Fattori che minano la sopravvivenza dell’actinidia: dalla batteriosi alla morìa

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Negli ultimi anni, la coltivazione dell’actinidia in Italia è stata compromessa da due gravi problematiche fitosanitarie: il cancro batterico e la moria del kiwi. Sebbene la ricerca abbia sviluppato strategie di difesa per il cancro batterico, la moria del kiwi rappresenta una sfida ancora aperta, a causa della sua natura complessa e multifattoriale, con impatti significativi per la sopravvivenza dell’actinidia.

Cancro batterico del kiwi: un nemico noto ma insidioso
Il cancro batterico del kiwi, causato dal batterio Pseudomonas syringae pv. actinidiae (Psa), ha iniziato a diffondersi in Italia nel 2008, determinando significativi danni agli actinidieti con conseguenti ingenti perdite economiche per l’intera filiera. Sono colpite le coltivazioni di maggior interesse commerciale quali: Actinidia chinensis e A. deliciosa. Nel caso del cancro batterico, le ricerche hanno reso noto che Psa si diffonde attraverso materiale vivaistico infetto, attrezzi contaminati e fenomeni atmosferici come piogge, vento, gelate tardive e grandinate.

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Per la moria del kiwi, invece, la ricerca non è stata ancora in grado di individuare gli agenti causali. Il batterio penetra nella pianta attraverso gli stomi, gli idatodi e le ferite, nelle stagioni autunnale e primaverile, diffondendosi rapidamente a livello vascolare. I sintomi includono cancri corticali con essudato biancastro che, a contatto con l’aria, assume una caratteristica colorazione rosso ruggine, maculature fogliari (Foto 1), avvizzimento di gemme e disseccamento dei tralci e, in assenza di interventi, la malattia può portare alla morte della pianta.

Foto 1: sintomi di cancro batterico

Inizialmente le modalità d’intervento per il contrasto della malattia non erano chiare, ma oggi, grazie agli studi condotti, si è arrivati a individuare strategie di tipo preventivo, poiché non esistono tecniche curative risolutive. Queste includono: l’uso di prodotti rameici in momenti strategici (dopo la raccolta, dopo la potatura e dopo eventi climatici estremi), ispezioni regolari per individuare precocemente i sintomi, pratiche agronomiche mirate a ridurre l’umidità e migliorare l’arieggiamento, quali la gestione attenta dell’irrigazione, le potature razionali e la disinfezione degli strumenti di lavoro. Nei casi più gravi, la rimozione e la distruzione delle piante infette rappresentano un intervento necessario per contenere la diffusione del patogeno.

Moria del kiwi: una sfida ancora aperta
A differenza della batteriosi, la moria del kiwi non è causata da un singolo patogeno, ma deriva dall’interazione di fattori biotici e abiotici, ancora oggetto di studi e di ricerche. Segnalata per la prima volta dodici anni fa, nel veronese, questa sindrome si manifesta nella stagione calda, soprattutto nei mesi di giugno e luglio, quando le piante di actinidia registrano i più alti tassi di traspirazione. I primi sintomi, non immediatamente visibili, sono caratterizzati dall’imbrunimento delle radici e la riduzione del capillizio radicale (Foto 2), seguiti da disseccamento fogliare e filloptosi anticipata (Foto 3), le cui conseguenze sono il collasso delle piante entro due anni dalla comparsa dei sintomi, quando non si interviene tempestivamente.

Foto 2: radici di actinidia colpite da moria

Le conoscenze attuali evidenziano il coinvolgimento di oomiceti, del genere Phytopythium, presenti nel suolo, favoriti da ristagni idrici e alte temperature. Inoltre, le caratteristiche chimico-fisiche e microbiologiche del suolo influenzano la suscettibilità della coltura. Il cambiamento climatico ha esacerbato la problematica. Le estati più siccitose seguite da piogge abbondanti, infatti, alterano il regime idrico del suolo, aumentando lo stress radicale e favorendo l’insorgenza della sindrome.

Poiché non sono ancora state individuate strategie di prevenzione e contenimento per questa sindrome, complessa e multifattoriale, continua a essere fondamentale proseguire con gli studi e le ricerche atte a comprendere le origini di questa sindrome. In questo contesto di ricerca, si inserisce il progetto “From SOil to Soil: origin and remediation to KIWIfruit Vine Decline Syndrome” (SOS-KIWI).

Foto 3: actinidieto con evidenti sintomi di disseccamento fogliare a causa della moria del kiwi

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SOS-KIWI: un progetto per salvare il kiwi
Per comprendere meglio la moria del kiwi e individuare strategie di mitigazione, è stato avviato il progetto SOS-KIWI, primo programma a livello nazionale sostenuto dalle Fondazioni bancarie del Progetto Ager, che coinvolge diversi enti di ricerca, tra cui Università degli Studi di Udine (capofila), Università degli Studi di Torino, Università degli Studi di Napoli Federico II, Università degli Studi Mediterranea di Reggio Calabria e Fondazione Agrion. L’obiettivo del progetto è studiare la moria del kiwi come modello di fitopatia multifattoriale analizzando i meccanismi alla base di questa sindrome complessa e individuando strategie per prevenirla e contenerne la diffusione.

La ricerca si concentra sull’identificazione dei fattori pedologici, agronomici e microbiologici legati all’insorgenza della moria. Tecniche di biologia molecolare permettono di rilevare precocemente i microrganismi patogeni, mentre tecnologie di metagenomica all’avanguardia aiutano a identificare i principali microrganismi patogeni e i loro effetti sulla salute della pianta.

Un altro aspetto chiave è la selezione di varietà di Actinidia più tolleranti alla moria, da destinare alle aree a rischio, ma vocate alla coltivazione del kiwi. Parallelamente, il progetto punta a migliorare lo stato fitosanitario del materiale vivaistico e a promuovere pratiche di gestione del suolo che ne preservino la fertilità e la biodiversità microbica, come l’uso di microrganismi antagonisti e la biofumigazione del suolo con estratti di Brassicaceae.

Un ulteriore obiettivo è lo sviluppo di consorzi microbici benefici capaci di favorire la crescita delle piante e aumentarne la resistenza agli stress. Infine, le conoscenze acquisite verranno trasferite agli agricoltori che potranno mettere in pratica i risultati ottenuti attraverso le sperimentazioni in campo. Queste ultime consentiranno di individuare strategie efficaci e sostenibili per la riduzione dell’impatto della moria del kiwi a salvaguardia della coltivazione dell’actinidia in Italia.



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