Sudan, accendere i riflettori sugli esclusi vittime della guerra

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L’appello di missionari comboniani, Comunità di Sant’Egidio e Medici senza frontiere in una conferenza stampa alla Camera dei Deputati italiana: dopo due anni di conflitto nel Paese africano tra esercito e paramilitari, è urgente far ripartire le trattative di pace e garantire l’accesso della popolazione agli aiuti umanitari

Giada Aquilino – Città del Vaticano

Accendere i riflettori sulla peggiore emergenza umanitaria al mondo. Questo l’appello risuonato più volte ieri a Roma, nel corso della conferenza stampa alla Camera dei Deputati dal titolo “Sudan: promuovere negoziati di pace e garantire aiuti umanitari», con i missionari comboniani, la Comunità di Sant’Egidio e Medici senza frontiere (Msf). È urgente «mettere al centro una volta di più quelli che Papa Francesco invita a non dimenticare» e che invece troppo spesso rimangono «esclusi», cioè le vittime di una guerra che si protrae ormai da quasi due anni, ha dichiarato fratel Antonio Soffiantini della provincia italiana dei comboniani, realtà missionaria da sempre impegnata in Sudan. «È in gioco la dignità delle persone», ha proseguito fratel Soffiantini, ricordando un conflitto che dal 15 aprile 2023 vede contrapposti l’esercito di Khartoum e i paramilitari delle Forze di supporto rapido: 12 milioni gli sfollati interni e oltre 3 milioni i rifugiati nelle nazioni limitrofe, soprattutto in Ciad, Egitto, Sud Sudan. Una terra di fatto oggi spaccata in due: l’esercito del generale Abdel Fattah al-Burhan controlla il nord e l’est e i paramilitari guidati dal generale Mohamed Hamdan Dagalo sono presenti nella regione occidentale del Darfur e in alcune parti del sud.

Ascolta l’intervista con fratel Antonio Soffiantini

Il Pontefice, anche nel testo preparato per l’Angelus di domenica scorsa, ha più volte pregato affinché si continui a «invocare il dono della pace» per il Sudan. L’entità della crisi, d’altra parte, è tale che la metà dei 50 milioni di abitanti risulta essere a rischio di grave insicurezza alimentare. «La gente soffre la fame: c’è assoluto bisogno di portare cibo e medicine e si riscontra un gravissimo stato di malnutrizione tra i bambini», ha spiegato Paolo Impagliazzo, segretario generale della Comunità di Sant’Egidio.

Rilanciare il dialogo

«È necessario favorire l’accesso degli aiuti umanitari e far sì che i donatori si impegnino a finanziarli: con la sospensione degli aiuti da parte dell’Usaid (l’Agenzia statunitense per lo sviluppo internazionale, ndr) la situazione è peggiorata, con una riduzione dei fondi del 77%», ha riflettuto Impagliazzo in una conversazione con i media vaticani a margine dell’appuntamento promosso su iniziativa del parlamentare Paolo Ciani. «È essenziale rilanciare» le trattative, «mettere l’esercito e le milizie a un tavolo per cessare le ostilità», ha proseguito, auspicando l’individuazione di soluzioni efficaci per la popolazione più a rischio: l’idea, ha aggiunto, è anche quella di un corridoio umanitario, per esempio con il Ciad, che dall’inizio del conflitto, secondo dati Onu di qualche giorno fa, ha ospitato 930.000 sudanesi. «Il valico di André fra il Ciad e il Sudan — ha ricordato il segretario generale della Comunità di Sant’Egidio — è stato riaperto a novembre scorso, ma gli aiuti umanitari non riescono ad arrivare in tutte le località del Darfur, quindi c’è bisogno di implementare, rendere più efficace e più effettivo il loro trasporto anche nelle zone difficilmente raggiungibili». Di qui la richiesta al governo italiano di «uno sforzo per la ripresa dei negoziati per porre fine al conflitto, garantire l’accesso della popolazione agli aiuti umanitari e continuare l’accoglienza di famiglie vulnerabili in fuga dalla guerra attraverso i corridoi umanitari», ha dichiarato Impagliazzo.

Ascolta l’intervista con Paolo Impagliazzo

L’utilizzo strumentale degli aiuti

«L’80% delle strutture sanitarie è in una condizione di non funzionamento», ha testimoniato Marco Bertotto, direttore dei programmi di Msf, denunciando specificamente «una strategia deliberata delle parti coinvolte nel conflitto per avere vantaggi militari»: è, ha spiegato, l’«utilizzo strumentale degli aiuti o della limitazione di essi». Tutto ciò «diventa così un’arma di guerra, con conseguenze dirette sulla popolazione civile: un sudanese su due oggi vive una situazione di insicurezza alimentare e un sudanese su cinque è costretto ad abbandonare la propria casa».



Sfollati sudanesi nel campo di Zamzam

A fine febbraio i team di Msf hanno dovuto sospendere le attività nel campo per sfollati di Zamzam, nel Nord Darfur, a causa dell’intensificarsi degli attacchi. Lì, dove l’estate scorsa è stata dichiarata la carestia, oggi 500.000 persone sono «senza assistenza umanitaria necessaria», ha constatato Bertotto, parlando di un «drammatico fallimento della comunità internazionale di fronte a ciò che sta avvenendo» in tutto il Sudan.

Ascolta l’intervista con Marco Bertotto

Oro in cambio di armi, nonostante le sanzioni

In videocollegamento da Strasburgo, l’eurodeputato Marco Tarquinio ha ricordato come il Parlamento Ue si pronuncerà a breve «partendo dagli stupri di guerra su donne e minori» e ha sottolineato come anche la crisi in Sudan sia il frutto di un mondo «che stiamo inzeppando di armi». L’ex direttore di «Avvenire» ha richiamato quanto riportato dal quotidiano statunitense «The Washington Post», secondo cui l’industria della difesa turca avrebbe costruito relazioni con entrambe le parti del conflitto in Sudan, inviando armi nel Paese africano in violazione alle sanzioni Usa e Ue. In questo momento tutti i belligeranti «trovano finanziamenti» attraverso lo sfruttamento e il commercio illegale dell’oro, «che si usa per comprare le armi: questo conflitto sta arricchendo altri. Sono ben conosciute e documentate le rotte dei traffici», gli ha fatto eco padre Jorge Naranjo, direttore del Comboni college of science and technology, collegato da Port Sudan. Il missionario ha richiamato al contempo l’attenzione sull’emergenza educativa: «10 milioni di bambini sono rimasti senza scuola e l’87% degli studenti universitari ha dovuto lasciare gli atenei, resi inaccessibili dal conflitto». In tale ottica i comboniani, costretti dalle violenze a lasciare Khartoum, hanno «riaperto» la loro realtà universitaria a Port Sudan con una piattaforma online.

L’appello dei partecipanti al governo italiano, a cui hanno aderito diverse realtà della società civile, è stato infine rilanciato da Brando Ricci della testata comboniana Nigrizia: dalla tregua ai negoziati di pace, dal rispetto dell’embargo su esportazione e vendita di armi agli aiuti alimentari attraverso i corridoi umanitari, fino alla garanzia dei diritti umani di migranti e rifugiati dal Sudan, tutelandone il diritto d’asilo.



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