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È un’altalena dolorosa quella del delitto di Garlasco, che dopo diciotto anni continua a dondolare con il suo carico di sospetti, rimorsi, zone oscure e l’ombra inquietante di un gigantesco errore giudiziario. «Un calvario che ricomincia», hanno detto i genitori di Chiara Poggi, e il loro dolore merita soltanto assoluto rispetto e silenzio.
«Un innocente non si pente, persegue la propria innocenza, e aspetta», aveva detto qualche anno fa Alberto Stasi intervistato dalle Iene. Il delitto di Garlasco si riaccende mentre la pena di Stasi sta per avviarsi (quasi) ai titoli di coda. È stato condannato in via definitiva nel 2015 a 16 anni di carcere per l’omicidio dell’ex fidanzata, uccisa il 13 agosto 2007.
Due anni fa è stato ammesso dal collegio del tribunale di Sorveglianza di Milano al lavoro esterno: lascia il carcere di Bollate, dove è recluso dal 2015, per passare la giornata in una società informatica della zona dove svolge mansioni contabili e amministrative per tornare nel penitenziario la sera. Tutto è regolato da prescrizioni rigide in materia di orari, di mezzi di trasporto utilizzati, tragitti e controlli
. Il fine pena teorico per Stasi arriverà nel 2030, che può essere anticipato al 2028 grazie alla buona condotta che dà diritto allo scomputo di 45 giorni ogni 6 mesi di carcere, con possibilità di chiedere un affidamento in prova già da quest’anno.
Anche sul lavoro esterno di Stasi si erano scatenate polemiche come se fosse un privilegio arbitrario e non un beneficio previsto dalla legge e rigidamente normato da regole. Il lavoro esterno non è una misura alternativa alla detenzione, ma un beneficio, appunto, che ogni detenuto può vedersi concedere dal direttore del carcere (in un «programma di trattamento» elaborato dall’area educativa e approvato dal magistrato di Sorveglianza) se ha scontato almeno un terzo della pena, se la sua condotta in carcere è positiva, se l’osservazione della sua personalità è confortante. Riavvolgiamo, adesso, il nastro.
È il 13 agosto 2007, l’Italia è in vacanza, Garlasco è stretta nella morsa dell’afa. Chiara Poggi, 26 anni, impiegata e laureata in Economia, viene uccisa con un corpo contundente nella villetta in cui abitava con i genitori, in quei giorni in vacanza. A dare l’allarme il fidanzato Alberto Stasi, all’epoca studente della Bocconi. Il 24 settembre Alberto Stasi viene posto in stato di fermo.
Sui pedali di una bici sono state trovate tracce di Dna compatibile con quello di Chiara: per i carabinieri del RIS è sangue della ragazza, per la difesa può essere sudore o saliva. Il gip, dopo quattro giorni in carcere a Vigevano, non convalida il fermo e rimette in libertà il giovane perché non ci sono prove sufficienti per giustificare un arresto. Il delitto diventa subito caso mediatico. «Se non lui, chi potrebbe essere stato?», è il mantra di opinionisti e gente comune come se a Garlasco ci fosse solo Alberto Stasi che nel corto circuito tra indagini che, forse, non hanno setacciato tutte le piste e tribunale del popolo diventa, lombrosianamente, il colpevole perfetto: Alberto Stasi diventa il “biondino di Garlasco” che non la conta giusta: pallido, taciturno, l’occhio azzurro quasi vitreo, studente modello alla Bocconi, con quel portamento da contabile e il fare introverso che può essere timidezza ma molti interpretano come spietata freddezza.
Se non lui, chi? Arriviamo al 3 novembre 2008 e il pm titolare delle indagini, Rosa Muscio, chiede il rinvio a giudizio di Alberto Stasi per l’omicidio della fidanzata. Si va al processo che si celebra con rito abbreviato. Il 30 aprile 2009 il gup Stefano Vitelli non emette sentenza, ma esce dalla camera di consiglio con un’ordinanza con cui dispone una superperizia medico-legale e altri accertamenti peritali chiedendo, tra l’altro, verifiche sul pc di Stasi, sul percorso compiuto dal giovane nella villetta di Garlasco quando trovò il corpo di Chiara e sull’orario della morte. È il segno che le indagini condotte prima erano state quanto meno pasticciate e molto confuse. Si fa la perizia e il 17 dicembre 2009 Stasi viene assolto. Il gup ritiene il quadro istruttorio, come scrive nelle motivazioni, «contraddittorio e altamente insufficiente a dimostrare la colpevolezza dell’imputato».
L’8 novembre 2011 inizia a Milano il processo d’appello. Il pg Laura Barbaini chiede 30 anni di carcere per Stasi, la parte civile che venga riconosciuta la sua responsabilità e il risarcimento di 10 milioni di euro, mentre la difesa punta ancora sulla mancanza di prove. Il 6 dicembre 2011 Stasi viene di nuovo assolto dalla Corte d’Assise d’appello secondo la quale «la decisione di primo grado è immune da vizi e merita di essere confermata».
