresso preoccupazione per l’impatto che la fine del programma di fact-checking potrebbe avere sulla diffusione della disinformazione, sottolineando l’importanza di mantenere alti standard di verifica delle informazioni per proteggere gli utenti. Ma forse anche l’Ue sta osservando le cose dal punto di vista meno corretto. Perché la verità (tanto per restare in tema) è che la forma di contrasto più efficace rispetto alla disinformazione sta a monte: educare e costruire una comunità più responsabile e consapevole in cui ognuno abbia gli strumenti per orientarsi fra bufale e propaganda. Investire su educazione digitale, ricostruire lo spirito critico. La disinformazione si combatte a monte molto più che a valle.
***** l’articolo pubblicato è ritenuto affidabile e di qualità*****
Visita il sito e gli articoli pubblicati cliccando sul seguente link