Sul fondo del Baltico – Ondřej Kundra

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Se si potesse scegliere il luogo ideale dove fermarsi con la barca per le vacanze, forse sarebbe questa remota baia del litorale baltico poco lontano da Helsinki, immersa in un paesaggio mozzafiato dominato da speroni di roccia e abeti. Ma i nove uomini a bordo della nave ancorata qui da settimane probabilmente non fanno caso alla bellezza dei dintorni. Non sono in vacanza e non hanno scelto loro il posto. Inoltre, hanno la vista bloccata da una motovedetta della guardia costiera finlandese che gli impedisce di mollare gli ormeggi.

La nave su cui si trovano, la Eagle S, non è un’imbarcazione da diporto, ma una petroliera lunga 230 metri che il 25 dicembre 2024, trascinando un’ancora sul fondo del mare, ha danneggiato il cavo sottomarino Estlink 2, che trasportava elettricità dalla Finlandia alla vicina Estonia. La polizia locale, sospettando che non si sia trattato di un incidente ma di un atto voluto, ha vietato a nove delle 24 persone dell’equipaggio di lasciare il paese fino alla fine delle indagini.

La Eagle S, battente bandiera delle Isole Cook, era partita da un porto russo con un carico di petrolio destinato alla Turchia ed è diventata la più famosa tra le navi della cosiddetta “flotta ombra russa”, le imbarcazioni che Mosca usa per aggirare le sanzioni occidentali sull’esportazione di petrolio e gas e, con tutta evidenza, per compiere operazioni di sabotaggio. L’Europa ha accolto positivamente la decisione finlandese di fermare la nave e far luce sull’incidente, giudicandola una risposta coraggiosa e decisa alla “guerra ibrida” condotta dal Cremlino. Nel frattempo, dai boschi che circondano la baia, si affacciano turisti provenienti da tutta la Finlandia per vedere quello che succede.

A cento chilometri di distanza, dall’altra parte del golfo di Finlandia, sono ormeggiate tre navi da guerra della Nato. Attraverso la fitta nebbia il porto di Tallinn è appena visibile. Pioviggina. Uno dei marinai viene a prendermi al molo e mi porta sul ponte di comando della fregata Tromp della marina olandese. “Sa perché la nave si chiama così?”, mi chiede il capitano di vascello Arjen Warnaar, un uomo di 61 anni dal viso spigoloso che ha dedicato tutta la vita al servizio nelle forze navali dei Paesi Bassi. Provo a fare una battuta e dico che il nome potrebbe avere qualcosa a che fare con il nuovo presidente degli Stati Uniti Donald Trump, notoriamente molto vanitoso, ma Warnaar ribatte serio: “Maarten Tromp è stato uno dei grandi comandanti di marina nel seicento. Combatté per permettere alle navi mercantili di navigare in sicurezza. Era consapevole dell’importanza della libertà ed è morto per difenderla. C’è una relazione tra quello per cui lui ha lottato e quello che stiamo facendo qui oggi. Se Tromp fosse vivo, gli incidenti nelle nostre acque lo preoccuperebbero molto, anche se non sono legati al commercio, ma soprattutto alla libertà di comunicare, trasportare energia e dati”.

Le sue non sono speculazioni: il capitano di vascello elenca le sempre più frequenti operazioni delle petroliere che, battendo bandiera di stati esotici, esportano dai porti di San Pietroburgo e Ust-Luga petrolio, gas e benzina verso l’Asia centrale in violazione delle sanzioni occidentali. I profitti di questo commercio servono a finanziare la guerra in Ucraina. Dallo scorso anno, queste petroliere hanno cominciato a compiere anche azioni di sabotaggio: per esempio gettare l’ancora dove il mare è poco profondo e trascinarla per decine di chilometri con la chiara intenzione di distruggere i cavi sottomarini che trasportano dati ed elettricità tra gli stati baltici e la Finlandia o la Svezia.

La Russia, accusata direttamente dalla Nato, nega ogni responsabilità: le petroliere navigano sotto bandiere straniere e hanno equipaggi internazionali (la Eagle S, per esempio, è di proprietà di una società di Dubai, è gestita da una compagnia indiana, batte bandiera delle Isole Cook ed è comandata da un capitano georgiano), quindi è difficile dimostrare il legame con Mosca. Tuttavia, gli esperti di sicurezza della Nato non hanno dubbi sul coinvolgimento della Russia. Per questo la flotta – centinaia di navi non assicurate e in cattive condizioni – è stata chiamata “flotta ombra” della Russia.

“Certo, gli alieni”, mi risponde sarcasticamente Warnaar quando gli chiedo se il danneggiamento del cavo Estlink 2 possa essere opera di qualcun altro. “Siamo qui per scoraggiare possibili aggressori. Raccogliamo dati sul movimento delle navi e siamo pronti a intervenire in qualsiasi momento”, dice il capitano di vascello a proposito della missione nel Baltico. La zona è sorvegliata anche da droni, aerei e satelliti.

