Dall’Unione alla Federazione europea – L’Opinione

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L’idea di un’Europa unita ha radici profonde, che sono fiorite dalle ceneri delle guerre che hanno devastato il continente nel XX secolo. L’Unione europea, come la conosciamo oggi, è il risultato di un processo graduale iniziato con la Comunità economica europea nel 1957, un’alleanza economica che mirava a garantire pace e prosperità attraverso la cooperazione. Col tempo, questa unione si è evoluta, ampliando i suoi obiettivi e il suo raggio d’azione: dal mercato comune alla moneta unica, dall’integrazione politica alla gestione condivisa di sfide globali come la pandemia del Covid-19, le guerre ai suoi confini e le migrazioni. Tuttavia, l’Ue rimane un’entità ibrida, un’organizzazione sovranazionale che oscilla tra la cooperazione tra Stati sovrani e l’aspirazione a una maggiore integrazione. Il passaggio verso una federazione europea, vista la svolta peggiorativa nei rapporti con gli Stati Uniti, quelli già pessimi con la Russia e quelli formali con la Cina, potrebbe essere un passo cruciale se l’Europa vuole essere una entità politica e non solo un accordo di libero commercio, la qual cosa è già importante perché ci ha salvato da guerre e tensioni armate sul nostro continente consentendoci uno sviluppo economico non indifferente.

Adesso però gli europei sono stati messi di fronte alle loro responsabilità, passate (l’idea burocratica dell’unione come dice Gianfranco Fini da addebitare principalmente al centrosinistra che l’ha governata) e future, con una guerra alle porte che potrebbe coinvolgerla direttamente. Adesso non sono più bastevoli i trattati, sarebbe necessario strutturarla come un vero stato federale, con un Governo centrale, una costituzione comune votata e una chiara divisione di competenze tra il livello federale e quello nazionale. Un modello, ispirato agli Stati Uniti d’America con una politica estera e di difesa autenticamente comune che significa un solo esercito con unità di comando capace di intervenire tempestivamente, senza convocare inutili ed incapacitanti riunioni in cui non si decide nulla se non la postura più o meno accattivante nelle foto di gruppo. Magari rafforzando e poi rimodulare la Cooperazione strutturata permanente (Pesco) in ambito militare, a cui attualmente, partecipano 26 Stati membri. Un’iniziativa formalmente avviata nel 2017 e ufficialmente lanciata nel 2018, con l’obiettivo di migliorare le capacità di difesa degli Stati partecipanti.

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Certo il cammino verso una federazione europea è irto di ostacoli e indeterminato. Le diversità culturali, linguistiche e storiche tra i popoli europei alimentano resistenze nazionaliste e scetticismo verso le istituzioni comunitarie. Ci sono infatti partiti politici che riscuotono notevole successo nelle urne come l’Afd in Germania, che vedono nell’integrazione una minaccia alla sovranità nazionale, mentre altri temono una centralizzazione lontana dai cittadini. Purtroppo in pochi però parlano dei rischi per la libertà e l’autorevolezza del continente europeo al cospetto dei grandi imperi contemporanei (Usa, Russia e Cina) che si incontrano e a volte si scontrano sul teatro globale. Anche se la Brexit ha mostrato che il progetto europeo non è irreversibile, non significa che non possa essere attuato pienamente. Si tratterebbe di un salto ambizioso, ma non impossibile, verso un’Europa più solida e coesa, capace di affrontare le incertezze del futuro non come somma di nazioni, ma come entità federata.

Per comprendere questa possibile evoluzione, è utile confrontarla con quello che è avvenuto negli Stati Uniti, il cui percorso storico offre similitudini e differenze. Gli Stati Uniti nacquero come confederazione di colonie indipendenti dopo la Guerra d’Indipendenza (1775-1783). La prima struttura, sancita dagli articoli di Confederazione (1781), fu volutamente debole: non esisteva un esecutivo centrale forte, né un potere fiscale diretto, e gli Stati mantenevano ampia autonomia. Tuttavia l’incapacità di coordinare la difesa, regolare il commercio ed altre questioni politiche generali portarono alla Convenzione di Filadelfia del 1787, dove fu scritta la Costituzione federale. Questo documento creò un Governo centrale con poteri definiti (difesa, politica estera, moneta), bilanciati da un sistema di checks and balances e dalla sovranità residua degli Stati. Questo processo fu accidentato e ricco di insidie come sarebbe quello europeo, infatti ci furono dibattiti accesi tra federalisti e antifederalisti, una ratifica Stato per Stato e per non farsi mancare nulla una Guerra civile (1861-1865) che consolidò l’unità.

Se osserviamo la situazione del continente europeo, in cui la sfida sarebbe quella di Unificare 27 Stati e non 13 Colonie come nel caso americano, ci rendiamo conto che sarà molto più complicato rispetto a quello dei nostri cugini d’oltre oceano. Infatti loro partirono da un contesto più omogeneo, una lingua comune, il diritto britannico, un’esperienza coloniale condivisa e l’assenza di secoli di rivalità storiche, mentre l’Europa è un mosaico di culture, lingue e identità nazionali radicate. Inoltre, la genesi dell’Ue è pacifica e graduale, basata su trattati volontari, mentre gli Usa si forgiarono attraverso una rivoluzione e un conflitto interno. Il vecchio continente però nella sua storia fu già almeno due volte un’unica realtà politica: con l’Impero romano e con il Sacro romano impero, i quali con il diritto quello romano prima e con la religione, quella cristiana dopo, omogeneizzarono i popoli, anche con la forza dei loro eserciti. Proprio per questo l’Europa potrebbe trarre insegnamento dalla propria storia per trovare un’identità condivisa che non annulli le diversità, ma le armonizzi.

