Berlino torna a spendere – Mark Schieritz

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Ci sono momenti in cui la storia di un paese prende svolte impreviste. Il 4 marzo 2025 potrebbe essere uno di quei momenti. Alle 19 in punto i vertici della Cdu e dell’Spd (i due partiti più votati alle ultime elezioni) hanno presentato in parlamento i punti chiave di una manovra finanziaria che non si era mai vista dalla fine della seconda guerra mondiale: togliere il tetto massimo al debito pubblico e stanziare cinquecento miliardi di euro per finanziare la modernizzazione delle infrastrutture nei prossimi dieci anni e staccare una sorta di assegno in bianco per la difesa.

Non c’era niente di simile nel programma con cui Friedrich Merz ha vinto le elezioni del 23 febbraio. In campagna elettorale il leader della Cdu (Unione cristianodemocratica) aveva parlato di riduzione delle tasse e modernizzazione dell’esercito, evitando tuttavia la domanda essenziale: dove avrebbe preso i soldi necessari? Molti economisti erano giunti alla conclusione che non sarebbe stato possibile finanziare questi progetti a breve termine senza aumentare il debito pubblico, ma molti sostenitori del partito e del suo alleato bavarese, la Csu, erano ancora convinti che il tetto al debito fosse giusto e metterlo in discussione sarebbe potuto costare dei voti a Merz. Così in campagna elettorale non se n’è parlato.

Il leader della Cdu Friedrich Merz

(Du Zheyu, Xinhua News Agency/eyevine/Contrasto)

Nelle scorse settimane il ministero delle finanze ha calcolato quanti soldi si troveranno nelle casse del nuovo governo. Il risultato è che le entrate non riusciranno neanche a finanziare le spese già previste nel bilancio, tanto meno il riarmo dell’Europa invocato dopo il crollo dei rapporti transatlantici. Pertanto, risolvere il rebus dei finanziamenti è diventata una questione essenziale per la nuova coalizione. Solo così si potrà tornare a parlare di temi come il salario minimo o l’immigrazione.

Quando era a capo della coalizione con l’Spd, i Verdi e i liberali dell’Fdp, il cancelliere socialdemocratico (Spd) Olaf Scholz era riuscito a ottenere per il suo governo un deficit di bilancio di sessanta miliardi, che in seguito, dopo un ricorso della Cdu, era stato giudicato illegittimo dalla corte costituzionale. Ora la stessa Cdu si concede più di dieci volte la stessa cifra. I tempi cambiano, si può affermare interpretando benevolmente la novità. Perché, che non ci fossero soldi per regali elettorali, era chiaro prima ancora che gli statunitensi si tirassero indietro dal sostegno agli alleati. In questo senso i risultati del 4 marzo sono ancora più straordinari: secondo l’accordo la disponibilità di fondi per le infrastrutture va scritta nella costituzione sotto forma di un cosiddetto “patrimonio speciale”, in modo che si possano chiedere prestiti nei prossimi dieci anni. La somma è considerata appropriata da molti economisti, tenuto conto dello stato delle strade, delle scuole e dei ponti in Germania. Inoltre, il freno al debito sarà allentato: le spese per la difesa superiori all’1 per cento del pil non saranno più conteggiate e i land potranno contrarre prestiti supplementari per i loro bilanci.

Carri armati invece di auto

Non sono mancate le reazioni. La Berenberg Bank ha parlato di un “bazooka”, la Deutsche Bank di un “cambio di paradigma” fiscale. Il fatto che a innescarlo sia stata la Cdu, il partito che l’ha combattuto per anni, è un’ironia della sorte. Ma in politica non conta tanto la differenza tra destra e sinistra quanto quella tra governo e opposizione. In ogni caso, la storia dimostra che gli stati reagiscono alla minaccia militare facendo debiti, come emerge da un nuovo studio del Kiel Institut für Weltwirtschaft (Ifw Kiel). Non da ultimo perché fare debiti richiede in genere meno capitale politico dei tagli alla spesa o dell’aumento delle tasse.

Berlino, Germania, 6 giugno 2024

(Toni Petraschk, Ostkreuz/Contrasto)

L’industria bellica crea inoltre posti di lavoro, per lo più ben pagati. Ora che la Germania è minacciata dalla deindustrializzazione, a molti politici l’idea di fabbricare carri armati a Wolfsburg invece delle Volkswagen appare tutt’altro che insensata. Ethan Ilzetzki, economista della London school of economics, ha calcolato che il pil europeo potrebbe crescere tra lo 0,9 e l’1,5 per cento all’anno se gli stati dell’Unione europea aumentassero le spese militari dall’attuale 2 per cento del pil al 3,5 per cento.

