Poker di mondi per la stella di Barnard – MEDIA INAF

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È una vecchia conoscenza degli astronomi, la stella di Barnard: antica e flebile nana rossa situata in direzione della costellazione dell’Ofiuco, è la stella a noi più vicina – meno di sei anni luce – subito dopo le tre che formano il sistema di Alpha Centauri. Già si sapevala conferma era giunta lo scorso ottobre grazie allo strumento Espresso del Vlt  – dell’esistenza di un pianeta che le orbita attorno. Ora però i mondi si sono moltiplicati: da uno a quattro. Quattro minuscoli esopianeti, tutti molto più piccoli della Terra: le loro masse vanno dal 20 al 30 per cento di quella del nostro pianeta. A rendere possibile la scoperta, riportata ieri su The Astrophysical Journal Letters, è stato Maroon-X, uno strumento progettato specificamente per cercare esopianeti intorno a stelle nane rosse e montato sul telescopio Gemini North, alle Hawaii.

Rappresentazione artistica degli esopianeti in orbita attorno alla stella di Barnard. Crediti: International Gemini Observatory/NoirLab/Nsf/Aura/P. Marenfeld

Si tratta di una scoperta degna di rilievo per più d’un motivo. Anzitutto per l’astro attorno al quale questi mondi orbitano: quella di Barnard è infatti una stella singola, come il Sole. Non fa cioè parte di un sistema doppio o triplo, qual è per esempio quello di Alpha Centauri. Detto altrimenti, nel cielo dei quattro mondi che le ruotano attorno splende un sole soltanto – non due o più, come avviene nei sistemi stellari multipli. E fra i sistemi planetari formati da una sola stella quello di Barnard, come dicevamo, è quello a noi più vicino.

Ma c’è altro. Uno dei mondi appena annunciati è l’esopianeta meno massiccio che sia mai stato scoperto con la tecnica delle velocità radiali. Poiché il segnale rilevato da questo metodo dipende anche dalla massa del pianeta, essere riusciti a sfruttarlo per individuare l’esistenza di un pianeta così leggero induce un certo ottimismo sulla possibilità di trovarne altri attorno alle stelle più vicine.  «È una scoperta che segna un punto di svolta nella precisione di questi nuovi strumenti rispetto alle generazioni precedenti», commenta entusiasta il primo autore dello studio, Ritvik Basant, dottorando all’Università di Chicago.

Lo strumento Maroon-X montato sul telescopio Gemini North. Crediti: International Gemini Observatory/Noirlab/Nsf/Aura/J. Bean

Se nella nuova scoperta ha avuto un ruolo fondamentale la sensibilità dello spettrografo Maroon-X, capace di riconoscere gli effetti gravitazionali impressi sul moto della stella dai pianeti che le ruotano attorno, non da meno è stata decisiva la perseveranza degli astronomi, che per avere la certezza di non aver preso un abbaglio hanno sorvegliato la stella di Barnard per ben 112 notti nell’arco di tre anni.

Proverbiale per essere ingannevole agli occhi dei cacciatori di mondi alieni, che in passato già avevano annunciato la presenza, là attorno, di esopianeti per poi essere smentiti, la stella di Barnard si era infatti guadagnata nel tempo il soprannome di “grande balena bianca” – in senso melvilliano, dunque di obiettivo inseguito ossessivamente ma capace di eludere ogni tentativo di raggiungerlo. Questa volta, invece, la fiducia nel risultato è pressoché totale, grazie anche al fatto che le osservazioni sono state condotte da due telescopi in due diversi emisferi – da quello australe con il Vlt, da quello boreale con Gemini North. «Abbiamo osservato a ore diverse della notte e in giorni diversi. Loro sono in Cile, noi alle Hawaii. Le nostre squadre non si sono coordinate in alcun modo», sottolinea Basant. «Questo ci dà la certezza che quelli che abbiamo visto nei dati non sono fantasmi».

Purtroppo, a causa dell’angolazione con la quale si presentano a noi che li osserviamo dalla Terra, i quattro pianeti non transitano mai davanti alla loro stella, e ciò rende difficile determinarne la composizione. Ma è quasi certo che siano tutti pianeti rocciosi, con periodi di rivoluzione che vanno dai 2.3 ai 6.7 giorni terrestri, dunque brevissimi. Gli autori dello studio sono anche stati in grado di escludere, con ragionevole certezza, che nella zona abitabile della stella di Barnard – quella compatibile con la presenza di acqua liquida in superficie – orbiti qualche esopianeta, perlomeno non di massa paragonabile a quella della Terra.

Per saperne di più:

Guarda l’animazione sul canale YouTube del NoirLab:

 



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