Sapone, artigianato, ristorazione: generare reddito in Tanzania

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Non solo mamme, ma anche donne intraprendenti e determinate, con una formazione professionale e imprenditoriale che permetta di generare valore per loro stesse e per tutta la comunità. E’ questo l’obiettivo delle attività di empowerment femminile che vedono protagoniste alcune donne che frequentano il Centro Antonia Verna – Kila Siku di Dar es Salaam. Sono madri (o caregivers) di alcuni fra i bambini o ragazzi con disabilità che frequentano il Centro di riabilitazione per ricevere le terapie adeguate alla loro condizione: figure fondamentali per la buona riuscita della terapia e per la cura dei loro bambini, ma anche donne con enormi responsabilità sulle spalle (ad iniziare dagli altri figli) e che, non avendo un impiego, con fatica riescono a sbarcare il lunario e a contribuire alle spese sanitarie richieste per i loro figli.

Ecco perché col tempo è maturato l’obiettivo di coinvolgere queste donne in progetti che forniscono delle linee guida professionalizzanti, e permettono loro di acquisire competenze specifiche in una particolare attività, sviluppando al tempo stesso la comprensione di nozioni teoriche sulla microimprenditorialità. Il tutto con l’obiettivo di aprire la strada a percorsi imprenditoriali che possano garantire loro un reddito, e quindi passi importanti sulla strada dell’autonomia e dell’indipendenza. 

La formazione avviene generalmente durante la terapia riabilitativa dei figli o mentre i bambini e le bambine sono intrattenuti dai volontari in attività di stimolazione cognitiva. In questo modo, il Centro diventa il luogo in cui sia il figlio sia la madre vivono esperienze dirette in grado di migliorare la qualità di vita e le prospettive di autonomia.

Uno di questi progetti è incentrato sulla produzione di sapone artigianale. Si tratta di un’iniziativa che ha coinvolto anche le due operatrici dei Corpi Civili di Pace che per ComSol sono state presenti nel Centro fra l’ottobre 2023 e l’ottobre 2024 e che si è sviluppato a partire da una serie di lezioni teoriche di microimprenditorialità, incentrate sul come gestire e vendere il sapone. 

E’ stato favorito il team building tra le partecipanti, fornendo loro materiale didattico e creando momenti di convivialità: ogni mamma, in particolare, è stata chiamata a ricoprire un ruolo specifico all’interno del gruppo, per responsabilizzarla e rendere l’attività maggiormente condivisa. In una seconda fase, successiva, ci si è concentrati sulla produzione vera e propria del sapone, che avviene all’aperto, in una zona ventilata del Centro, con la supervisione di Mama Jansoni, una delle madri del gruppo, che si è assunta la responsabilità della parte pratica. Le partecipanti discutono su come migliorare la produzione, condividono i progressi delle vendite effettuate durante la settimana e sviluppano un forte senso di solidarietà e di rispetto reciproco.

Ad oggi, il Progetto Sapone – la cui gestione, con la fine del servizio delle operatrici dei Corpi Civili di Pace, è stata assunta dalle operatrici e dagli operatori locali, oltre che da alcune fra le mamme – coinvolge una decina di madri. La terza fase del progetto, attualmente in corso, favorisce l’incontro con strutture interessate ad acquistare il sapone, dunque ristoranti, hotel ed enti che comprano il prodotto, sostenendo al tempo stesso un progetto di empowerment. In prospettiva si pianifica la creazione di una piattaforma online per la vendita e la diffusione dell’iniziativa, da affiancare al canale di vendita diretto.

Avviato già da qualche anno, il progetto dell’artigianato solidale è un altro esempio riuscito di supporto all’imprenditorialità femminile: gruppi di donne sono state coinvolte nelle attività di formazione alla sartoria, e hanno appreso come realizzare vestiti, borse, portafogli e una vasta gamma di altri prodotti tessili. Alcune donne sono anche riuscite ad aprire delle piccole attività (biashare) e a ricavare una qualche forma di autonomia economica. Il vantaggio più visibile è quello della creazione di un gruppo affiatato che condivide il lavoro, trascorre del tempo insieme e si supporta a vicenda nella gestione dei figli con disabilità che frequentano il Centro di riabilitazione.

