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Lacrimogeni, proiettili di gomma, manganelli. E oltre cento arresti, tuttavia non convalidati dalla magistrata di turno. “Si mettono a rischio le garanzie democratiche”, dice l’ordinanza della giudice Andrade.
BUENOS AIRES – La giornata del 12 marzo 2025 resterà segnata nella storia argentina per la violenza con cui le forze di sicurezza hanno attaccato i manifestanti nei pressi del Congresso.
La mobilitazione vedeva pensionati e tifosi di calcio marciare insieme a sostegno delle pensioni (il cui potere d’acquisto è eroso dalla svalutazione) e dalla richiesta di estendere di qualche mese la moratoria previdenziale. Quest’ultima è una sanatoria che permetteva di andare in pensione anche a chi, raggiunta l’età utile, non aveva accumulato il minimo di contributi e poteva pagarli “in tempo reale” con un prelievo forzoso dalla pensione stessa.
La manifestazione si è conclusa con un’operazione repressiva sproporzionata, che ha portato al fermo di 114 persone, al ferimento di venti manifestanti e al grave ferimento di un fotografo, che attualmente lotta tra la vita e la morte all’Ospedale Ramos Mejía della capitale.
Il governo, attraverso le parole di diversi ministri, ha sostenuto che tra i manifestanti si fossero infiltrati gruppi violenti e che siano state sequestrate armi, sebbene esistano video che suggeriscono la manipolazione di prove e varie provocazioni, da parte della polizia, per istigare a commettere reati.
In uno di questi filmati si vede un agente lasciare una pistola a terra e allontanarla con un calcio, mentre in un altro si notano poliziotti che abbandonano una loro auto – poi data alle fiamme – con le portiere spalancate.
Gli agenti – appartenenti ai corpi della Prefettura, Gendarmeria e Polizia della città di Buenos Aires – hanno messo in atto un’operazione di stampo militare per disperdere i presenti, tra cui organizzazioni per i diritti umani, sindacati, ex combattenti delle Malvinas e cittadini che avevano aderito a titolo personale alla protesta. Sono stati utilizzati gas lacrimogeni, camion con idranti e proiettili di gomma.
Il pomeriggio è iniziato subito con varie provocazioni, come auto della polizia abbandonate e agenti in borghese, tanto che i cittadini si sono immediatamente allarmati. Man mano che l’uso della violenza si intensificava, le immagini della brutalità della polizia hanno invaso i social media, mostrando scene di pensionati picchiati e bambini, che nulla avevano a che fare con la manifestazione, terrorizzati dal caos e dalla guerriglia urbana.
L’eccesso di violenza, la sproporzione delle forze in campo e l’assenza di un reale motivo scatenante per la repressione sono facilmente riscontrabili. Basti pensare al caso dei due minori di 12 e 14 anni, appena usciti da scuola e in cerca di un autobus per tornare a casa – molti mezzi avevano dovuto cambiare percorso a causa dei blocchi stradali – che sono stati fermati dalla polizia, trattenuti per quattro ore e immobilizzati con fascette di plastica.
Una signora di 87 anni è rimasta ferita da un violento colpo alla testa inflitto da un poliziotto all’angolo tra Callao e Rivadavia, nei pressi del Parlamento, ed è stata trasportata all’Ospedale Argerich, dopo aver sbattuto violentemente a terra a causa dell’impatto.
La violenza della polizia ha colpito anche i giornalisti, che sono stati bersagliati con gas lacrimogeni e proiettili di gomma. Il fotografo freelance Pablo Grillo (35 anni) è rimasto gravemente ferito dopo essere stato colpito alla testa da una capsula di gas lacrimogeno, sparata da altezza d’uomo mentre stava scattando una foto, in assenza di altre persone e circostanze che giustificassero l’azione repressiva. Ha subito la frattura delle ossa del cranio, una forte emorragia e la perdita di massa encefalica. Il giovane è stato operato nella notte, ma le sue condizioni restano critiche e la prognosi è riservata.
L’associazione di categoria dei fotoreporter argentini (Argra), dove Grillo ha studiato fotogiornalismo, ha tenuto questa mattina una conferenza stampa e ha emesso un comunicato in cui chiede le dimissioni “irrevocabili” della ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, criticando l’operazione condotta sotto il suo controllo.
