l’inerzia della Consob favorisce Caltagirone

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Tempi duri, tempi di superlavoro per la Consob. Dalle nostre parti e nella nostra Borsa non si era mai visto un simile ingorgo di operazioni miliardarie che coinvolgono praticamente tutte le maggiori istituzioni finanziarie del paese con l’unica rilevante eccezione, per il momento, di Banca Intesa. L’elenco comprende l’ops del Monte dei Paschi su Mediobanca e quella di Unicredit sul Banco Bpm. E poi Bper, con Unipol come grande azionista, che punta su Popolare Sondrio. Infine, la sfida su Generali con i gruppi Caltagirone e Del Vecchio pronti a prendere il comando del gruppo assicurativo.

Una lista che basta (e avanza) per descrivere un movimento tellurico senza precedenti. Negli uffici della Consob si accumulano prospetti informativi e richieste di via libera, e l’authority è chiamata a fare da arbitro in partite che spesso si intrecciano tra loro. Non è quindi una sorpresa che i commissari guidati dal presidente Paolo Savona si trovino a navigare tra pressioni di ogni tipo.

Piatto indigesto

Finora però il piatto più difficile da digerire è stato servito dal governo di Giorgia Meloni. Tocca alla Consob, infatti, fissare le regole per tradurre in pratica l’insieme di nome che va sotto il nome di legge Capitali, approvata dal parlamento a febbraio del 2024. Una legge dalla gestazione lunga e complicata che, almeno nelle intenzioni, dovrebbe rendere più efficiente il mercato finanziario nazionale.

Fatto sta che a un anno dall’approvazione del testo la Commissione non è ancora riuscita a venire a capo del compito che le è stato affidato. Troppo difficile, in alcuni casi, calare nelle realtà del mercato e della gestione societaria, le disposizioni partorite dalla politica. Nel frattempo, una volta uscite dalle aule parlamentari, alcune delle nuove norme sono diventate il bersaglio di pesanti critiche da parte di accademici e operatori finanziari.

Il nodo che ha suscitato il dibattito più acceso è quello della cosiddetta lista del cda. Da anni infatti è pratica diffusa tra le società quotate in Borsa quella di assegnare la maggioranza dei posti in consiglio di amministrazione ai candidati scelti dal board uscente e votati dall’assemblea degli azionisti. Questo è quanto succede, con frequenza molto maggiore, anche all’estero. In Italia, però, mancava un testo di legge che regolasse quanto già previsto in numerosi statuti societari.

Divieto di fatto

Le nuove norme, fortemente volute dai partiti della maggioranza, rischiano però di avere un solo effetto concreto, quello di scoraggiare, se non di impedire del tutto, la presentazione di liste del cda. Il perché è presto detto. Come un gran numero di addetti ai lavori ha fatto notare, i board eletti secondo le regole della legge Capitali finirebbero per ostacolare anziché facilitare una gestione aziendale efficiente e ordinata.

«La legge Capitali rende difficile, incerto e forse impraticabile l’istituto della lista del cda», ha commentato martedì il banchiere Massimo Tononi, presidente di BancoBpm. E, mesi fa, l’ex commissario Consob, Luca Enriques aveva definito “un divieto dissimulato” le norme che riguardano le liste del cda.

I regolamenti studiati dalla Consob miravano a risolvere i problemi segnalati da più parti. La Commissione ha però dovuto gettare la spugna dopo che alcuni dei partecipanti al secondo giro di consultazioni sulla materia hanno criticato alcune delle disposizioni attuative proposte. Nel mirino sono finite le regole per l’elezione dei rappresentanti dei soci di minoranza nel caso in cui la lista del cda abbia ottenuto la maggioranza dei voti in assemblea. Regole che i critici ritengono incompatibili con il dettato della legge. Niente di fatto, quindi. La Consob avvierà nuove consultazioni per venire a capo del problema.

Chi ci guadagna

Per il futuro si vedrà, intanto lo stallo di queste settimane ha già una prima rilevante ricaduta pratica. Alla prossima assemblea delle Generali, in calendario il 24 aprile e chiamata a rinnovare il consiglio di amministrazione, non ci sarà una votazione sulla lista del cda, come invece era successo tre anni fa. Troppi dubbi, troppe incognite, e così i vertici del gruppo assicurativo hanno preferito lasciar perdere.

I primi a rallegrarsi di questo passo indietro sono Francesco Gaetano Caltagirone e la famiglia Del Vecchio, che puntano a prendere il controllo della compagnia che ora vede Mediobanca nel ruolo di azionista principale con una quota del 13,1 per cento del capitale.

Lo stesso Caltagirone, nella sua audizione in Senato del 27 giugno 2023, aveva criticato il ricorso alle liste del cda, citando proprio il caso Generali, segnalando i rischi di conflitto d’interessi e di “autoperpetuazione” del consiglio d’amministrazione.

A due anni di distanza dal suo intervento, il costruttore ed editore romano andrà allo scontro con Mediobanca per il controllo del Leone di Trieste senza il fastidioso impiccio della lista del cda, tolta di mezzo grazie a una legge voluta dal governo. Lo stesso governo che guarda con favore all’ops su Mediobanca lanciata da un Monte dei Paschi in cui Caltagirone è azionista di rilievo.

A questo punto è appena il caso di notare che le critiche più aspre all’operato della Consob, quelle che hanno convinto la Commissione a fare dietro front, sono arrivate da un documento firmato da 32 “professori, giuristi ed economisti”.

Tra i firmatari abbondano i docenti nelle università della capitale, dalla Luiss a Roma Tre. Alcuni, come Francesco Di Ciommo, nominato nel 2023 nel consiglio di Cassa depositi e prestiti, e Cesare Pozzi, sono anche ascoltati consulenti di Fratelli d’Italia. Altri, invece, sono ben conosciuti in casa Caltagirone.

È il caso dell’avvocato d’affari Francesco Gianni, consulente di fiducia del costruttore capitolino, che tra l’altro possiede il Messaggero. Ovvero il quotidiano romano che da anni ospita gli articoli di Giuseppe Vegas, già presidente della Consob ed ex parlamentare berlusconiano, anche lui firmatario dell’appello che ha gelato l’authority di Savona.

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