Se l’Europa non vuole ridursi ad imbelli lagnanze, e ritiene – come dovrebbe – di non farsi buttare fuori dal tavolo dei regolatori del mondo, dovrebbe fare poche e sicurissime cose, tra cui un esercito comune in termini di deterrenza militare propria, ma a fini di pace, non per guardarsi in cagnesco in nuova guerra fredda con la Russia. Dovrebbe compattare lo spazio cattolico-ortodosso dell’Östpolitik, come rafforzamento di sé stessa
Dopo l’umiliazione, a mondo unificato, di Zelensky a Washington, e lo spartiacque drammatico che segna nella diplomazia della globalizzazione, a evitare il peggio, anche che scappi il canovaccio comunicativo di mano ai suoi registi, è meglio mantenere i nervi saldi nell’analisi dei fatti. Punto primo: a meno che Zelensky, andato da Trump per dirgli che non firmava l’accordo o l’estorsione sulle terre rare, non sia uno sprovveduto, nel qual caso sarebbe meglio lasci l’Ucraina in mani migliori, lo show dà la sensazione di essere stato, se non concordato, ampiamente previsto nel suo canovaccio dai suoi interpreti.
Ognuno dei due voleva parlare al suo pubblico interno. Trump voleva far sapere in America, a costo di apparire in Europa e in mezzo mondo un imperialista estorsore, in Italia con l’aggravante mafiosa, che quello smidollato di Biden aveva dato a perdere centinaia di miliardi di dollari a Zelensky, e lui, chiudendo una guerra persa (ma non inutile ai fini antieuropei dell’America, anche di Biden), era muscolarmente impegnato a recuperarli all’impoverito, anche da questo spreco, popolo americano.
A Zelensky interessava, più che l’umiliazione a mondo unificato, tornare in patria come chi, non firmando per il prezzo della pace, le terre rare, difendeva l’onore dell’Ucraina e rinfacciava all’ex alleato americano il suo voltafaccia.
Principio di realtà
Punto secondo: dietro le quinte dello show e sullo stesso palcoscenico è andato in onda, sia pure in modo sguaiato e per certi aspetti terrorizzante, il principio di realtà. Che la guerra non si poteva vincere, e andava evitata soprattutto nell’interesse dell’Europa, l’unica che l’avrebbe certamente persa con l’Ucraina. E che ora Trump raccoglie i frutti del lavoro sporco contro il competitor economico europeo fatto da Biden, in questo aiutato dalle paure dei baltici e dalla dissennatezza di alcuni leader europei nel compiacerlo, a cominciare dall’inglese Johnson; e in aggiunta ricuce con Putin (dottrina dell’ultimo Kissinger) e ridisegna un sistema di regolazione internazionale multilaterale imperniato su tre regolatori: USA, Cina, Russia.
Un approccio, questa ricucitura, che sembra più realistico e paradossalmente meno pericoloso del bilateralismo immaginato da Biden sotto le bandiere, lacerate di contraddizioni (vedi la Palestina), dello scontro tra democrazie e autocrazie in nome dei diritti umani.
E che però per gli europei significa la loro riduzione a junior partner, divisi, dell’arroganza dell’America – l’Occidente siamo noi, punto – e l’uscita dal tavolo dei regolatori della globalizzazione. Punto terzo: il problema europeo è nato largamente in Europa.
Dal non aver fatto nulla di significativo – se non in modo surrogato sul terreno delle cointeressenze economiche con la Russia tramite la Merkel, mandate gambe all’aria con la guerra – per giungere a un quadro di sicurezza europea dopo il crollo dell’Urss che tenesse conto, con la sua sicurezza, di quella della Russia ai suoi confini; dalla più o meno supina accettazione dell’illusione di Biden che si dovessero e si potesse “spezzare le reni” alla Russia, dove l’unica cosa sicura è che alla schiena ci saremmo fatti male più noi che altri, al netto dell’inutile carneficina di una generazione di ucraini.
Ergo: se l’Europa non vuole ridursi a imbelli lagnanze, e ritiene – come dovrebbe – di non farsi buttare fuori dal tavolo dei regolatori del mondo, dovrebbe fare poche e sicurissime cose. Spingere in direzione, con le geometrie possibili, di una maggiore unificazione europea.
Darsi una politica estera comune non subalterna ai cambi di indirizzo – per altro fermi a vedere nell’Europa una “fregatura”, come ha detto Trump – a Washington; e un esercito comune in termini di deterrenza militare propria, ma a fini di pace, e di cointeressenze economiche strategiche con la Russia, e non per guardarsi in cagnesco in nuova guerra fredda con la Russia.
Meno sudditanza
Dovrebbe in altri termini l’Europa, forte di una sua reale unità, compattare lo spazio cattolico-ortodosso dell’Östpolitik, come rafforzamento di sé stessa ai fini di essere attore cooperativo con gli Usa di una governance realista e non bellicista del nuovo ordine che la globalizzazione sta disegnando.
E se vuol salvare la liberaldemocrazia – il consiglio vale anche, ma lì la situazione è disperata, considerato il peso delle Big Tech – più che affidarsi alla narrazione democrazie versus autocrazie, platealmente abbandonata da Trump si concentri a riportare la democrazia in casa propria riportando la politica ad una posizione di non sudditanza all’economia e alla sua deriva oligarchica; e non si faccia bastare – soprattutto la sinistra – la pur benvenuta libertà delle lenzuola e il politicamente corretto come surrogato dei bisogni invasi da troppo tempo di democrazia sostanziale: i fondativi, della libertà, diritti di prima generazione, economici e sociali.
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