Le giornaliste della rete giornalistica somala Bilan durante un servizio nei campi profughi di Mogadiscio – Bilan media
Dare voce alle donne. Quando e dove non ne hanno. Perché della loro condizione ancora troppo svantaggiata – anche nel nostro Paese, dove pure tanti diritti sono acquisiti – si sappia e si parli. E perché le donne ne possano parlare raccontando in prima persona quello che vivono. Da tre anni Avvenire, in occasione dell’8 marzo, ha scelto di investire nella valorizzazione specifica del mondo femminile e del racconto “al femminile” della realtà. Nel 2023 la campagna per le donne afghane – private dei loro diritti basilari dai taleban – e poi nel 2024 quella sulle donne di pace – testimoni coraggiose in ogni parte del mondo della possibilità di dialogo oltre le logiche della guerra – ci hanno accompagnato in un viaggio attorno al mondo che ci ha permesso di moltiplicare reti e contatti. Ed è da qui che abbiamo deciso di ripartire, quest’anno: dalle donne che continuano a raccontare le donne anche a rischio della propria libertà e della propria vita, nei Paesi dove il giornalismo è la prima forma di resistenza alla privazione dei diritti e della dignità del genere femminile.
Dal Libano all’Iraq, dal Messico alla Nigeria, dall’Afghanistan alla Somalia, dall’India al Perù: sono 10 le reti indipendenti di giornaliste che hanno aderito alla nostra proposta “Donne senza frontiere”, e altre se ne aggiungeranno nelle prossime settimane. Ognuno di queste media, prevalentemente online, svolge un ruolo fondamentale nel proprio territorio, pubblicando inchieste e rilanciando denunce su temi specifici che riguardano le donne come istruzione, salute, violenza di genere, discriminazioni, ma anche empowerment e imprenditoria. A partire da sabato 8 marzo pubblicheremo su queste pagine ogni 15 giorni un reportage di ciascuna delle reti coinvolte. Online, in uno spazio dedicato del nostro sito internet avvenire.it, i reportage potranno essere consultati in italiano e in lingua originale (inglese e spagnolo), in modo da darne la massima diffusione. Perché è questo l’obiettivo: dare voce alle giornaliste del Sud del mondo e ai loro racconti che non trovano spazio altrove, non solo in Occidente ma talvolta nemmeno nei loro stessi Paesi. Gli argomenti saranno i più vari: le scuole religiose nell’Afghanistan nell’apartheid di genere come unica possibilità per le ragazze di uscire dall’isolamento, la piaga dei matrimoni precoci in Uganda, la lotta delle attiviste in difesa dell’acqua in Messico, la resilienza delle donne yazide dopo il genocidio in Iraq…

Quanto (poco) parlano le donne del Sud del mondo, arrivate in Italia, in tv rispetto agli uomini. Unica variazione, nell’anno dell’inizio della guerra in Ucraina – Carta di Roma/Osservatorio di Pavia
Di molti di essi, sui nostri media, non si parla mai: «Fanno “notizia”, le donne straniere e migranti – ha spiegato Paola Barretta, portavoce dell’Associazione Carta di Roma, alla conferenza stampa di presentazione della campagna avvenuta nella sede dell’Associazione Stampa Estera di Palazzo Grazioli, nella Capitale, martedì – quando accadono efferati casi di cronaca, come l’omicidio della giovane pachistana Saman Abbas». Le più invisibili tra gli invisibili, se è vero, come documentato dal focus realizzato per l’evento dall’Osservatorio di Pavia, che di Sud globale e di migrazioni e migranti sui media italiani si parla poco e sempre in ottica emergenziale, con toni allarmistici, dando spazio soprattutto alle voci del mondo politico e istituzionale: «Nel 2024 solo il 7 per cento dei servizi dei telegiornali ha incluso la voce diretta dei protagonisti, confermando un trend consolidato negli anni. Unica eccezione, nel 2022, proprio il racconto del dramma delle profughe ucraine, accolte diffusamente in Italia con i loro bambini», ha proseguito Barretta. Storie e testimonianze, insomma, scompaiono, e a scomparire sono principalmente quelle al femminile, già di per sé sottorappresentate. «Della condizione delle donne, della loro resilienza e protagonismo non c’è traccia. Sono descritte per lo più come inermi, bisognose d’aiuto o come vittime».

L’andamento della rappresentazione delle donne straniere sui nostri media negli anni. I picchi, di nuovo, la guerra in Ucraina (col racconto delle storie delle profughe ucraine) e l’omicidio di Saman Abbas – Carta di Roma/Osservatorio di Pavia
Ecco perché, ha ribadito anche il presidente di Carta di Roma, l’inviato di Avvenire Nello Scavo, «sostenere e mettere in rete il lavoro delle giornaliste del Sud del mondo è la rivoluzione necessaria anche al nostro modo di raccontare il mondo e le migrazioni». «L’impegno di Avvenire d’altronde è da sempre questo – ha spiegato il direttore Marco Girardo -. Apriamo le porte del nostro giornale a una rete globale di giornaliste, per dar voce a storie altrimenti invisibili. Perché è così importante? Perché la realtà è quella che si costruisce attraverso la testimonianza diretta di chi vive il conflitto, la povertà, la speranza. E spesso, troppo spesso questo racconto ha un volto femminile».
A raccontarsi martedì a Roma, in collegamento da Londra, Mogadiscio e Sinjar, c’erano le direttrici di tre reti coinvolte: «In Afghanistan viviamo un’apartheid di genere. Le donne sono escluse progressivamente da ogni ambito della vita sociale. Parlare di quanto accade è la prima forma di resistenza e la possibilità di essere ascoltate per noi significa speranza», ha spiegato Zahra Joya, fondatrice di Rukhshana Media, una piattaforma che si occupa specificamente della situazione delle donne nell’Emirato. Toccante la testimonianza di Hinda Abdi Mohamoud, direttrice del network femminile indipendente Bilan Media: «Non è facile essere una giornalista in Somalia. Quando ti vedono in giro a fare interviste, tanti ti dicono: “Che fai qui? Torna a casa e occupati di cose da donna!”. Bilan nasce proprio per aiutare a combattere la discriminazione. E, pian piano, gli effetti si notano. Ora è meno insolito vedere una donna con il microfono o il quaderno degli appunti». Infine Juwan Shro, attivista e giornalista yazida: «Durante il massacro da parte dei miliziani del Daesh, nel 2014, il popolo yazida e le sue donne erano entrate nell’agenda mediatica internazionale. È stato, però, solo un momento fugace. Ora chi ci ricorda più? Eppure continuiamo ad affrontare sfide enormi. Per questo è importante far arrivare la nostra testimonianza in Europa e in Italia». Appuntamento allora con “Donne senza frontiere” su Avvenire e avvenire.it a partire dall’8 marzo con i reportage delle nostre colleghe del Sud del mondo.
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