Un’Europa federale sarebbe la terza potenza mondiale per popolazione (448 milioni di abitanti) e Pil nominale (18,3 trilioni di dollari), con capacità di competere con Usa e Cina in settori strategici come aerospazio, intelligenza artificiale, microelettronica, e automotive (follie ecognostiche permettendo). L’integrazione delle reti e delle politiche energetiche permetterebbe inoltre di bilanciare l’accesso al gas azero, all’uranio africano e alle rinnovabili nordiche, riducendo la vulnerabilità alle crisi internazionali che continuiamo a indebolire l’economia europea. Peraltro i programmi Erasmus hanno creato nelle nuove generazioni la consapevolezza di appartenere a una grande famiglia continentale e loro proprio giocheranno un ruolo fondamentale per il futuro dell’Ue. La nuova Europa federale dovrebbe ispirarsi al modello americano adottando un Governo centrale con competenze chiave (politica estera, difesa, economia), lasciando agli Stati membri autonomia su questioni locali, come avvenne nel nuovo continente. Tuttavia, il bicameralismo americano, con il Senato che rappresenta gli Stati e la Camera il popolo, potrebbe adattarsi bene a una realtà complessa come quella europea.

Proprio per questo andrebbe donato a tutti i parlamentari europei e ai capi di stato una copia dei The Federalist Papers di Alexander Hamilton, uno dei padri fondatori degli Stati Uniti d’America, in cui è ben sintetizzata l’idea di stato federale. Infatti, per esempio nel Federalist 9, ci dice che “un Governo federale ben costruito può conciliare la libertà degli Stati con la forza dell’unione”, nel 15, scrive “abbiamo un Governo nazionale troppo debole per essere efficace; senza un’autorità centrale adeguata, siamo condannati a languire nell’impotenza e nella discordia”. E nel 23, continua che “se vogliamo essere una nazione capace di difendersi, dobbiamo avere un Governo con l’energia necessaria per rispondere alle crisi”. Egli insisteva che difesa e politica estera richiedessero un’autorità centrale, non frammentata tra Stati gelosi della propria autonomia.

Questo principio si rivelò decisivo nella Convenzione di Filadelfia (1787), dove venne sancito il Governo, un Congresso bicamerale e una Corte Suprema, bilanciando i poteri centrali con quelli statali attraverso un sistema di checks and balances. E proprio nel Federalist 22 critica la dipendenza da unanimità tra Stati perché “un Governo debole genera anarchia o dipendenza da potenze straniere e la necessità dell’approvazione di ogni Stato paralizza l’azione”, un’osservazione che riecheggia oggi per le difficoltà dell’Ue, in campo soprattutto militare, di cui bisogna che gli europei e i loro ceti politici prendano consapevolezza. Addirittura Hamilton propose nel discorso pronunciato alla Convenzione di Filadelfia il 29 maggio 1787 la possibilità che gli Usa divenissero una monarchia elettiva con queste parole “vi può essere, infatti, un buon Governo senza un efficiente Esecutivo? L’esempio inglese era al proposito l’unico da prendersi in considerazione: l’interesse ereditario del re, infatti, si intreccia qui talmente con quello della nazione, ed il suo appannaggio è così grande da porlo al di là di ogni pericolo di corruzione dall’estero; eppoi, allo stesso tempo, egli è abbastanza indipendente ed insieme abbastanza controllato da poter soddisfare, all’interno, ai fini dell’istituzione. Uno dei lati deboli delle repubbliche è, invece, la loro vulnerabilità rispetto all’influenza e alla corruzione straniera. Uomini di poco carattere, assumendo un grande potere, diventano facilmente gli strumenti di vicini intriganti…

Quale il corollario di tutte queste affermazioni? Che noi, per quel che riguarda la stabilità e la permanenza delle cariche, dovremmo spingerci innanzi fin dove lo ammettono i princìpi repubblicani. Dovremmo fare in modo, cioè, che i membri di un ramo della legislatura possano mantenere la carica a vita o almeno fino a quando si comportino in modo onorevole. Anche chi presiede all’Esecutivo dovrebbe ottenere il potere a vita”. Il nostro è un tempo difficile ma ricco di prospettive, bisogna affrontarle e coglierle nell’interesse dei popoli per la difesa della loro libertà. Come scrisse Alexis de Tocqueville a Louis de Kergorlay il 18 gennaio 1837, “l’unico modo per prevenire il ritorno del barbarismo in Europa è stabilire un sistema federale, che unisca i diversi stati senza distruggerne le individualità” (Correspondance d’Alexis de Tocqueville et de Louis de Kergorlay a cura di Paul Albert, Parigi, Hachette, 1897, volume 1).

Aggiornato il 06 marzo 2025 alle ore 10:59

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