Un sistema sanitario al collasso, ospedali obsoleti e cantieri bloccati. Dopo anni di immobilismo, ospedali fatiscenti e un Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR) incapace di tradursi in riforme concrete, su richiesta del governatore calabrese Roberto Occhiuto, il Consiglio dei Ministri ha dichiarato lo stato di emergenza per il sistema ospedaliero della Calabria. Un provvedimento straordinario, di durata annuale, che solitamente viene attivato per catastrofi naturali, ma che ora si rende necessario per affrontare una crisi strutturale che ha messo in ginocchio l’assistenza sanitaria regionale.
L’input per l’intervento straordinario del governo è partito dal presidente della Regione, Roberto Occhiuto, che lo scorso 5 febbraio ha inviato una comunicazione al Dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio. Nel documento, Occhiuto descrive «alcune ineludibili esigenze per le quali risulta necessaria l’emanazione di disposizioni che disciplinino procedure acceleratorie volte a consentire la rapida costruzione dei nuovi nosocomi». Si tratta di un’urgenza che affonda le sue radici in un contesto di criticità strutturale. Già vent’anni fa, il governo nazionale aveva dichiarato un’emergenza di Protezione Civile per affrontare le carenze del sistema ospedaliero calabrese, con l’obiettivo di realizzare tre nuovi ospedali su sette previsti. Tuttavia, quella fase si concluse dopo sei anni senza risultati concreti. Oggi, la situazione è ancora più critica. Gli ospedali calabresi sono tra i più vetusti d’Italia: l’ultimo costruito, il Mater Domini di Catanzaro, risale a 18 anni fa, mentre molte strutture sono inadeguate e prive delle necessarie condizioni igienico-sanitarie. Il problema non riguarda solo l’obsolescenza degli edifici, ma anche l’organizzazione interna: gli spazi sono spesso inadatti alle funzioni che ospitano, con ripercussioni sulla qualità del servizio e sul fabbisogno di personale.
Uno dei nodi centrali della questione è la difficoltà nella gestione dei fondi stanziati per l’edilizia sanitaria. Risorse finanziate con fondi Inail da oltre un decennio sono rimaste inutilizzate a causa di una burocrazia farraginosa e della mancanza di una programmazione efficace. Adesso, il commissario straordinario dovrà garantire che tali risorse vengano finalmente impiegate per costruire nuove strutture e ammodernare quelle esistenti. Le linee di intervento principali saranno due: completare gli ospedali pianificati vent’anni fa e procedere alla sostituzione degli edifici esistenti più compromessi. Tra le opere in attesa di realizzazione ci sono i nuovi ospedali della Sibaritide, di Gioia Tauro e di Vibo Valentia, progetti fermi per motivi tecnici e amministrativi. L’obiettivo del governo regionale, come sottolineato da Occhiuto, non è ricominciare da zero, ma aggiornare i progetti già avviati per evitare ulteriori ritardi e possibili contenziosi legali. A questo si aggiunge la necessità di razionalizzare la spesa: gli attuali ospedali calabresi, a fronte di costi elevati, forniscono prestazioni sanitarie inferiori rispetto agli standard nazionali, incidendo negativamente sulla qualità del servizio offerto ai cittadini.
Il provvedimento del Consiglio dei ministri prevede la nomina di un commissario straordinario, il cui compito sarà quello di coordinare gli interventi di riqualificazione della rete ospedaliera e sbloccare i fondi del Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR). Il nome sarà individuato dal capo della Protezione civile, Fabio Ciciliano. Il commissario sarà chiamato a garantire che i lavori procedano senza ulteriori ritardi e che le risorse economiche disponibili vengano impiegate in maniera efficace. Non è la prima volta che la sanità calabrese finisce sotto una gestione straordinaria: la regione è commissariata dal 2010 a causa del mancato rispetto degli adempimenti del piano di rientro sanitario. Il commissariamento è stato disposto dal governo a causa delle gravi criticità economiche e gestionali della sanità calabrese, tra cui deficit finanziario, inefficienza amministrativa e livelli di assistenza inadeguati rispetto agli standard nazionali. Da allora, il sistema sanitario regionale è stato gestito da diversi commissari nominati dal governo centrale, con l’obiettivo di risanare i conti e migliorare i servizi. Tuttavia, nonostante oltre un decennio di gestione straordinaria, i problemi persistono.
Mentre l’Italia si prepara a ingenti investimenti nel settore bellico attraverso le politiche europee di riarmo, tutti gli indicatori mostrano un Servizio Sanitario Nazionale al collasso. Secondo quanto attestato la Ragioneria generale dello Stato, nel 2023 la spesa sanitaria privata in Italia ha superato i 43 miliardi di euro, con un incremento del 7% rispetto al 2022 e del 24% rispetto al 2019, mentre la spesa sanitaria pubblica è cresciuta solo del 2% rispetto al 2022 e del 13,6% rispetto al 2019, raggiungendo i 132,8 miliardi di euro. Si tratta della dimostrazione plastica di come, nonostante le rassicurazioni governative, gli investimenti nella sanità pubblica non siano sufficienti a garantire il mantenimento degli standard di assistenza. A lanciare l’allarme sul pessimo stato di salute del Servizio Sanitario Nazionale era già stato, lo scorso ottobre, un importante rapporto della Fondazione GIMBE. Il report aveva attestato che nel 2023 – tra tempi di attesa infiniti e difficoltà di accesso alle strutture sanitarie – circa 4,5 milioni di italiani hanno dovuto rinunciare a visite mediche e cure specialistiche, rilevando inoltre come il SSN soffra un deficit di oltre 52 miliardi rispetto agli standard europei. Nel frattempo, nel 2023 la mobilità sanitaria – fenomeno vede molti cittadini del Sud Italia spostarsi verso strutture sanitarie del Nord in cerca di cure migliori – ha raggiunto un valore di 2,87 miliardi di euro, superando addirittura i livelli pre-Covid.
[di Stefano Baudino]
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