più di 70 mila braccianti sfruttati per un giro d’affari di 11 miliardi

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Secondo la CGIA di Mestre esiste un volume d’affari annuo “sommerso”, riconducibile al lavoro irregolare che in Lombardia ammonta a 11 miliardi di euro e coinvolgerebbe all’incirca 70 mila braccianti vittime di caporalato.

Secondo la CGIA di Mestre, esiste un volume d’affari annuo “sommerso”, riconducibile al lavoro irregolare che in Italia ammonta a 68 miliardi di euro e coinvolgerebbe all’incirca 3 milioni di persone operanti in palese violazione delle norme fiscali, contributive e di sicurezza. Di queste il 16% è riconducibile alla Lombardia (pari a 11 miliardi di euro), dove si stimano circa 440.000 lavoratori non regolari. Il 16,8% di loro (circa 74 mila) sono lavoratori e lavoratrici irregolari vittime di caporalato.

In questi giorni, l’associazione Terra! ha presentato il report intitolato “Gli ingredienti del caporalato – Il caso del Nord Italia”, il nuovo rapporto sullo sfruttamento in agricoltura nelle regioni del Nord. Quello che emerge dai dati nel documento è un quadro preoccupante: dai turni estenuanti ai contratti pirata, sempre più lavoro grigio, modalità opache di reclutamento, condizioni di trasporto e alloggio precari che costituiscono e alimentano il sistema del caporalato basato su una manodopera a basso prezzo e perlopiù straniera.

Il report – che si muove nel solco di alcune inchieste che nel 2024 hanno fatto luce sulle condizioni di sfruttamento della manodopera nell’agricoltura italiana – analizza i fattori che negli ultimi tempi stanno determinando la diffusione del caporalato in Italia e, nello specifico, in Lombardia. Tra queste, l’aumento delle cooperative senza terra, la manodopera straniera sempre più ricattabile e vulnerabili e, per questo, spesso ridotta al silenzio o, ancora, le aggressive politiche di pricing della Gdo e le condizioni abitative, riguardi alle quali “si dice che vengono ficcati in case fatiscenti, nelle roulottes in mezzo ai campi, invisibili” ha racconta un’operatrice di un’associazione.

Per comprendere il caporalato dobbiamo guardare a quello che succede lungo la filiera, quali sono le distorsioni”, ha detto Fabio Ciconte, presidente dell’associazione Terra! “Questo report chiarisce che, esattamente come accade nel Sud Italia, anche nel ricco Nord, gli ingredienti del caporalato sono pressoché invariati. Fattori che denunciamo da tempo, che stanno diventando sempre più complessi, su cui la politica stenta a intervenire. Serve invece che la politica lanci un segnale, perché prevenire lo sfruttamento, renderlo antieconomico, significa lavorare per colmare quei vuoti in cui si annida: l’incontro domanda-offerta di lavoro, i trasporti e la casa per chi lavora. Sono questioni strutturali che vanno risolte definitivamente, perché si tratta di diritti, di dignità, ma anche di futuro di un settore già troppo in crisi”.

Il caporalato in Lombardia, i numeri

In Lombardia di sono circa 74 mila tra lavoratori e lavoratrici irregolari, vittime di caporalato. Di questi, meno di 300 sono stati intercettati dagli accertamenti e dalle ispezioni condotte nel 2023 dall’Ispettorato Nazionale del Lavoro, un’agenzia governativa che esercita e coordina, sul territorio nazionale, la funzione di vigilanza in materia di lavoro, contribuzione, assicurazione obbligatoria e di legislazione sociale.

I dati relativi alla distribuzione regionale delle inchieste sembrano, ancora una volta, indicare la Lombardia come un “punto caldo” dell’area Nord Italia. Nella regione, infatti, si conterebbe la maggior concentrazione dei casi (29), a loro volta concentrati per due terzi nelle province di Mantova, dove si registrano 15 inchieste e di Brescia (4 casi). In particolare, a essere coinvolte sono le cooperative spurie nella produzione del melone in provincia di Mantova, le fabbriche di insalate nelle province di Bergamo e Brescia e i macelli dei suini nelle province di Mantova e Cremona, dove molti operai non hanno il contratto che corrisponde alla loro mansione.

Come mai questo accade? Secondo quanto emerge dal report di Terra! un ruolo chiave è giocato dal fenomeno della “profughizzazione” del lavoro in agricoltura. Questo perché, nella maggior parte delle inchieste per sfruttamento sul territorio lombardo, sono coinvolti richiedenti asilo, molto spesso reclutati dai caporali direttamente nei centri di accoglienza − spesso con la complicità degli stessi gestori delle strutture − per essere impiegati come braccianti nelle aziende vitivinicole del territorio.

Caporalato, le possibili soluzioni

Per fronteggiare la diffusione e la pervasività del caporalato è stato introdotto il “Piano nazionale di contrasto allo sfruttamento lavorativo in agricoltura”, una strategia pluriennale che mira a prevenire e contrastare il fenomeno, nonché a proteggere le vittime e supportarle nella loro inclusione nella società e nell’accesso a un lavoro dignitoso attraverso interventi sistemici che coinvolgono le diverse amministrazioni a livello centrale, regionale e locale al fine di ottimizzarne l’impatto, pianificare e massimizzare l’utilizzo delle risorse umane e finanziarie. Lo dovrebbe fare lungo quattro assi strategici – prevenzione, vigilanza e il contrasto, protezione e l’assistenza, reintegrazione socio lavorativa – anche se, al momento, dalla ricerca risulterebbe che la regione Lombardia si sarebbe mossa soltanto sull’asse strategico di vigilanza e contrasto.

In questo senso, un ruolo importante è stato ricoperto dalla Legge n.30 del 20 dicembre 2022 su “Interventi regionali per la prevenzione e il contrasto della criminalità organizzata e per la promozione della cultura della legalità” e, in particolare, con l’articolo 5 bis di tale legge relativa alle “Azioni orientate alla prevenzione e al contrasto dei reati di intermediazione illecita e sfruttamento di lavoro”. Prima di questa, infatti, esistevano soltanto degli accordi di collaborazione con i Comuni al fine di attivare, tramite delle Polizie locali, attività di prevenzione e contrasto del fenomeno, una specifica formazione per gli operatori di polizia locale dei Comuni  sottoscrittori degli accordi ed erano state elaborate delle “Linee Guida per la prevenzione ed il contrasto al caporalato” che si proponevano di orientare le iniziative future dei comandi di Polizia Locale. Quello che manca, però, ancora oggi è uno specifico sistema di controllo, una legge organica che possa incidere realmente e in maniera concreta sulla diffusione del fenomeno.





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