Per implementare il progetto, è in previsione la costruzione di apposite strutture da dedicare alla parte espositiva: in breve, si pensa alla nascita – presso il Centro A. Verna  Kila Siku – di negozi in cui esporre i prodotti di autofinanziamento del Centro: non solo cucito dunque, ma anche il sapone e tutti gli altri prodotti. Nell’impresa si prevede di coinvolgere anche alcune ragazze del centro di formazione professionale di Yombo (in collaborazione con CEFA) , che mira a favorire l’occupazione lavorativa di giovani donne con disabilità.

I progetti di imprenditorialità sartoriale possono essere sostenuti anche dall’Italia, con l’acquisto proprio degli oggetti di artigianato solidale realizzati dalle mamme tanzaniane: magliette, gonne, borse, zaini, grembiuli, ma anche portamonete, elastici, beauty case, agende, quaderni, e così via, da utilizzare anche come bomboniere per le occasioni speciali di festa familiare. L’acquisto di quegli oggetti, realizzati dalle donne protagoniste dei progetti di inclusione, emancipazione ed auto-imprenditorialità in Tanzania, permette di dare maggiore forza economica al progetto, generando fiducia e autonomia.

Al Centro Antonia Verna – Kila Siku c’è da tempo una cucina con un luogo dove consumare i pasti. In origine era una semplice mensa, un luogo di fatto riservato esclusivamente ai lavoratori del centro: senza una particolare varietà di cibi, non era nemmeno particolarmente frequentato. Di recente, anche grazie all’impegno dei volontari del Servizio Civile Universale 2024/25, questo luogo di ristoro (chiamato “Canteen”, mensa) si è evoluto, diventando di fatto un piccolo bar – ristorante aperto non solo a tutti i lavoratori, ma anche ai pazienti, ai caregivers e ad eventuali ospiti che si trovassero a passare dal Centro. 

L’idea alla base di questa evoluzione è quella di sfruttare al meglio la potenzialità del servizio di ristorazione, perché – oltre ad offrire un servizio utile a chi si trova nel Centro – possa anche diventare una fonte di reddito e di autofinanziamento per il centro di riabilitazione, dando peraltro possibilità di inserimento lavorativo a ragazzi con disabilità (in collaborazione con CEFA).

Nei mesi scorsi, dopo l’elaborazione di un business plan, con i fondi di alcune donazioni sono stati compiuti i primi passi: sono state assunte due nuove cuoche e un assistente che si occupa della spesa al mercato e della gestione della cassa, e conseguentemente sono state inserite nuove proposte all’interno del menù, che hanno portato ad un primo ampliamento della clientela. L’attività è ancora agli albori, ma i primi riscontri confermano l’esistenza di una potenzialità che, se ben sfruttata, può certamente portare beneficio all’intero Centro. Per il prossimo futuro si ragiona, oltre che sull’abbellimento strutturale del locale, sull’introduzione di promozioni per attrarre più clienti e per favorire un’alimentazione più salutare: l’obiettivo è quello di ridurre al minimi gli sprechi e quindi di andare nella direzione di una “cucina sostenibile”. In parallelo, per ampliare il mercato, l’intenzione è anche quella di promuovere la modalità di “consegna a domicilio”.

Come detto, la “Canteen” ha anche un importante risvolto professionale, perché in grado di creare inserimento lavorativo: al riguardo, due nostri civilisti, Giada e Davide, hanno intervistato Margareth, giovane tanzaniana che lavora proprio nella cucina della Canteen. Qui puoi leggere la loro conversazione e conoscerla meglio.

Il sapone, l’artigianato, la ristorazione: tutte queste attività, rafforzate anche dal sostegno di donatori privati, sono la testimonianza reale di come, unite da una causa comune, queste donne siano in grado di generare cambiamento e nuove opportunità, anche in un contesto complesso in cui la disabilità dei loro bambini comporta la presenza di moltissime sfide di carattere personale. La nostra azione continuerà nel tempo per supportare il Centro Antonia Verna e accompagnare in questi percorsi le mamme che ne sono protagoniste.



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