Marche, un Eldorado per start-up: «Ma adesso servono finanziatori»

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ANCONA La matematica le premia, la realtà le spinge a fare ancora di più. Le Marche si confermano tra le regioni più virtuose nell’accoglienza delle start-up ma sono ancora diverse le ferite aperte. Il dato più interessante è quello che vede le Marche quinte in Italia per numero di start-up in rapporto alla popolazione. Secondo un’elaborazione del Centro Studi Tagliacarne su numeri Unioncamere, la regione al plurale può vantare (per il 2024) una media di 22,8 imprese ad alto tasso di innovazione ogni 100mila abitanti. «Siamo tra le regioni più vivaci» conferma Donato Iacobucci, docente di Economia Applicata all’Università Politecnica delle Marche. Tutto, ovviamente, rapportato alle dimensioni.

 

Sulle 12.133 start-up attive in Italia nel 2024, appena 338 erano marchigiane. Un’inezia se rapportata alle 3.321 della Lombardia. Non che a queste latitudini non ci si sappia difendere come si deve. Due i punti di forza delle Marche secondo Iacobucci: «La vivacità e la forza del sistema imprenditoriale e la solidità del sistema della formazione e della ricerca». Ben 4 gli atenei presenti in regione, un fatto da non sottovalutare. «Le analisi ci dicono che la gran parte delle start-up si trova a ridosso degli atenei» aggiunge il docente.

Le potenzialità

«Siamo una regione con un ottimo potenziale ma ancora poco espresso» avverte Matteo Bina, direttore dell’acceleratore AC75 di Ancona. In particolare, il manager individua alcuni vizi capitali: «La storia più classica da queste parti è quella di una start-up che muove i primi passi e poi parte verso Milano o l’estero perché non trova risorse o possibilità». Secondo Iacobucci, a mancare è un forte sistema di venture capital, ovvero quegli investitori disposti a sobbarcarsi il rischio di mettere denaro contante in un progetto talmente lungimirante da essere un azzardo. O la va, o la spacca. «Da questo punto di vista – dice – le Marche sono un po’ periferiche». Torna in ballo Milano: «Gli investimenti principali vengono fatti lì». Ed è paradossale. «Da un lato stimoliamo i nostri studenti a darsi da fare imprenditorialmente, dall’altro l’ecosistema che trovano una volta usciti dall’università non è ancora pronto a sostenere le loro iniziative». Non servono subito grandi capitali ma almeno le risorse necessarie «a capire se un’idea ha le chance di diventare prodotto» sottolinea il docente. Cercano di invertire la tendenza gli acceleratori, strutture nate per dare ai ragazzi gli strumenti per promuovere le loro idee e trovare finanziatori. Come AC75, uno dei tre delle Marche – assiema a BP Cube e The Hive.

Gli esempi

Nel caso di AC75, l’idea è quella di investire nelle realtà più innovative della silver economy, il mondo dei servizi legati all’invecchiamento. «Finora abbiamo investito in 22 start-up, di cui 6 straniere» racconta Bina. Alcune sono venute a lavorare nelle Marche, come il caso di un’azienda di Barcellona che produce attrezzatura per la riabilitazione dei pazienti colpiti da ictus. «Assumeranno un direttore commerciale ad Ancona ma già si fanno fare lo sviluppo dei software da una realtà di Fermo» continua il direttore. Anche se poi, quasi per assurdo, rimane «impegnativo» trattenere chi nelle Marche ci è nato. Vuole invertire il trend il Comune di Ancona (secondo i dati, Ancona è l’unica provincia ad aver perso start-up tra il 2016 e il 2024), che finanzierà con un massimo di 7800 euro almeno 11 progetti innovativi. «Vogliamo trasformare Ancona nel punto di riferimento per le start-up del Centro Italia» fa ambizioso Marco Battino, assessore alle Politiche giovanili.

 

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