Marco il carabiniere che ci ha lasciati troppo presto: 5 anni di vuoto e di impegno (200 mila euro) per la ricerca contro il glioblastoma

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Marco se lo è portato via il terribile glioblastoma e domani saranno 5 anni da quel giorno. Carabiniere, figlio di carabiniere, Marco frequentava la scuola marescialli. Fino alla fine, per dire del suo spirito, Marco Calicchia anche dal letto della sofferenza ha sempre sollevato il pollice davanti ai suoi cari in segno di “tutto ok”.

L’associazione Glio.Ma. ne perpetua la memoria e raccoglie fondi per la ricerca contro questo feroce tumore cerebrale. Il 12 marzo per mamma Aurora, insegnante, babbo Claudio, luogotenente dell’Arma e per i fratelli di Marco, Claudia e Lorenzo, di Cortona, sarà un mercoledì durissimo, lenito dall’abbraccio di tanti.

– Signora Aurora, che tipo era Marco?

Un ragazzo splendido. Sano e resistente. Sportivo. Diplomato in ragioneria, era entrato nell’Arma dei carabinieri, era stato assegnato alla stazione di Pozzuolo, sotto Castiglione del Lago, studiava alla scuola marescialli di Firenze. La malattia è stata un fulmine improvviso.

– Come fu diagnosticato il glioblastoma?

Prima di entrare alla scuola, a luglio 2018 si era sottoposto a tutti gli accertamenti, analisi, test attitudinali, tutto a posto. Ad agosto faceva il giro del Lago di corsa, scoppiava di salute. A settembre iniziò il corso.

– Poi?

Dieci giorni dopo cominciò ad avvertire male di testa, pensò all’aria condizionata o all’ansia, ai ritmi diversi per studiare. La cosa proseguì in ottobre, gli fu somministrata tachipirina che rimise, quindi fu sottoposto ad un accertamento a Careggi, la tac evidenziò una macchia, poi la risonanza.

– Quindi la diagnosi.

Sì e a fine novembre al Besta di Milano il primo intervento. Un percorso difficile, di grande sofferenza, durato 16 mesi fino al 12 marzo 2020. Nell’estate del 2019 Marco stava bene, andava a camminare, correva, faceva nuoto. Il tumore sembrava sparito, ma a settembre il male è ripartito.

– Marco aveva progetti, forza, idee. La vocazione per l’Arma l’ha avuta subito?

Francamente pensavamo che avrebbe fatto altre scelte, invece un giorno tornati dalle vacanze ci disse che voleva fare il carabiniere, prima passando dall’esercito, poi avrebbe fatto il concorso. Era il 2016.

– Una famiglia originaria del Lazio, la vostra, ma ormai cortonese a tutti gli effetti.

Io e mio marito siamo di Frosinone, lui abita qui dal 1993 e io dall’anno successivo. Claudia e Lorenzo, 27 e 15 anni, sono nati qua, Marco ad Alatri. Sportivissimo, ha giocato con il Cortona Camucia e praticato altre discipline.

– Marco come ha affrontato la malattia, il cui nome è una sentenza?

Con tanta, tantissima forza. Non ha mai detto “mi sento male, sono stanco, vorrei morire”. Nonostante i tanti interventi sostenuti, la terapia intensiva. Eppure era consapevole di tutto. Si confidava con don Italo e don Ottorino e sappiamo che lui si preoccupava unicamente, per il dopo, per noi. Il 10 marzo, quando poi la situazione precipitò, ancora alzava il pollice, come faceva sempre per farci coraggio. Lui a noi.

– Com’è nata l’associazione Glio.Ma?

Quando Marco ci ha lasciati, a causa della pandemia non si poté neppure celebrare il funerale. Un anno dopo, a giugno, ci fu una celebrazione a Santa Margherita, molto partecipata, e vennero raccolti 1.000 euro devoluti all’Istituto neurologico Carlo Besta di Milano. Ci dicemmo, perché non creare qualcosa di stabile per aiutare la ricerca in questo campo? Era il 2020. Da allora in 4 anni abbiamo raccolto quasi 200 mila euro con convegni, mercatini, eventi sportivi e cene benefiche.

– Come vengono utilizzate queste risorse?

Una prima parte è servita per potenziare l’istituto milanese dove Marco è stato curato, un assegno al professor Francesco Di Meco per acquistare un endoscopio flessibile per certe diagnosi e per un servizio cloud di collaborazione virtuale con la sala operatoria. Dopo i primi 100 mila euro donati, stiamo per centrare l’obiettivo dei secondi 100 mila, sempre al Besta, per la ricerca sui tumori cerebrali infantili. Presidente dell’associazione è nostra figlia Claudia

– In 5 anni ci sono stati passi avanti contro il glioblastoma?

Ancora la strada è molto lunga. È complesso anche fare una mappatura dei casi nel territorio.

– Le cause?

Gli specialisti non si esprimono, c’è chi chiama in causa certi alimenti.

– Ha sentito dei vigili del fuoco di Arezzo? Quattro casi dello stesso glioblastoma nel giro di pochi anni…

Sì, inizio a pensare che qualcosa in zona ci sia qualcosa. In ogni caso servono approfondimenti scientifici e medici seri.

– Cosa consiglia alle famiglie che si trovano in una vicenda analoga?

Tanta forza, tanto coraggio. Il consiglio che do è di vivere fino all’ultimo, intensamente, i propri cari.

– Il 12 marzo ci sarà una cerimonia per Marco?

Sì, alle 17 nella chiesa di San Filippo, celebrata da don Italo. Verranno anche i suoi amici di camerata, sei ragazzi che erano in stanza con Marco alla scuola marescialli di Firenze. Voglio sottolineare, in questi 5 anni di vuoto, la vicinanza che abbiamo ricevuto dall’Arma dei carabinieri, da Cortona e da tantissime persone.



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