“Oggi, colui che è stato nostro allievo della scuola di fotografia di Argra, Pablo Grillo, è stato vilmente ferito in modo grave dalle forze di sicurezza. Non si potrà dire che non avevamo avvertito del grado di pericolosità di Patricia Bullrich. Ed è stato ferito, e la sua vita è in pericolo, perché non c’è stato alcun freno politico, istituzionale o giudiziario all’imperizia assassina e demagogica (della ministra)”, dice la nota.
I vertici dell’associazione hanno inoltre sottolineato che già nel dicembre 2023 avevano avvisato che per il Ministero della Sicurezza “i fotoreporter erano ‘obiettivi da reprimere’”, ricordando che in quell’occasione le forze di sicurezza sotto il governo di Javier Milei aveva ferito 20 membri dell’organizzazione.
Acera, l’associazione dei corrispondenti stranieri in Argentina, nei giorni scorsi aveva emesso un comunicato, lanciando l’allarme sugli attacchi alla libertà di stampa, osservando come da tempo i suoi membri sono costretti a “utilizzare caschi, maschere antigas e altre protezioni”, al momento di seguire eventi nello spazio pubblico.
Micaela Bracco, del Patronato Inas Argentina e rappresentante locale del sindacato italiano Cisl (Confederazione italiana dei sindacati dei lavoratori), in un’intervista a Il Globo, ha espresso solidarietà “ai lavoratori, ai pensionati e alla società civile che hanno subito una violenza istituzionale inaudita contro il loro diritto a manifestare liberamente e pacificamente per esigere i propri diritti”.
La repressione ha suscitato una forte indignazione in tutta Buenos Aires, dove durante la notte migliaia di persone sono uscite sui balconi o scese in strada per protestare con il classico cacerolazo (battendo un cucchiaio su una pentola). Tutti i quartieri si sono mobilitati in modo spontaneo: dalla Paternal a Parque de los Andes, da Caballito a Barracas, da Boedo a Villa Urquiza.
Coloro che si erano radunati in vari punti lungo Avenida Corrientes hanno deciso, dopo alcune ore di protesta, di marciare in direzione del vicino Congresso. All’una di notte, la folla continuava ad affluire nei pressi della sede del Parlamento. Tra i cori scanditi si udivano chiaramente alcune frasi: “Che se ne vadano tutti, che non ne resti neanche uno”, “Unità dei lavoratori” e “Milei vattene”.
“Cacerolazo” notturno in protesta per la violenza dalla polizia. (Foto: AAp)
A quell’ora è arrivata anche l’ordinanza della giudice Karina Andrade che non ha convalidato gli arresti delle 114 persone fermate e ne ha disposto la liberazione. Per la magistrata, le detenzioni mettevano in discussione “un diritto costituzionale fondamentale, come il diritto alla protesta, a manifestare in democrazia e alla libertà di espressione, in una giornata come oggi, in cui a mobilitarsi sono stati i settori più vulnerabili della nostra nazione, come gli anziani”, protetti in modo specifico – ha ricordato – dalla Costituzione.
La risposta del Governo non è tardata ad arrivare. Per il ministro della Giustizia, Mariano Cúneo Libarona, “non si è trattato di una protesta né dell’esercizio della libertà di espressione, ma di delinquenti che commettevano crimini sotto gli occhi di tutta la società”.
La ministra della Sicurezza, Patricia Bullrich, ha dichiarato che i manifestanti erano “delinquenti organizzati, piqueteros (agitatori) e militanti” con l’intento di “destabilizzare”, mentre il portavoce di Milei, Manuel Adorni, ha accusato la giudice di essere una “complice”.
Mentre nelle strade si consumava la repressione, la Camera dei Deputati ha vissuto una scena di forte tensione: il presidente della Camera, Martín Menem, ha interrutto in modo irregolare una sessione chiave che avrebbe potuto indebolire il potere di Javier Milei – c’era il quorum necessario per revocargli le facoltà delegate di cui gode dal dicembre 2023 – in quella che molti hanno interpretato come una mossa per proteggere il presidente dalla crescente perdita di sostegno tra i parlamentari.
Traduzione di Francesca Capelli
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