Tentati omicidi, pestaggi ed estorsioni: confermato il quadro accusatorio

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LECCE – Tentativi di omicidio, pestaggi, estorsioni. I traffici di droga. E, naturalmente, le accuse di 416 bis, “per far parte dell’associazione di tipo mafioso comunemente denominata Sacra Corona Unita e, segnatamente, del clan Lamendola – Cantanna della frangia mesagnese”. Quasi tre secoli di carcere inflitti – 286 anni e dieci mesi di reclusione, per la precisione – si spiegano con queste contestazioni. Nella giornata di ieri, martedì 11 marzo 2025, il gup Alcide Maritati nell’aula bunker di Borgo San Nicola – il carcere di Lecce – ha dato lettura del dispositivo della sentenza riguardante 31 imputati coinvolti nel procedimento scaturito dall’indagine “The Wolf”, procedimento celebrato con rito abbreviato (che, in caso di condanna, prevede uno “sconto” pari a un terzo della pena). Dda e carabinieri, stando al quadro accusatorio confermato con la sentenza di primo grado, hanno stroncato l’ascesa del clan in alcuni Comuni del Brindisino, specialmente a San Vito Dei Normanni.

Una lotta di potere tra gruppi

Sono stati inflitti venti anni di reclusione a quattro imputati, compreso colui che è ritenuto il capo: Gianluca Lamendola. L’indagine coordinata dalla sostituta procuratrice Carmen Ruggiero e condotta dai carabinieri della compagnia di San Vito, comandata prima dal maggiore (all’epoca capitano) Antonio Corvino e poi dal capitano Vito Sacchi, e dall’allora tenente Alberto Bruno (ora capitano, soprannominato “Lupo” durante i tempi del Ros, da qui il nome dell’indagine) ha svelato anche metodi violenti. Un esempio su tutti, “pescando” tra le contestazioni: il 6 maggio 2021 alcuni uomini si “travestono” da forze dell’ordine e fermano un uomo, simulando un arresto, con tanto di manette e lampeggiante. Da San Vito, lo portano a contrada Mascava (qui c’è una masseria, ritenuta base operativa), lo picchiano, lo minacciano e infine lo “marchiano” con un’incisione sulla spalla. Inoltre, gli inquirenti inquadrano una “lotta di potere” con il gruppo contrapposto, che sarebbe guidato da Francesco Turrisi.

Le minacce a gip Mariano e pm Ruggiero

Ed ecco spiegata, ma solo in parte, l’eco mediatica della vicenda. Non basta, dopotutto si tratterebbe “solo” di azioni tipiche di un clan (il condizionale non è un vezzo stilistico, la presunzione d’innocenza vale per tutti e queste condanne sono in primo grado, le difese possono valutare ricorso in appello). Un passo indietro, al blitz del 18 luglio 2023. L’ordinanza di custodia cautelare è firmata dalla gip Maria Francesca Mariano. In seguito, lei e la pm Ruggiero finiscono vittime di minacce e intimidazioni, tanto che sono sotto scorta. La spiegazione? Nelle carte dell’inchiesta c’è traccia di una conversazione telefonica tra Pancrazio Carrino e Gianluca Lamendola. Il primo racconta di una violenza sessuale “indiretta” a carico di una donna, mentre il secondo ascolta inorridito. Il fatto non viene contestato (manca la querela di parte). Il presunto autore “se la segna”, come se fosse un affronto, mettendo nel mirino le due magistrate e il direttore di TeleNorba Enzo Magistà. Le loro “colpe”? Averlo accusato e aver divulgato – ma ovviamente non è così – la violenza sessuale che lui stesso narra al telefono. Indaga la procura di Potenza – competente territorialmente – e contesta a Carrino minacce di morte e intimidazioni. L’uomo sarebbe quindi capace di agire pur essendo detenuto (i dettagli in questo articolo).

Solo una parte civili: Libera

Un altro motivo della “notorietà” del caso si può ravvisare in alcune “fughe eccellenti”. Il giorno del blitz mancano all’appello Gianluca Lamendola e il padre Cosimo, oltre a Rosario Cantanna. Il 22 settembre dello stesso anno quest’ultimo viene arrestato in Germania. Dopo tre giorni tocca a Lamendola senior, individuato in un trullo tra le campagne tra Ostuni e Cisternino. Il 18 novembre i carabinieri sanvitesi chiudono il cerchio con l’arresto del presunto boss a Correggio, in provincia di Reggio Emilia. In questo processo, infine, l’associazione Libera si è costituita parte civile, colmando il vuoto dettato dall’assenza di altre parti civili, Comune di San Vito compreso. È stata “ricompensata” con un risarcimento da 100 mila euro, che dovranno corrispondere quasi tutti gli imputati condannati. Finito il non esaustivo quadro, di seguito il dispositivo della sentenza. Per le motivazioni il termine è di 90 giorni.

