A un passo dalla svolta. L’ex Ilva non chiuderà, tutt’al più “parlerà” azero

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Il riserbo  è assoluto ma le voci si rincorrono: il gruppo prescelto sarebbe Baku Steel. Il valore delle acciaierie tarantine non è solo economico, ma anche strategico. E’ quanto stato ribadito con forza nel corso dell’incontro dal titolo “Un passato da difendere. Un futuro da costruire”,organizzato da Aigi e da Aepi alla Stampa Estera

L’annuncio potrebbe arrivare già venerdì. Sono ore dense, quelle di chi lavora al futuro dell’ex Ilva, la più grande acciaieria d’Europa che dal 26 luglio 2012, vive una lenta agonia. Quel giorno gli impianti vennero posti sotto sequestro dal gip Patrizia Todisco, titolare dell’inchiesta aperta dopo la denuncia di un agricoltore che era stato costretto ad abbattere il proprio gregge perché contaminato dalla diossina. Una bomba che innescò  una serie di altre iniziative giudiziarie – è di poche ore fa la sentenza approdata in Cassazione che ha accolto la richiesta di risarcimento per l’inquinamento subito dagli abitanti di un quartiere particolarmente esposto  della città- che colpirono il gruppo Riva e portarono a un decreto per la gestione commissariale e poi all’amministrazione straordinaria del gigante tarantino. Anni difficili, nel corso dei quali si sono fatti avanti cordate di imprenditori italiani e  colossi internazionali della siderurgia, tra cui l’indiano Arcelor Mittal, con cui si arrivò ad un accordo che si infranse dopo un aspro scontro con tutte le parti interessate, e lo smascheramento degli intenti predatori del gruppo.

Oggi, però, il vento sembra aver cambiato direzione. L’ottimismo cresce, e fonti vicine al dossier confermano che la chiusura della partita sia imminente. A far ben sperare è l’esito dell’incontro di ieri tra governo e sindacati a Palazzo Chigi. Nonostante il riserbo assoluto da parte del Ministero delle Imprese e dei commissari, le voci si rincorrono: il gruppo prescelto sarebbe l’azero Baku Steel, che nelle ultime ore ha inviato un team tecnico a Taranto per una ricognizione dettagliata degli impianti, affiancato da Azerbaijan Investment Company e Socar, la potente società pubblica di petrolio e gas.

A differenza del passato, questa volta però lo Stato italiano si accinge a giocare un ruolo decisamente più incisivo. E proprio a tal fine, si starebbero valutando forme concrete di partecipazione attraverso Cassa Depositi e Prestiti, Sace e Invitalia. Un approccio che segna una netta inversione di tendenza. L’obiettivo è chiaro: non più una gestione passiva o interventi tardivi, ma una strategia proattiva per proteggere un asset industriale di primaria importanza, garantire gli investimenti e scongiurare lo spettro delle delocalizzazioni.

Un patrimonio da tutelare, una transizione da governare

Il valore dell’ex Ilva non è solo economico, ma anche strategico. E’ quanto stato ribadito con forza nel corso dell’incontro dal titolo “Un passato da difendere. Un futuro da costruire”, svoltosi oggi nella sede della Stampa Estera e organizzato da Aigi (Associazione Indotto e General Industry) in collaborazione con Aepi, la confederazione delle piccole e microimprese impegnata nella valorizzazione del Made in Italy.

Durante il confronto, che ha visto la partecipazione di esponenti di spicco del mondo sindacale e politico, è emersa una visione condivisa: il rilancio dell’ex Ilva dovrà essere solido e sostenibile. Tra gli interventi di spicco, quello di Mimmo Mazza, direttore della Gazzetta del Mezzogiorno, Nicola Convertino, presidente di Aigi, e Mino Dinoi, leader di Aepi, oltre ai contributi di esperti del settore come Michele Montemurro, e Roberto Baldassarri e Adelina Chiara Balsamo, che hanno illustrato i risultati del sondaggio di Lav21. Il capogruppo di Forza Italia al Senato Maurizio Gasparri,  il segretario Ugl Francesco Paolo Capone, il segretario confederale della Cisl Giorgio Graziani e Davide Tabarelli, uno dei tre commissari straordinari dell’ex Ilva, arrivato a sorpresa al meeting.

Tutti sono apparsi concordi su alcuni punti chiave: la tutela dei lavoratori, che rappresentano un patrimonio di competenze unico in Europa; la riconversione industriale senza traumi occupazionali; la necessità di un forte presidio statale per evitare scippi industriali e garantire la competitività dell’Italia in un settore strategico come quello dell’acciaio, e consentire finalmente  agli ingenti investimenti pubblici effettuati negli anni di produrre  una ricaduta positiva sul territorio, in termini di sviluppo e occupazione.

La partita dell’ex Ilva non è solo  una questione industriale o sindacale, ma un test decisivo per la capacità del Paese di gestire la propria sovranità economica e produttiva. Il futuro dell’acciaieria tarantina sarà un banco di prova per dimostrare che l’Italia può coniugare industria e sostenibilità, investimenti e tutela del lavoro, senza svendere i propri asset strategici.

 

 

(Associated Medias) – Tutti i diritti sono riservati



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