Il problema dell’alcolismo non occasionale

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Se si instaura dipendenza, va considerato una vera e propria forma di tossicofilia, della quale possono essere esaminate cause e percorso di recupero, non solo farmacologico

Nella Criminologia europea e nordamericana manca una definizione univoca e condivisa del termine craving, che è definibile come la “fame” irrefrenabile di una sostanza psicotropa che conferisca euforia, benessere e svago.
Negli anni Ottanta del Novecento, il concetto di craving era utilizzato solamente nell’ambito del consumo di eroina (leggi anche La tossicodipendenza: malattia o vizio?), ma, con il passare del tempo, si è iniziato a parlare di “bisogno assoluto” anche per le altre sostanze d’abuso, compreso l’alcol. Si tratta di un’esigenza ossessiva e invalidante, che spinge il tossicofilo e l’alcolista a sacrificare i propri ruoli familiari, lavorativi e sociali.

La dipendenza psicologica e quella fisica e i fattori scatenanti
L’alcolista, al pari del cocainomane o dell’eroinomane, soffre di una dipendenza certamente “fisica”, ma anche di una necessità puramente “psicologica” di fare uso di sostanze. Dunque, giustamente, il DSM-5 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders, Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali) parla di una compresenza, nell’alcoldipendente, di un Disturbo da uso di sostanze (Dus), ma anche di un Disturbo ossessivo compulsivo (Doc) che l’alcolizzato non riesce a controllare, costi quel che costi.

Nella Criminologia occidentale, soprattutto quella anglofona, alcuni Autori ritengono che in età giovanile il fattore “gruppo” sia determinante nel consumo eccessivo di bevande alcoliche. Tuttavia, negli alcolisti più avanti con gli anni, è pure vero che molto dipende dal fattore “ambientale”, ovverosia l’abuso di bevande etiliche si concentra in zone criminogene e malfamate, situate, per lo più, all’interno di periferie degradate ove frequenti sono le risse, lo spaccio e le aggressioni causate dall’alcol.
Né, tantomeno, si deve dimenticare che la “bevuta” in compagnia, con tutte proprie conseguenze negative, si concentra, specialmente, nei locali notturni come discoteche e pub, assai frequentati dai giovani avventori durante la notte tra il sabato e la domenica. Si tratta di spazi in cui non esiste alcuna agenzia di controllo e in cui, purtroppo, gli alcolici sono venduti clandestinamente anche a minorenni.
Le cause psicologiche profonde
Nella disintossicazione dell’alcoldipendente sono fondamentali alcuni farmaci che aiutano a ripristinare un giusto equilibrio psicofisico, ma, a parere di chi scrive, è fuorviante la cieca fiducia di certuni operatori nei presunti miracoli di nuovi medicinali quali l’acamprosato, il naltrexone, i serotoninergici e l’acido idrossido-butirrico.

Tuttavia, la verità è che l’alcolista deve prima autoriabilitare il proprio “Io”. Il farmaco, benché di nuova generazione, non può sostituire il percorso riumanizzante che va richiesto al tossicomane. È sempre e comunque necessario un grande e serio sforzo del soggetto uncinato, che non è riducibile a un assuntore di molecole, automaticamente o algebricamente curabile senza un cammino di autocorrezione.
È innegabile che il bevitore cronico soffre, già prima di entrare nel tunnel dell’alcol, di un disturbo ossessivo compulsivo, assai simile a quello patito nei casi del dismorfismo corporeo, dell’anoressia nervosa, del disturbo di depersonalizzazione, dell’ipocondria e della sindrome di Tourette. Si tenga pure presente che, nella quasi totalità dei casi, l’alcolismo è unito a una personalità fortemente ansiosa, la cui sofferenza viene placata, perlomeno nel breve periodo, grazie all’uso smodato di bevande alcoliche, le quali divengono una forma di “automedicazione” alternativa e non convenzionale. Liquori, birre e vini si trasformano in una sorta di “consolazione” che dovrebbe aiutare a fuggire dalla realtà o, perlomeno, ad affrontare meglio le problematiche della vita quotidiana. È tipica dell’alcoldipendente la “fuga” ansiosa dai problemi della vita attraverso tali bevande.
Infatti, tutti gli Autori sottolineano che, già prima di rifugiarsi nell’alcol, il soggetto colpito manifesta comunque disturbi di rilevanza psichiatrica non adeguatamente intercettati e curati durante la fase adolescenziale.
Il ruolo troppo debole delle agenzie di controllo e i limiti della farmacoterapia: la necessità di un approccio umanistico
Nella caotica società odierna postindustriale, le agenzie di controllo non sono più in grado di prevenire l’abuso di sostanze, comprese le preparazioni etiliche. Per esempio, una famiglia tossica non agevola certo la salute mentale del futuro alcoldipendente. Parimenti, un sistema scolastico inidoneo provoca un aumento abnorme dell’ansia nell’adolescente, che potrebbe cercare rifugio nelle sostanze d’abuso. Oppure, ancora, come già detto, un gruppo amicale criminogeno spinge anch’esso verso la tossicofilia.

È vero che l’alcolista patisce un’instabilità nel proprio equilibrio serotoninergico, ma è altrettanto assodato che la farmacologia non può disintossicare totalmente e positivamente il paziente se manca un approccio umano e umanizzante da parte del personale medico. Oggi il farmaco viene proposto come la soluzione a ogni male, ma bisogna diffidare di questa Medicina tracotante e pseudo onnipotente che trascura il mondo interiore e le sofferenze etiche dell’alcoldipendente, il quale non è riducibile a una secrezione ormonale malfunzionante del cervello.
In effetti, nella Dottrina criminologica, esistono operatori secondo i quali l’approccio farmacologico sarà sempre parziale e necessiterà di un continuo aggiornamento. Prima di tutto, il medico deve instaurare con l’alcolizzato un rapporto confidenziale e quasi amichevole, in grado di togliere la persona uncinata da certune situazioni ansiogene o non gestibili.

Le immagini: a uso gratuito da Pexels (autori: Hudson Marques; Chris FAnastasia ShuraevaPolina).

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Andrea Baiguera Altieri

(Pensieri divergenti. Libero blog indipendente e non allineato)

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