Le condanne

Ecco l’entità delle condanne. Gianluca Lamendola (36 anni, nato a Mesagne, residente a Brindisi): 20 anni di reclusione; Pietro Aprile (47 anni, nato a Brindisi e residente a San Pancrazio Salentino): due anni e 4 mila euro di multa; Luca Balducci (41 anni, di Corato): otto anni; Roberto Calò (42 anni, nato a Ostuni, residente a San Vito Dei Normanni): 13 anni e sei mesi; Rosario Cantanna (51 anni, di Mesagne): undici anni e dieci mesi; Angelo Potenzo Cardone (38 anni, nato a Cisternino, residente a Fasano): dodici anni e sei mesi; Pancrazio Carrino (43 anni, nato a Mesagne, residente a San Pancrazio Salentino): 13 anni e quattro mesi; Adriano De Iaco (35 anni, nato a Mesagne, residente a San Vito Dei Normanni): 20 anni.

Francesco Ciciriello (44 anni, nato a Mesagne e residente a San Vito Dei Normanni): un anno; Maurizio D’Apolito (48 anni, nato a Milano, residente a Torre Santa Susanna): nove anni e dieci mesi; Alessandro Elia (41 anni, di Brindisi): dieci di reclusione; Domenico Fanizza (43 anni, di Fasano): 20 anni; Palmiro Pancrazio Lacatena (47 anni, nato a Erba e residente a Porto Cesareo): cinque anni e 20 mila euro di multa; Cosimo Lamendola (53 anni, nato a Latiano, residente a Brindisi): 20 anni; Renato Loprete (49 anni, nato a Putignano, residente a Fasano): undici anni; Bryan Maggi (35 anni, di Brindisi): dieci anni; Gionathan Manchisi (44 anni, nato in Germania, residente a Monopoli): 13 anni e quattro mesi.

Adriano Natale (43 anni, nato in Germania, residente a Carovigno): due anni; Domenico Nigro (25 anni, nato a Ostuni, residente a San Vito Dei Normanni): undici anni e dieci mesi; Giovanni Nigro (56 anni, di San Vito Dei Normanni): undici anni e sei mesi; Giuseppe Prete (51 anni, nato a Ostuni, residente a San Vito Dei Normanni): tre anni e 16 mila euro di multa; Angelo Roccamo (79 anni, di Brindisi): dieci anni; Giulio Salamini (46 anni, di Taranto): cinque anni e 30 mila euro di multa; Vincenzo Schiavone (47 anni, di Brindisi): cinque anni; Francesco Turrisi (49 anni, nato a Ostuni, residente a San Vito Dei Normanni): dieci anni; Domenico Urgese (44 anni, nato a Mesagne e residente a San Vito Dei Normanni): tre anni e due mesi e 3 mila euro di multa; Noel Vergine (37 anni, nato a Taranto, residente a San Vito Dei Normanni): undici anni.

Le assoluzioni e il resto della sentenza

Il quadro probatorio, come detto, è stato largamente confermato, con alcune eccezioni. Sono stati assolti Davide Taurisano (30 anni, nato a Fasano e residente a Latiano; assistito dall’avvocato Danilo Cito), Fabrizio De Giorgi (44 anni, di Brindisi; assistito dall’avvocato Pasquale Campagna), Serena Gallo (30 anni, nata a San Pietro Vernotico e residente a San Pancrazio Salentino; assistita dall’avvocato Giacinto Epifani) e Marina Raffaella Guarini (45 anni, nata a Mesagne e residente a San Vito Dei Normanni, assistita dall’avvocato Giuseppe Presicce) dai reati loro ascritti per non aver commesso il fatto. Pena sospesa per Adriano Natale, assistito dall’avvocato Giacomo Serio. L’uomo doveva rispondere di 416 bis, ma il reato è stato riqualificato in favoreggiamento. L’imputato – per il quale la richiesta era di otto anni e quattro mesi di reclusione, condannato a due per la riqualificazione – è tornato libero.

Carrino è stato assolto da un’accusa di tentato omicidio e da una di detenzione di arma in luogo pubblico per non aver commesso il fatto e da un’accusa di detenzione di hashish perché il fatto non sussiste. Prete e Salamini sono stati assolti dall’accusa di far parte di un’associazione finalizzata al traffico di droga per non aver commesso il fatto. Gianluca Lamendola, Fanizza, Cosimo Lamendola, Loprete e Cardone sono stati assolti da un’accusa di detenzione di hashish perché il fatto non sussiste; Loprete è stato assolto da un’accusa di cessione di droga per non aver commesso il fatto. Alcune ipotesi di detenzione e cessione di droghe sono state riqualificate in lieve entità.

Il collegio difensivo

Andrea D’Agostino, Gianvito Lillo, Mauro Durante, Salvatore Rollo, Cinzia Cavallo, Dario Budano, Giancarlo Camassa, Danilo Cito, Giacomo Serio, Lolita Buonfiglio Tanzarella, Raffaele Missere, Antonino Curatola, Marcello Tamburini, Pasquale Angelini, Francesco Gentile, Pasquale Di Natale, Valentina Aragona, Michele Arcangelo Iaia, Vincenzo Farina, Pasquale Campagna, Vito Marrazzo, Livio Di Noi, Giacinto Epifani, Giuseppe Presicce, Giuseppe Antonio Cannarile, Emanuele Pierpaolo, Vito Epifani, Alberto Magli, Giacomo Serio, Vincenzo Nacci, Francesco Sozzi, Luigi Marinelli, Antonio Maurino, Danilo Di Serio, Ladislao Massari e Gianmarco Lombardi. L’unica parte civile in questo procedimento è l’associazione Libera, rappresentata in aula dall’avvocato Salvatore Lezzi.

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