L’operazione Baltic sentry (sentinella del Baltico) prevede il dispiegamento di navi militari, aerei di pattugliamento marittimo e droni navali di paesi della Nato, che avranno il supporto di altre imbarcazioni provenienti da Svezia, Finlandia, Lituania, Lettonia ed Estonia. “Ogni nave che lascia San Pietroburgo sa di essere sorvegliata”, aggiunge Erik Kockx, il capitano della fregata Luymes.

L’equipaggio della Eagle S, composto da nove persone, non si sta preparando per nessuna battaglia. I finlandesi hanno intercettato la nave con un’operazione lampo, perché, dopo diversi incidenti simili, stavano monitorando il passaggio delle navi della flotta ombra russa. Quando è saltata la corrente in Estonia hanno immediatamente individuato le imbarcazioni vicine al tracciato del cavo rotto. La più vicina era la Eagle S. Quindi la marina finlandese è intervenuta sulla base delle coordinate radar che evidenziavano la velocità di crociera stranamente bassa della petroliera.

Anche i paracadutisti estoni erano pronti a intervenire, ma i finlandesi, in quel momento più vicini, sono atterrati sulla Eagle S con l’elicottero. L’imbarcazione si è diretta verso le coste finlandesi e ha gettato l’ancora nella baia vicino alla città di Porvoo, a cinquanta chilometri da Helsinki. I finlandesi hanno aperto un’indagine e l’equipaggio ha negato di essere responsabile dell’incidente, ma i sub finlandesi hanno trovato una delle ancore della Eagle S sul fondo del mare, indizio del coinvolgimento della nave nella rottura del cavo Estlink 2.

Mango, cioccolato e vaniglia

L’indagine continua, la parte più difficile ora sarà dimostrare che è stata un’azione deliberata. Nel frattempo i giornali e le tv finlandesi si concentrano sulla vita dell’equipaggio agli arresti: nessuno è autorizzato a lasciare la nave, ma a giudicare dalle interviste rilasciate dai dipendenti delle aziende di catering svedesi che portano i pasti a bordo, nessuno sta soffrendo la fame. I marinai della Eagle S chiedono e ricevono regolarmente uova, yogurt, latte, riso, noodles, carne, pesce congelato, hamburger, ma anche gelati: al mango, al cioccolato e alla vaniglia. Chi paghi non è dato saperlo. “Comunque sembrano tutti in salute”, racconta ai giornali finlandesi Mika Teittinen, il capitano della nave che trasporta le provviste sull’Eagle S.

Chi oggi vuole osservare l’enorme petroliera dalla riva deve fare attenzione. Il percorso di accesso alla baia è ghiacciato, ma camminando con cautela è percorribile. Alla fine c’è un molo di legno: la nave è ormeggiata a circa un chilometro di distanza. La guardo mentre un altro curioso si ferma in silenzio accanto a me.

“Inizialmente pensavo di andare a una mostra a Helsinki oggi, ma questo è meglio. Ed è merito del nostro governo! Ne sono orgoglioso”, mi dice l’uomo mentre fotografa l’Eagle S con il cellulare. “I marinai hanno tutto quello che gli serve, l’ho letto sul giornale. Noi non siamo come loro, la nostra forza sta nel rispettare le regole e nel comportarci correttamente. Comunque sia, l’indagine sarà condotta in modo rigoroso”.

I mercatini di Natale nel centro storico di Tallinn sono tra i più famosi e pittoreschi d’Europa. Forse è per questo che oltre un mese dopo la fine delle vacanze le decorazione sono ancora al loro posto. Le luminarie abbelliscono il vicino edificio del ministero degli esteri, che era la sede del Partito comunista estone durante il regime sovietico.

Il palazzo non è particolarmente bello, ma le finestre ai piani superiori offrono una vista meravigliosa della città, incluso il porto dove la Tromp è temporaneamente ormeggiata. “Siamo contenti che le navi della Nato siano qui”, afferma il capo della cancelleria del ministero Jonatan Vseviov. “Le minacce alla sicurezza che dobbiamo affrontare sono reali. Dopo l’incidente con la petroliera Eagle S siamo ancora più attenti e coordiniamo la situazione con gli alleati. Posso assicurarle che siamo più preparati che mai ad agire”.

