Partite Iva più a rischio povertà dei dipendenti, la classifica delle regioni


Secondo un’elaborazione dell’Ufficio studi della Cgia di Mestre suI dati Istat, il rischio di povertà o esclusione sociale riguarda il 22,7% delle famiglie in cui il capofamiglia è un lavoratore autonomo. Una percentuale nettamente più alta rispetto al 14,8% registrato tra le famiglie con a capo un dipendente. Negli ultimi decenni, il calo del potere d’acquisto dei salari ha indubbiamente colpito molti operai e impiegati con bassi livelli contrattuali, ma la situazione per gli autonomi è stata ancora più difficile. I loro fatturati hanno subito pesanti riduzioni, compromettendo in modo significativo la qualità della vita di chi lavora con partita Iva.

Oltre 5 milioni di partite Iva, metà sono forfettari

In Italia si contano circa 5,17 milioni di lavoratori indipendenti. Quasi la metà di loro opera in regime dei minimi o forfettario: si tratta di attività individuali, prive di dipendenti e di una vera struttura aziendale, con un fatturato annuo inferiore agli 85mila euro. In pratica, semplici partite Iva che fanno dell’autoimprenditorialità la propria forma di sostentamento.

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Questo è il caso di molti giovani, numerose donne e tante persone over 50, soprattutto nel Mezzogiorno, che vivono di piccoli incarichi o consulenze, spesso senza alcuna tutela sociale o sostegno pubblico. Una condizione precaria, caratterizzata da difficoltà nell’incassare i compensi e da una forte vulnerabilità economica, che li espone al rischio concreto di povertà o esclusione sociale.

Rispetto al 2003 i redditi degli autonomi sono scesi del 30%

Negli ultimi vent’anni, il reddito dei lavoratori autonomi ha subito una contrazione pari al 30%, una flessione più marcata rispetto a quella dei dipendenti, il cui calo si è fermato all’8%. Per i pensionati, invece, il livello di reddito è rimasto sostanzialmente stabile.

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A pesare sulla tenuta economica delle partite Iva sono stati diversi fattori:

  • la fragilità strutturale di molte micro attività;
  • il progressivo crollo dei consumi interni dovuto alle crisi economiche succedutesi negli anni;
  • la concorrenza sempre più aggressiva della grande distribuzione e del commercio elettronico.

Un mix che ha messo in seria difficoltà migliaia di piccoli imprenditori e professionisti.

I numeri delle regioni: quali sono quelle a rischio povertà

Gli italiani a rischio di povertà o esclusione sociale ammontano a 13,5 milioni, pari al 23,1% della popolazione. Più della metà, circa 7,7 milioni e pari al 57% del totale, vive nel Mezzogiorno. La regione con il maggior numero di persone in difficoltà è la Campania, con 2,4 milioni di residenti coinvolti, seguita dalla Sicilia (1,9 milioni), dal Lazio (quasi 1,5 milioni) e dalla Puglia (1,46 milioni).

Se si considera invece la quota percentuale rispetto alla popolazione regionale, nella classifica delle regioni a rischio povertà è la Calabria a registrare il dato più allarmante, con il 48,8% degli abitanti interessati dall’emergenza. Subito dopo si collocano Campania (43,5%), Sicilia (40,9%) e Puglia (37,7%). Ecco i dati di tutte le regioni:

  • Calabria (48,8%);
  • Campania (43,5%);
  • Sicilia (40,9%);
  • Puglia (37,7%);
  • Sardegna (29,6%);
  • Molise (27,5%);
  • Lazio (25,8%);
  • Basilicata (25,4%);
  • Abruzzo (25,1%);
  • Toscana (15,2%);
  • Lombardia (14,1%);
  • Umbria (14,0%);
  • Liguria (13,8%);
  • Piemonte (13,5%);
  • Friuli-Venezia Giulia (12,4%);
  • Veneto (12,4%);
  • Marche (11,8%);
  • Valle d’Aosta (10,7%);
  • Emilia-Romagna (10,1%);
  • Trentino-Alto Adige (8,8%).

I dazi possono peggiorare la situazione?

Dato che la maggior parte dei lavoratori autonomi non è direttamente coinvolta nei mercati esteri né inserita nelle filiere produttive orientate all’export, l’impatto immediato dei dazi annunciati dal presidente Donald Trump nei giorni scorsi dovrebbe essere limitato. Tuttavia, lo scenario potrebbe evolvere in modo meno favorevole.

Qualora le misure protezionistiche adottate dagli Stati Uniti dovessero rallentare la crescita economica globale e alimentare un aumento dell’inflazione in Italia, proprio i lavoratori autonomi più vulnerabili rischierebbero di subire le conseguenze più gravi. Come spiega la Cgia:

è necessario, dove possibile, diversificare i mercati di vendita all’estero dei nostri prodotti e rilanciare la domanda interna, attraverso la messa a terra del Pnrr e una ripresa dei consumi che potrebbe essere agevolata proseguendo nella riduzione delle imposte a famiglie e imprese.





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