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«In virtù del battesimo siamo tutti missionari». E missionaria laica, in Madagascar, Maria Trudu lo è da vent’anni. «Colpita dal mal d’Africa, incurabile non fosse altro perché io non ho fatto nulla per guarire». Su e giù da Lanusei «almeno quattordici volte. Forse di più. Non ricordo quante, con precisione». L’ultima poche settimane fa. Settantasei anni, insegnante in pensione, cooperatrice salesiana, torna alle origini per spiegare il senso della sua scelta. «Provenendo da una famiglia modesta», ama ripetere, «ho sempre sentito nel mio animo di essere solidale con gli ultimi: i poveri, gli emarginati. A tal fino ho fatto del volontariato, lavorato per le missioni e testimoniato la Parola di Dio come catechista, come insegnante e nei rapporti interpersonali». Ha scelto la grande isola africana proprio in virtù del suo legame con la comunità salesiana. «In questi ultimi due decenni, essendosi fatto più profondo il desiderio di essere solidale con i meno fortunati, ho voluto recarmi nei paesi di missione scegliendo la terra africana e in particolare i centri salesiani del Madagascar. Lo spirito di don Bosco mi ha sempre affascinato. Ho potuto vedere con i miei occhi che ogni comunità missionaria è casa che accoglie i giovani, parrocchia che evangelizza, scuola che prepara alla vita». Così l’insegnante di Lanusei si dà da fare proprio nella dozzina di opere aperte dai figli di san Giovanni Bosco, dove i missionari sardi sono arrivati nel 1981. Don Gianmarco Lai, di Perdasdefogu, fu uno dei primi «in uno dei paesi più poveri del mondo, dei cui drammi purtroppo non si parla abbastanza» Non c’è il diritto allo studio», racconta Maria Trudu, «si registra un analfabetismo diffuso, non esiste un diritto alla salute. Uno dei primi obblighi dei missionari, laggiù, è stato garantire l’istruzione, la mensa scolastica. Le famiglie mandano i propri bambini a scuola perché in questo modo possono mangiare. Anche a costo di fare due ore di strada a piedi».
I salesiani hanno instaurato con i ragazzi malgasci un «rapporto educativo – spiega la missionaria ogliastrina – che si regge sulla fiducia reciproca, fondata sull’accoglienza e sul rispetto delle tradizioni». Sente il respiro dell’Africa molto vicino, Maria Trudu, di un’isola bellissima, dei suoi alberi maestosi ma anche le strade polverose, prive di asfalto e segnaletica. Città e villaggi assediati da un’emergenza sanitaria gravissima. «Le epidemie da combattere sono colera, tifo, febbre gialla e malaria. Per fronteggiarle la missione salesiana di Betafo, una cittadina di 35 mila abitanti, ha assunto una dottoressa che ha studiato in Francia. Garantisce cure gratuite ai poveri». Eppure la gente di questa terra non ha mai smesso di sorridere. Sa stare in allegria. «Paradossalmente mi fa star male questa loro espressione di serenità, se pensiamo che il mondo occidentale non sa essere sereno nonostante gli agi. Il buonumore dei malgasci sconfigge anche la disperazione, è contagioso». Anche per questo Maria Trudu si è fatta rapire dalla gente del Madagascar. «Ho a che fare con un popolo ladro, che mi ha rubato il cuore. E io sento non solo il bisogno ma anche il dovere di recarmi spesso in questo paese. Dal Madagascar rientro tutti gli anni spiritualmente più ricca e gioiosa, anche se nel mio animo rimane incisa la profonda sofferenza provata nel vedere tanti volti scarni e quasi senza vita per mancanza di cibo». La miseria è dura da combattere, il salario giornaliero di un operaio è di 4500 ariary, meno di un euro. Nell’abitazione tipo non c’è né luce né acqua. Il pavimento è in terra battuta. Si cucina all’aperto, con il carbone. Quando piove è difficile allestire il fornello dentro casa, perché non c’è neppure una canna fumaria. Ovunque sporcizia, biancheria lurida. «La lavi e sembra ancora più lurida».
In tutte le case salesiane del Madagascar ci sono le scuole, «la prima emergenza della quale si sono preoccupati i figli di don Bosco fin dal loro arrivo. In alcuni centri esistono anche gli istituti professionali. Alle famiglie si chiede una retta mensile di tremila ariary, appena sessanta centesimi, ma non tutti si possono permettere di pagare in denaro. Molti contribuiscono in natura: un po’ di verdura, tre uova al mese. Difficili da reperire perché le galline non vivono nel recinto, sono a spasso. E chi trova le uova le ruba». La comunità salesiana guarda ai bambini cui garantire istruzione ma anche ai ragazzi più grandi che entrano nei circuiti della criminalità. «Nei pressi dell’aeroporto di Antananarivo, la capitale, c’è un centro per ragazzi di strada. Il direttore si trova spesso in difficoltà a garantire tutti i giorni 1300 pasti, tra colazione, pranzo e cena. Qui questi giovani imparano un mestiere, quando completano il percorso sono buoni cristiani e onesti cittadini, secondo gli auspici di don Bosco. Coloro che non trovano posto nel centro, perché non a tutti è possibile dare assistenza, invece delinquono, finiscono spesso in carcere». Dimenticati come la loro terra dall’Occidente che volta lo sguardo da altre parti.
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