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Fu una lettera a firma di Angelo Zomegnan, in quel periodo Responsabile Ciclismo di RCS Sport, a chiudere definitivamente la porta sulla Primavera Rosa, gara per donne che RCS Sport organizzò per sei anni sul percorso della Classicissima. Da Varazze a Sanremo, antesignana della Milano-Sanremo Donne che sabato prossimo incendierà nuovamente il gruppo delle ragazze. Era il 2006, il ciclismo femminile era racchiuso in una nicchia in penombra e nella lettera erano indicati fattori inoppugnabili. Non si erano trovati sponsor e la città di Sanremo non era interessata alla gara femminile. L’unico modo per non staccare la spina sarebbe stato moltiplicare per 10 in contributo del Comune di Varazze: ipotesi che nella stessa lettera arrivata da Milano venne ritenuta eccessiva e irriguardosa.
Fu così che l’edizione del 2005 fu l’ultima della breve serie. Fra le sei vincitrici, una sola italiana – Sara Felloni – poi le più grandi campionesse dell’epoca. Diana Ziliute, Susanne Ljungskog, Mirjam Melchers, per due volte Zulfia Zabirova e Trixi Worrack (in apertura la sua vittoria nel 2005, l’ultima).
Quando si è iniziato a parlare della Milano-Sanremo Donne, che cade a vent’anni esatti dall’ultima Primavera Rosa, a Varazze qualcuno si è fatto il sangue amaro. La città aveva investito, organizzato premi giornalistici e serate a tema. La facilità con cui venne tutto cancellato è rimasta come una ferita, così non tutti quelli che direttamente la organizzavano nella città ligure hanno voluto parlarne. Si è offerto Mario Prato, che allora era un ragazzo e ci guida in questa ricostruzione del tempo andato.
Cos’era la Primavera Rosa?
Fu la mia prima occasione di venire a contatto con il ciclismo femminile. Una sorpresa, perché abbinare 25 anni fa una corsa di ragazze a un monumento come la Sanremo, fu un bel gesto di lungimiranza. Tutti si chiedevano se l’Aurelia sarebbe stata chiusa più a lungo, perché qui questo è il problema più grosso. Sapevamo che nel resto dell’Europa le corse femminili stavano nascendo accanto alle grandi classiche, quindi poteva essere un’occasione di rilancio del territorio. Peccato che televisivamente non venisse assolutamente considerata.
Non c’era la diretta?
Se ti andava bene, avevi l’arrivo in differita. A seconda di quello che succedeva, lo accantonavano e lo facevano vedere dopo quello dei maschi. Per le fasi di partenza avevamo un po’ di copertura dalla RAI regionale. Il ritorno di immagine era quasi nullo e forse erano più i disagi che i vantaggi per le questioni di viabilità, il numero di posteggi che diminuiva e tutto il resto. Però era il nostro grande evento.
Importante quindi per Varazze?
Molto e per questo meritava di essere più valorizzato. Forse la Gazzetta non aveva interesse perché il ciclismo femminile di 25 anni fa non era ai livelli di ora, mentre adesso c’è chi farebbe a pugni per organizzare una corsa di donne. All’epoca, se potevano, ti mettevano i bastoni fra le ruote. Pochi conoscevano le atlete. A parte qualcuna dell’Est o le olandesi, non c’erano nomi di spicco da sfruttare per avere un ritorno d’immagine.
Però Varazze ci aveva costruito parecchi eventi attorno…
Secondo me il problema grosso è stato che Varazze si è impossessata di questo avvenimento. Ok, la Gazzetta lo organizzava, ma Varazze si sentiva importante e quindi aveva costruito una serie di eventi che hanno prodotto un dolore anche maggiore quando si decise di non farla più. Se la città si fosse limitata con il distacco necessario a schierare quattro vigili, liberare lo spazio, mettere le transenne e quello che serve, a farla o non farla, non sarebbe cambiato molto. Invece la città si sentiva molto coinvolta, anche grazie a Carlo Delfino, che quando ha un obiettivo diventa una locomotiva.
Che cosa intendi?
Mi ricordo una tirata d’orecchie da parte di Sergio Meda, che curava l’ufficio stampa di RCS, perché come Varazze mandavamo comunicati stampa e lui ci invitò a frenare gli entusiasmi e non continuare a mandare cose a nome della Primavera Rosa. Varazze la sentiva come una cosa molto sua e quando eravamo tutti pronti per la settima edizione e invece RCS disse di no, la delusione fu enorme. Il problema principale erano i soldi, Varazze da sola non sarebbe stata probabilmente in grado di proseguire. Si fa presto a dirlo, ma tante manifestazioni nascono e muoiono proprio per la questione economica, contro cui spesso l’entusiasmo si infrange.
Ora arriva la Milano-Sanremo Donne, senza continuità con quanto si fece in quegli anni: come l’avete presa?
Sicuramente avrebbe fatto piacere un coinvolgimento sul territorio, anche col fatto che la Liguria è Regione Europea dello Sport. Ovvio che in questi casi Genova è madre e matrigna. Da una parte si è accollata la partenza della Milano-Sanremo Donne, dall’altra non ha dato i soldi al Trofeo Ponente in Rosa, che è stato cancellato. Il Comune di Genova per giunta è commissariato, perché è senza sindaco, chi ha deciso di dare i soldi per una corsa e non per l’altra?
C’è un’edizione della Primavera Rosa che ricordi di più di altre?
Ovviamente la prima, perché fu il mio debutto con la macchina accreditata. Feci il percorso davanti con radio corsa. Ero appena sposato e avevo coinvolto mia moglie a fare l’interprete sul palco alla presentazione delle squadre. Poi, bene o male, le altre le metto tutte sullo stesso piano. Ho un ricordo bellissimo di quando vinse Trixi Worrack. Era l’ultima edizione, ma non lo sapevamo ancora. Lei poi ebbe un brutto incidente, ricordo che dopo l’arrivo aveva aspettato le compagne e le aveva abbracciate tutte.
Cosa ti pare del ciclismo femminile di oggi?
Abbiamo campionesse come Elisa Longo Borghini, Guazzini o Balsamo, giusto per fare tre nomi che attirano l’attenzione. Un po’ quello che sta facendo la Brignone nello sci, perché se non ci fosse lei, penso che lo seguirebbe ben poca gente. A quel tempo mancavano i personaggi. C’erano sicuramente degli atleti di valore, però erano esponenti di uno sport di nicchia. Oggi sono anche loro delle star.
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