Manca la Corte di Cassazione per rendere definitiva la sentenza ma il 18 aprile 2013 cambia tutto. La Cassazione, infatti, annulla il processo di secondo grado e rinvia gli atti alla Corte d’Assise d’Appello di Milano, perché ricelebri il dibattimento. Per gli ermellini, nel giudizio di secondo grado erano stati “svalutati” gli indizi contro Stasi e andavano effettuati, come era stato chiesto dalla parte civile e dal pg, una serie di approfondimenti istruttori. E dunque propongono un’integrazione probatoria.
È una costante di questa serie di processi. Nuove perizie, nuovi esami, nuovi test. Ci sono prove-non-prove, orari che non combaciano, una vicenda giudiziaria complicata e contraddittoria.
Il 9 aprile 2014 A Milano si apre il processo d’appello bis e il 30 aprile la prima Corte d’Assise d’Appello dispone la riapertura del caso con un’integrazione dell’istruttoria dibattimentale e nuovi esami e perizie. Il 17 dicembre arriva la sentenza: Alberto Stasi è condannato a 16 anni di reclusione dalla corte d’Assise d’Appello di Milano nel processo d’appello bis. Il 30 aprile 2015 in Cassazione arriva un doppio ricorso contro la condanna.
A impugnare la sentenza da un lato la difesa che chiede di cancellare il verdetto; dall’altro il pg Laura Barbaini che chiede invece di riconoscere l’aggravante della crudeltà esclusa dai giudici di secondo grado. Il 12 dicembre 2015 la Cassazione conferma la condanna a 16 anni per Stasi. Accompagnato dalla madre, l’uomo si costituisce nel carcere di Bollate dove sta scontando la pena. Il 19 dicembre 2016 la famiglia Stasi, chiede la riapertura del processo sulla base dei risultati di una nuova perizia, secondo la quale le tracce di Dna rinvenute sotto le unghie della ragazza non sono di Stasi. Il 23 dicembre Andrea Sempio, amico del fratello di Chiara Poggi e all’epoca dei fatti 19enne, viene indagato dalla procura di Pavia.
Il suo Dna sarebbe compatibile con quello trovato sotto le unghie della vittima. Il 24 gennaio 2017 la Corte d’Appello di Brescia respinge, dichiarando non luogo a provvedere, l’istanza di revisione del processo sull’omicidio di Chiara Poggi. La richiesta era stata depositata dai legali di Stasi. Il 28 marzo dello stesso il gip di Pavia Fabio Lambertucci archivia l’inchiesta su Andrea Sempio. Il 24 maggio la difesa di Alberto Stasi presenta riscorso straordinario in Cassazione contro la condanna definitiva a 16 anni di carcere.
Il 28 giugno la Cassazione dichiara inammissibile il ricorso dei suoi legali per riaprire il caso. Il 23 giugno 2020 i legali di Stasi depositano un’articolata richiesta di revisione della sentenza di condanna che il 5 ottobre viene dichiarata inammissibile. Quello che sembra l’ultimo capitolo di questa storia è del 6 febbraio scorso quando la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha dichiarato irricevibile il ricorso con cui si chiedeva di annullare la condanna di Alberto Stasi. Ora il nuovo-non nuovo colpo di scena. L’avvocato Giada Bocellari, attuale legale di Stati, a distanza di diciotto anni dal delitto ha affidato a un laboratorio di genetica di fama internazionale, con sede all’estero, il compito di analizzare nuovamente quei reperti biologici.
L’esito positivo di questi nuovi esami avrebbe trovato riscontro anche in una consulenza disposta nei mesi scorsi della Procura di Pavia. Giovedì Andrea Sempio dovrà presentarsi nella sede della scientifica dei carabinieri di Milano per essere sottoposto all’esame salivare e al tampone.
Accertamenti disposti dal gip di Pavia in modo coatto dopo che la scorsa settimana l’uomo ha ricevuto l’informazione di garanzia con cui è stato invitato a sottoporsi ai prelievi per gli accertamenti sul Dna e si è rifiutato di farlo. Nelle indagini e nei processi che sono seguiti si staglia, terribile, l’ombra di piste alternative alla colpevolezza di Stati non prese in considerazione dagli inquirenti.
A cominciare dalla vicina di casa di Chiara che nei minuti in cui si consumava il delitto avrebbe visto una bicicletta nera da donna appoggiata al marciapiede dell’abitazione dei Poggi.
Ancora oggi, a distanza di tanti anni, manca il movente e manca l’arma del delitto. Il supplemento d’indagine che si apre ora speriamo possa davvero chiarire i molti dubbi. Ed è importante lasciar lavorare la Procura di Pavia con l’auspicio che si sia garantisti con Andrea Sempio come, purtroppo, non lo si è sempre stati con Alberto Stasi.
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