Una nuova generazione di designer è possibile?

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Il fashion month in grado di far saltare i trendsetter da New York a Londra, Milano e Parigi è finalmente giunto al termine tuttavia, nelle settimane che si sono susseguite, a dominare il calendario sono stati i big in seno ai colossi del lusso e perciò noi ci siamo chiesti: ma i new names? Emergere come nuovi designers è davvero un’impresa così titanica nel panorama attuale? Forse (e purtroppo) sì, perché sebbene il settore abbigliamento sia fondamentalmente un’industria che si nutre di novità, paradossalmente oggi tende soprattutto a preservare lo status quo che i grandi conglomerati si sono creati intorno, riservando così agli esordienti piccole possibilità di visibilità.

Eppure i concorsi per spingere i nuovi talenti ci sono, alcune labels iconiche si prodigano pure per sostenerli economicamente ma alla resa dei conti la maggior parte delle leve emergenti fatica fino a giungere a un bivio: essere schiacciata dal sistema o cercare di sopravvivere. Al di là dei perbenismi, è quindi corretto pensare che esista sul serio uno spazio per una new generation di designers in un segmento che pare più blindato rispetto al passato? Dimenticandoci dei cliché, le sfide che questi creativi devono affrontare per conquistare il loro posto sono innumerevoli, impegnative e, talvolta, anche molto etiche.  

Glamour bet: new designers vs giganti del lusso

Ricordiamo subito che il panorama attuale del fashion è ben diverso rispetto a quello passato. Le stesse possibilità che permisero a un Giorgio Armani o a un Valentino di sfondare sono ormai solo ricordi che lasciano il posto a una più intransigente realtà dei fatti. Senza giri di parole, nel 2025 per fare moda non serve solo immolarsi per la pura essenza della creatività, ma altresì è necessario avere ben chiara la propria strategia, commerciale-comunicativa e di marketing, e poterla sostenere onerosamente.

È vero, la nuova generazione di stilisti indipendenti può sempre contare sul supporto degli addetti stampa (qualora trovino il tempo di vedere altre collezioni al di fuori degli habitué), però è altrettanto certo che oggi entrare nel fashion system richieda un’architettura finanziaria solida nel lungo periodo e una rete di contatti strategici.

In generale, facendo una rapida analisi del segmento: da una parte si trovano i grandi gruppi, come LVMH o Kering, che controllano una rosa di brand influenti, i quali possono attingere a risorse economiche importanti per le loro collezioni. Dall’altra ci sono i designers autonomi o che, ancora, non sono entrati nei radar dei conglomerati. Per questi ultimi le alternative per farsi strada esistono, ma riservano alcune insidie.

Ci sono stilisti che scelgono di partecipare a famosi premi come LVMH Prize, l’International Woolmark Prize, il British Fahsion Council newgen, l’Its contest o l’Andam Fashion Award, che riconoscono ai migliori una ricompensa in denaro, mettendo a disposizione borse di studio e occasioni di networking preziose. Altri invece cercano di incrementare il proprio hype puntando sulla viralità e sfruttando le piattaforme social per costruire una fanbase diretta, sperando di attirare anche l’interesse di qualche celebs. Però senza l’appoggio di investitori e senza una distribuzione solida, mantenere un brand indipendente con un proprio team di collaboratori ristretto quanto è sostenibile?

Parecchie volte siamo stati tutti spettatori della nascita, della salita e del declino di giovani creativi che a causa delle circostanze e dell’instabilità finanziaria alla fine non hanno brillato quanto avrebbero dovuto. In fin dei conti la vecchia retorica del “se vuoi puoi” è appunto talmente obsoleta da sembrare preistorica.

Pesce grande mangia pesce piccolo? La linea di orizzonte della nuova generazione

Se si prende in esame l’intero panorama della moda quello che salta immediatamente all’occhio è che il mercato è saturo e monopolizzato per lo più dai nomi altisonanti che ormai conosciamo senza nemmeno doverli citare. La creatività, sia chiaro, è fantastica ma è comunque un business che va sfruttato a tutto tondo o diventa un problema, soprattutto quando ci si rende conto che anche il target della Gen Z si sofferma a parlare solo dei noti ed intoccabili brand.

Qualcosa forse è andato in cortocircuito e ce ne possiamo accorgere chiedendoci “Chi sono davvero gli stilisti emergenti?”. Una domanda che tra le righe ne sottintende altre due, ovvero: “cosa significa essere un emergente?” e “chi fa parte di questa nuova generazione di designers?”.

La questione potrebbe essere spinosa. Gli stilisti “nascenti” o “in ascesa” non per forza sono solo coloro freschi di laurea. In un certo senso, tra gli “emergenti” si possono identificare anche le menti con qualche anno di esperienza alle spalle, sia come autonomi, sia come al servizio di marchi altrui, che fino a un determinato momento erano rimasti nell’ombra nonostante il loro lavoro noto per lo più a una ristretta cerchia di addetti al settore.

Da questo punto di vista (e a titolo esemplificativo), “emergenti” possono essere un Francesco Murano e un Duran Lantink, ma allo stesso tempo anche un Sabato De Sarno o un Dario Vitale (quest’ultimo quotato da alcuni come il prossimo direttore creativo di Gucci, da altri come il successore di Donatella Versace). Alessandro Michele un emergente? Ora non più ma prima sì, e forse è da lui che arriva la prima lezione davvero importante per chi nella vita vuol fare lo stilista: nel fashion system conta distinguersi è certo, ma ancor più fondamentale resistere al passare del tempo.

Giovani (designers) wanna be

Quindi una nuova generazione di designer è possibile? Sicuramente sì, ma non senza una rivoluzione nel sistema moda. È necessario un cambio di mentalità, un campionato fashion aperto a modelli che non penalizzino chi non ha il supporto economico dei grandi gruppi, che lasci più spazio agli indipendenti e che rivolga maggiore attenzione verso i talenti che si fanno notare fuori dai circuiti convenzionali.

D’altra parte la moda a un certo punto dovrà necessariamente mutare (o fare la muta, dipende). Non è così impensabile che tra gli emergenti ci possa essere l’erede di Miuccia Prada o di Franco Moschino. È fondamentale però che ognuno possa avere la possibilità concreta di provarci, perché chissà che fuori calendario ufficiale non sfili anche il prossimo Re Giorgio? Dopotutto never say never. E poi quanto sarebbe bello vedere il successore calcare le pedane…mantenendo il proprio nome?



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