Ma niente è gratis. I debiti vanno ripagati e i tassi d’interesse possono aumentare. Inoltre, quando le risorse economiche, come la forza lavoro, sono impiegate nella produzione di un bene, non possono essere usate per altro. La questione è meno complicata se, come nel caso delle spese per scuole, strade e ponti, si contribuisce ad aumentare la capacità economica di un paese e quindi la possibilità di produrre di più. Un carro armato, invece, non è produttivo. Se ne sta parcheggiato o è usato in guerra. Inoltre, i soldi spesi per le armi non sono più disponibili per le pensioni, l’istruzione o la ricerca.

Quando John Maynard Keynes teorizzò la possibilità di finanziare la spesa pubblica con il debito, voleva in realtà spingere i governi a investire più soldi nei progetti civili. Invece di essere investiti in “guerra e distruzione”, scriveva nel dicembre 1933 al presidente degli Stati Uniti Franklin Delano Roosevelt, i soldi pubblici dovevano promuovere la “pace e la prosperità”. Meno di sette anni dopo, Adolf Hitler invase la Polonia. Il sogno della pace svanì e il keynesismo diventò bellico.

I negoziati per la nuova coalizione di governo di fatto sono appena cominciati

La maggioranza dei partiti di centro è ormai convinta che Donald Trump e Vladimir Putin non lascino agli europei altra scelta che riarmare gli eserciti, per difendersi dalle aspirazioni imperialiste da est e forse presto anche da ovest. Per dirla in termini economici, il prezzo della sicurezza è aumentato: ci sono nuovi costi. Ovvio, possono essere in parte rimandati al futuro creando più debiti (e si può giustificare la cosa dicendo che anche le generazioni future avranno dei vantaggi da una Germania che resta uno stato sovrano). Ma questo non li farà sparire.

Certo in Germania il rapporto tra debito pubblico e pil è piuttosto basso, supera di poco il 60 per cento. Dal punto di vista dei partiti che hanno siglato l’accordo del 4 marzo non è un problema aggiungere qualche punto percentuale. Nel peggiore dei casi, tra qualche anno potrebbero aumentare le tasse o tagliare la spesa. Per questo il segretario dell’Spd Lars Klingbeil ha chiesto di vincolare l’aumento delle spese per la difesa a più fondi per le infrastrutture. Molti nella Cdu non erano d’accordo e anche alcuni economisti liberali hanno messo in guardia sui rischi di un eccessivo indebitamento. Merz per una volta li ha ignorati. Ha giocato un ruolo decisivo per l’accordo un documento di un gruppo di economisti bipartisan: Moritz Schularick dell’Ifw Kiel, Clemens Fuest dell’ifo Institut di Monaco di Baviera, Jens Südekum dell’università di Düsseldorf e Michael Hüther dell’istituto per l’economia tedesca di Colonia. Nel documento si parla di un fondo speciale da novecento miliardi di euro, di cui quattrocento per la difesa e cinquecento per le infrastrutture.

Ma restano da chiarire molte questioni. C’è abbastanza forza lavoro per fabbricare carri armati, scuole e chilometri di autostrada senza che i soldi spesi producano inflazione? Come si fa a impedire che i miliardi restino bloccati tra le maglie della burocrazia e i preventivi gonfiati? Non sarebbe la prima volta che i fondi pubblici non arrivano a destinazione.

Nelle prossime settimane la Cdu e l’Spd dovranno confrontarsi anche su questi temi, come su molte altre incognite, tra cui il costo elevato dell’energia. I negoziati per la nuova coalizione di governo di fatto sono appena cominciati, e l’accordo del 4 marzo fa pensare che potrebbero andare a buon fine. Ma ora bisogna rapidamente passare all’azione, perché nel prossimo parlamento i partiti di centro non avranno più la maggioranza dei due terzi necessaria per le riforme costituzionali e quindi le misure dovranno essere adottate già in quello attuale. Sarebbe una mossa politicamente inconsueta e in parte discutibile, ma costituzionalmente possibile. Dopotutto fino all’insediamento del nuovo parlamento, quello vecchio ha pieni poteri. Merz e Klingbeil, però, hanno bisogno dei voti dei Verdi.

Nelle prossime settimane dovrà riunirsi una commissione di esperti che lavorerà alla riforma del tetto del debito. La Bundesbank, la banca centrale tedesca, ha già presentato una sua proposta. Ma per attuarla serve l’appoggio dei deputati della Linke, perché una modifica della costituzione dovrebbe essere approvata dal nuovo parlamento. Anche la Linke chiederà delle concessioni.

Per Merz, l’accordo è un regalo. Se tutto va secondo i piani, avrà i mezzi finanziari per far prendere al paese una strada decisiva. Non è un caso che il 4 marzo abbia scelto le parole pronunciate da Mario Draghi quando, al culmine della crisi del debito greco, dichiarò che la Banca centrale europea avrebbe difeso l’euro con qualsiasi mezzo: whatever it takes. ◆ nv

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