Marius Česnulevičius, consigliere per la sicurezza del presidente lituano, che incontro a Vilnius, a seicento chilometri di distanza, è sulla stessa lunghezza d’onda. Nel corridoio dello storico edificio del palazzo presidenziale ci sono una serie di fotografie dell’attuale presidente Gitanas Nausėda, in gran parte scattate insieme a soldati lituani o in Ucraina: qui la sicurezza è un tema cruciale. A gennaio la Lituania ha annunciato che si impegnerà a spendere tra il 5 e il 6 per cento del pil per la difesa tra il 2026 e il 2030, come richiesto dal presidente degli Stati Uniti Donald Trump. Parte dei fondi sarà destinata all’ammodernamento della marina.

“I finlandesi hanno dimostrato un’eccellente prontezza nel caso dell’Eagle S”, mi dice Česnulevičius. “Tuttavia, le navi della flotta ombra continuano a solcare il Baltico, quindi è necessario investire in sicurezza e parlarne ampiamente all’opinione pubblica. Se non lo facessimo, i costi di eventuali danni e rischi sarebbero molto maggiori”.

L’esperto militare Aleksandras Matonis aggiunge che in Lituania gli attacchi nel mar Baltico sono un argomento di grande attualità: “L’8 febbraio ci siamo scollegati dalla rete elettrica russa per collegarci a quella europea. Prima che questo succedesse, i russi hanno testato in tutti i modi ogni nostra possibile vulnerabilità”.

A bordo della nave della marina militare francese Atlantique 2, in missione nel Baltico, 23 gennaio 2025 

(John Leicester, Ap/Lapresse)

Le stime degli esperti suggeriscono che la flotta ombra russa attualmente sia composta da un migliaio di petroliere. Alcune sono tra quelle sanzionate dall’Unione europea o dai suoi paesi, quindi non possono attraccare nei porti europei e muoversi nelle acque territoriali dei singoli stati. Tuttavia, possono passare attraverso le cosiddette zone economiche esclusive, che possono estendersi fino a 188 miglia nautiche dal limite esterno delle acque territoriali, che di solito arrivano a 12 miglia dalla costa.

Se in queste acque non succede niente di illegale, nessun paese europeo interviene, anche se tutti sanno cosa trasportano le navi in questione e che il denaro raccolto dalla vendita di materie prime russe alimenta la guerra di Mosca in Ucraina.

I governi occidentali temono che, se decidessero di bloccare le petroliere, i russi potrebbero farle scortare da navi militari, aumentando così il rischio di un conflitto tra Mosca e la Nato. Inoltre, anche i russi e i loro alleati potrebbero decidere di bloccare le navi occidentali che transitano nelle loro zone economiche, mettendo in pericolo i commerci internazionali.

Ma quando le navi della flotta ombra russa cominciano a usare le ancore come un’arma, allora la questione cambia.

La situazione è delicata. I finlandesi sono intervenuti nelle loro acque territoriali, ma nella zona economica esclusiva nessuno è ancora entrato in azione, e quindi non si sa quale potrebbe essere la reazione della Russia. Inoltre non tutti gli attacchi ibridi provengono dalla flotta ombra russa: ci sono anche azioni di cui è sospettata la Cina. Nell’ottobre 2023 la portacontainer cinese Newnew Polar Bear, battente bandiera di Hong Kong, ha tagliato con un’ancora il gasdotto Balticconnector tra Finlandia ed Estonia. Dopo l’accaduto Pechino ha condotto un’indagine e ha ammesso la responsabilità della portacontainer, affermando però che si era trattato di un incidente.

In seguito, il 20 novembre dello stesso anno, un’altra nave cinese, la Yi Peng 3, è stata accusata dagli svedesi di aver distrutto due cavi di comunicazione tra la Finlandia, la Germania, la Lituania e l’isola svedese di Gotland. Nonostante l’impegno a collaborare, Pechino non ha lasciato salire a bordo gli investigatori svedesi e la Yi Peng 3 ha lasciato il Baltico prima che si facesse luce sull’accaduto. Quando la petroliera Eagle S ha provato fare lo stesso, i paesi affacciati sul mar Baltico hanno perso la pazienza e i finlandesi hanno agito con grande determinazione. Se i russi avessero cercato di riprendersi la nave, avrebbero di fatto ammesso il loro legame con la flotta ombra.

La partecipazione di navi cinesi in operazioni di guerra ibrida contro i paesi della Nato solleva la questione di un possibile coordinamento con la Russia. “Nelle operazioni di guerra ibrida di solito le prove dirette sono quasi inesistenti. Dovrebbe essere il capitano a dire: ‘Sì, abbiamo danneggiato i cavi e lo abbiamo fatto perché qualcuno ce l’ha ordinato o ci ha pagato per farlo’”, osserva l’analista finlandese Sari Arho Havrén, esperta di Cina del centro studi britannico Royal united services institute. “Ma il fatto è che la Cina e la Russia si stanno coordinando in vari settori, tra cui sicurezza e difesa. Quindi non si vede perché in questa cooperazione non dovrebbero rientrare anche gli attacchi ibridi in mare contro l’occidente”.

