L’illusione del riarmo Ue

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L’Unione Europea è nata dalla voglia di pace di un continente che il secolo scorso era stato semidistrutto da due sanguinose guerre mondiali nate dallo scontro dei nazionalismi e delle ideologie totalitarie. È bene ribadirlo oggi che il disegno europeo sta vivendo una crisi forte a causa della risurrezione dei nazionalismi e di movimenti pericolosamente estremisti e del disinteresse palese dell’amministrazione Usa. E ora che si intende rilanciare l’Ue sul riarmo e la crescita dell’industria bellica quali “motore economico”, come affermato dalla presidente della Commissione Von der Leyen, la quale invita al realismo e alla fine delle illusioni, e dai leader francese e tedesco che costituiscono la dorsale dell’Unione. Ed è ancora sul riarmo che si misura il primo riavvicinamento concreto della Gran Bretagna ai 27 dopo la Brexit. Ma questa via principale, con tutta franchezza, non convince. Il disegno rischia anzi di far deragliare definitivamente l’Unione europea perché non affronta i suoi problemi.

Il realismo dice altro. Secondo Romano Prodi, che della Commissione è stato presidente, la somma della spesa militare dei 27 singoli Stati nella difesa equivale oggi a quella cinese. L’Unione è, però, un nano politico nello scacchiere mondiale, proprio perché non ha una politica estera comune. Quindi occorre spendere meglio, senza aumentare i singoli budget e procedere verso un disegno europeo comune. Aumentare il bilancio delle spese militari equivarrebbe oggi a consegnare a 27 esecutivi diversi più droni, aerei, carri armati e ordigni. Come li userebbero? Paradossalmente il riarmo Ue, ad oggi, rafforzerebbe la logica trumpiana. L’Ue è infatti il primo importatore al mondo di armi statunitensi, secondo l’ultimo rapporto del Sipri, istituto internazionale indipendente. Quindi gli Usa, che vorrebbero indebolire la Nato rinunciando alla difesa della Ue dopo 80 anni di alleanza, ci guadagnerebbero. Su queste colonne tempo fa Massimo Cacciari (in una serie di interviste sul futuro dell’Europa, ndr) invitava l’Ue a dotarsi di truppe europee con funzione difensiva e non offensiva, ma soprattutto in funzione di peacekeeping, cioè della interposizione tra belligeranti. Ad esempio in Ucraina.

L’aumento del budget militare significa poi tagliare la spesa sociale, sanitaria e per l’istruzione. Altro che fine delle illusioni, verrebbe messa in gioco la qualità della vita quotidiana degli europei. Un incremento della spesa militare sarebbe inutile se prima non migliorasse la governance europea eliminando ad esempio il metodo paralizzante delle decisioni all’unanimità, come rilevano tutti i rapporti e le analisi sull’organismo comunitario.

La stessa citazione di Von der Leyen, ieri, delle parole di Alcide de Gasperi sulla difesa comune pronunciate nel 1951 assume un senso diverso se letta in chiave europeista. Per De Gasperi se si procede «senza una volontà politica superiore vivificata da un organismo centrale, nel quale le volontà nazionali si incontrino, si precisino e si animino in una sintesi superiore, rischieremo che questa attività europea appaia, al confronto della vitalità nazionale particolare, senza calore, senza vita ideale». Parole attualissime. Allora si avvii il processo politico, chiedeva il cardinale Zuppi, presidente della Cei, lunedì scorso, proponendo di «investire nel cantiere dell’Europa che non sia un insieme di istituzioni lontane, ma madre della speranza di un futuro umano che non rinunci mai a investire nel dialogo come metodo per risolvere i conflitti, per non lasciare che prevalga la logica delle armi, per non consentire che prenda piede la narrazione dell’inevitabilità della guerra».

Non è tardi per invertire la rotta. Un aumento del budget della difesa si finanzierebbe con il taglio alla cooperazione allo sviluppo che i governi stanno già riducendo sull’onda della pesantissima sforbiciata trumpiana ai fondi Usaid. Occorre invece che – come avviene nel Ministero degli Esteri italiano – politica estera e politica di cooperazione europea camminino insieme. Si sta aprendo un grande spazio: con il taglio di Usaid è venuto a mancare il 40% degli aiuti umanitari e per lo sviluppo. Spazio che può essere occupato dall’Unione europea, incentivando le politiche di cooperazione, lo sviluppo, la diplomazia senza agende coperte che miri alla condivisione e non alla predazione delle risorse. Non servono armi per esportare la via europea alla pace.





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