Chi è Paolo Zampolli, inviato speciale di Trump in Italia

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Malgrado sia uscito dal giro una ventina d’anni fa, nell’ambiente milanese delle agenzie di modelle c’è chi si ricorda ancora di lui, e ancora lo chiama «Zampa»: e quel nomignolo pare attagliarsi a Paolo Zampolli, 55 anni, imprenditore multiforme con un ruolo nella diplomazia delle Nazioni Unite, nonché nuovissimo «inviato speciale» di Donald Trump in Italia. Perché di «zampate», nella vita, Zampolli ne ha date parecchie.

L’ultima è arrivata grazie al tonitruante presidente degli Stati Uniti, che ha appena scelto «l’amico Paolo» come suo occhio nel nostro Paese. Il ruolo ufficiale che Trump gli ha attribuito, quello di «special envoy», significa che Zampolli avrà il compito di rafforzare i legami politici ed economici tra Washington e Roma, spaziando dai rapporti commerciali alla cooperazione nel settore della difesa. Insomma, mentre il nuovissimo ambasciatore degli Stati Uniti, Tilman J. Fertitta, gestirà gli impegni diplomatici tradizionali, Zampolli seguirà i negoziati politici e commerciali più «delicati». Questo, inevitabilmente, lo ha precipitato al centro di mille curiosità. E la sua biografia contribuisce ad alimentarle. Paolo, infatti, nasce a Milano nel 1970 ed è l’unico figlio di un imprenditore: Giovanni Zampolli, il fondatore della casa dei giocattoli Harbert, che in quegli anni distribuiva in Italia il Dolce Forno dell’americana Hasbro, ma anche i personaggi-bambolotti di Guerre Stellari e dei supereroi Comics e Marvel.

Quando Paolo ha 18 anni, suo padre muore in un incidente di sci. In un’intervista del settembre 2016 al New York Times, Zampolli racconta che quel triste colpo gli impone di lasciare l’università e lo costringe anche a vendere la Herbert. Milano, intanto, inizia a stargli stretta. Viaggia. Fa cose. Vede gente. Nel 1994 partecipa all’organizzazione della gara Look of the Year a Ibiza, dove conosce John Casablancas, fondatore della Elite Models, e qui s’innesca la classica svolta esistenziale: perché Casablancas nota una sua certa abilità e gli consiglia di andare a New York per lavorare nel settore. È così che Paolo trasloca nella Grande Mela, a Union Square, dove fonda una sua agenzia, la ID Models, e inizia a girare il mondo per ingaggiare bellezze da sfilata come Heidi Klum e Claudia Schiffer. Nel 1996 «Zampa» porta in America anche una certa Melania Knauss, promettente modella slovena, cui fa fare servizi fotografici senza troppi veli.

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Frenetico, simpatico, e ovviamente furbo come una volpe, il giovane Zampolli intanto frequenta anche i locali giusti di New York, dal privé del Moomba restaurant al Bowery bar, dove stringe amicizie importanti: per esempio Trump, all’epoca costruttore. Ed è proprio Paolo a far conoscere Melania e Donald: non per nulla, ha dichiarato sempre al NYT, «io sono sempre stato molto bravo a mettere insieme le persone e a far accadere le cose…». L’incontro tra i due, e il colpo di fulmine, avviene nel settembre 1999 durante una festa della Fashion Week al mitico Kit Kat club, sulla Broadway.Nel 2004, «Zampa» cambia ancora settore. È l’amico Donald a convincerlo: «Paolo, tu sei troppo intelligente per un’agenzia di modelle». Allora si mette a lavorare nell’edilizia, per il gruppo Trump, e per quattro anni fa il direttore dello sviluppo internazionale. Poi, però, finisce per rimettersi in proprio, mescolando le sue due esperienze pregresse: nasce così il Paramount Group, un’agenzia immobiliare decisamente innovativa, che organizza visite ad appartamenti e proprietà extralusso per acquirenti molto facoltosi.

La particolarità della Paramount sta nel fatto che affida i suoi clienti a bellissime modelle, trasformate in seducenti venditrici («L’immagine è tutto», sottolinea Paolo), che li scarrozzano per Manhattan in Rolls-Royce, oppure fanno loro sorvolare la città su grandi elicotteri, o li portano sull’Hudson a bordo di eleganti yacht privati. Come spesso accade ai geni, Zampolli ha una personalità poliedrica. Non contento della vita da businessman, che gli ha garantito una notevole agiatezza – il cui segno concreto è una casa a Gramercy Park, con quadri di Canaletto, De Chirico e Picasso – da una dozzina d’anni s’è dato anche alla diplomazia. Nel 2011 la Repubblica Dominicana l’ha nominato suo ambasciatore presso le Nazioni Unite, e nel 2013 ambasciatore per gli oceani e i mari.

Ora, grazie a Trump, Zampolli ha un ruolo diplomatico ben più importante, che lo porterà spesso in Italia e che svolgerà probabilmente tenendo al fianco la splendida moglie Amanda, già modella della sua scuderia newyorkese. Non è il primo compito che l’amico Donald gli affida, da presidente: nel dicembre 2020, poco prima terminare il primo mandato alla Casa Bianca, Trump aveva già nominato Paolo nel consiglio d’amministrazione del John F. Kennedy Center for the performing arts, una rarefatta istituzione culturale di Washington. Ma Zampolli è davvero trasversale politicamente, tant’è vero che nel gennaio 2021 il successore di Trump, il democratico Joe Biden, l’aveva messo nel Consiglio del presidente per gli sport, la fitness e la nutrizione, un think-tank che dovrebbe promuovere stili di vita sani per gli americani. Per tutto questo, non sarà facile contenerlo. Anche perché, a 55 anni, «Zampa» ha ancora due ambiziosi progetti nel cassetto, uno decisamente scherzoso e l’altro mica tanto: «Io vorrei essere “adottato” da Jeff Bezos, capo di Amazon. Per mio figlio Giovanni, che ha 15 anni, vorrei invece che studiasse ad Harvard. E che diventasse presidente degli Stati Uniti».





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