Cause degli incidenti ai cavi sottomarini, stime basate sull’analisi di dati globali dal 1959 al 2021, percentuale del totale

(iscpc.org)


Arho Havrén sottolinea che gli eserciti cinese e russo, così come le loro guardie costiere, hanno condotto più di cento addestramenti congiunti. Nel 2023, per esempio, alcuni bombardieri cinesi e russi hanno volato insieme vicino all’Alaska dichiarando poi il sostegno reciproco in alcuni comunicati pubblici. Di fronte a questa minaccia, la Nato e i suoi alleati nella regione stanno cercando di reagire su più livelli.

Ancor prima del lancio dell’operazione Baltic sentry, il Regno Unito, i Paesi Bassi e i paesi nordici e le repubbliche baltiche avevano ideato un’iniziativa basata sull’uso dell’intelligenza artificiale per analizzare i dati sui movimenti delle navi nel mar Baltico e individuare potenziali minacce. Le navi sospette sarebbero poi state monitorate e segnalate alla Nato.

In un articolo per il sito d’informazione Politico, Elisabeth Braw, del centro studi Atlantic council di Washington, ha suggerito una strategia ancora più innovativa: offrire incentivi economici agli equipaggi delle navi sospette per fargli rispettare le regole. Tuttavia su quest’ultimo progetto non c’è ancora un accordo, di conseguenza ad avere l’ultima parola continuano a essere le forze navali alleate.

Quando il comandante della marina lituana, l’ammiraglio Giedrius Premeneckas, sale a bordo sulla nave comando Jotvingis, lunga 60 metri, il penultimo martedì di gennaio, i marinai lo accolgono con un fischio, come si conviene alla carica. Lo seguo sul ponte e mi siedo in una delle cabine piacevolmente riscaldate, con sedili in pelle e piccoli oblò attraverso cui si può osservare il mare.

Proprio come cinque giorni fa a Tallinn, però, a Klaipeda, il porto più grande della Lituania, la visibilità è scarsa. Tutto è coperto di nebbia, prodotta dall’incontro tra il calore del mare e l’aria fredda. “Ottimo tempo per la vela”, scherza Premeneckas. Poi passa rapidamente a un tono serio. “Oggi, dopo questa serie di incidenti, dobbiamo stare tutti in mare il più possibile e raccogliere dati su quello che succede. Abbiamo uno speciale algoritmo che ci permette di riconoscere le minacce ibride. Teniamo sotto controllo la velocità e la decelerazione delle petroliere e una serie di altri parametri”, spiega l’ammiraglio, aggiungendo che i lituani sono costantemente in contatto con la Nato.

Sono le undici del mattino, la nostra breve conversazione termina e il comandante torna a terra per svolgere i suoi compiti. Rimango a bordo e con l’equipaggio salpiamo verso il mare aperto. Le navi della marina lituana – nel porto di Klaipeda ce ne sono sei durante la mia visita – sono ormeggiate vicino a dove i lituani hanno costruito un terminale per il gas naturale liquefatto, nella penisola di Neringa. La maggior parte arriva dagli Stati Uniti: Vilnius l’ha sostituito al gas russo.

Stiamo lentamente circumnavigando il terminal, gli ufficiali osservano le mappe di profondità del mare su schermi elettronici e correggono la direzione di navigazione. Possono anche vedere tutte le barche nelle vicinanze: sul monitor hanno la forma di piccoli triangoli. A sette chilometri dalla costa, uno degli ufficiali mi porta sul ponte inferiore, dove alcuni dei suoi uomini stanno indossando tute impermeabili rosse. È un’esercitazione: un equipaggio formato da tre persone esce su un motoscafo per lanciare un drone subacqueo munito di sonar. Il drone fotografa il fondo del mare per rintracciare eventuali danni ai cavi. “Si parte!”, uno dei marinai esorta i compagni.

Un quarto d’ora dopo è tutto finito: l’equipaggio riporta a bordo il motoscafo con il sonar e gli uomini scendono sottocoperta per scaricare i dati. Stavolta non è stato rilevato nessun problema. “Facciamo tutto quello che può essere utile nella lotta contro gli aggressori. Più saremo preparati, meglio potremo proteggere questo mare e la vita nei nostri paesi”, dice uno degli ufficiali, che trascorrerà i prossimi sei giorni in mare con il suo equipaggio.

C’è ancora molto lavoro da fare. Una settimana dopo il mio viaggio, alla fine di gennaio, gli svedesi hanno riferito che la petroliera Vežen, salpata dal porto russo di Ust-Luga, aveva danneggiato un cavo in fibra ottica sottomarino tra la Svezia e la Lettonia. ◆ ab

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