K-pop: il problema dei suicidi tra i teen idol

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Il K-pop è un mondo affascinante che negli ultimi anni ha conquistato l’intero globo raccogliendo milioni di fan anche in Occidente ed è stato raccontato più volte, in tanti modi diversi. Tra i content creator più famosi che raccontano la cultura della Corea del Sud – e non solo la sua musica -, c’è Seoul Mafia.

Nome “d’arte” di Marco Ferrara, Seoul Mafia è ospite di WadSay Waaad?!dopo aver lanciato il suo brand di skincare coreana – altro trend che ha conquistato numerosi Paesi anche in Europa – e spiega l’ossessione dei coreani per l’estetica e l’apparenza.

Ma l’ospitata di Seoul Mafia arriva nello stesso giorno di una triste notizia: Wheesung, star del K-pop, è stato trovato senza vita. Probabilmente si tratta di un suicidio, nonostante manchi ancora la conferma delle autorità, e la vicenda ha riacceso i riflettori sullo stato dell’industria musicale coreana, che anche Seoul Mafia e Wad commentano ai microfoni di Radio Deejay.

Seoul Mafia: “La Corea del Sud ha degli standard diversi, gli idol sono delle macchine”

Seoul Mafia spiega l’ossessione per l’estetica e il lato oscuro del K-pop

Ospite di Say Waaad?!, Seoul Mafia chiacchiera con Wad sulla cultura coreana e fa chiarezza su uno degli aspetti più trend arrivati anche in Occidente: la skincare. Il content creator spiega che l’ossessione per la skincare è più un’ossessione per l’estetica, in quanto gli standard della Corea del Sud sono molto diversi. E perché si dà così importanza proprio all’estetica facciale?

Facciale perché è quella che si vede. Hanno degli standard completamente diversi, anche il colore della pelle che deve essere chiaro perché più chiaro è, più vuol dire che non prendi il sole, quindi è una pelle più sana. In generale, quello che si vede deve essere perfetto.

Una cosa molto particolare in Corea è che sulla macchina investono tantissimo, si fanno il mutuo sulla macchina perché ci vai in giro quindi la gente ti vede. Della casa invece non gliene frega niente. Il mio capo prende le macchine in prestito quando andiamo agli eventi per fare scena, altrimenti pensano male.

Seoul Mafia vive da 13 anni in Corea, dove ha lavorato inizialmente anche come ballerino, e ha “rischiato” di diventare un idol – cioè come vengono definiti cantanti e performer con una forte presenza mediatica e un’immagine attentamente costruita per il pubblico. Tuttavia, ha abbandonato quella strada:

Sono scappato perché ho visto che era un mondo così, avrei dovuto recitare un ruolo troppo diverso da quello che ero io e secondo me il gioco non valeva la candela.

Con Wad si parla anche di K-pop e dell’industria musicale e dello spettacolo coreane alla luce della notizia del ritrovamento della star Wheesung. Seoul Mafia spiega quindi come funziona l’industria e perché molte star, negli anni, sono arrivate al suicidio:

Succede che sei una macchina. Quando sei al tuo top tutti ti amano e tutti ti adorano, quando incominci a essere un po’ meno rilevante… Wheesung è stato una colonna portante della musica RnB coreana, io ci ho lavorato un anno insieme quando facevo il ballerino, però poi c’è il peso di essere sempre così performante, perfetto. Non so di precisione cosa gli sia passato per la testa però sono abbastanza sicuro che uno dei motivi sia quello. Devi sempre performare a manetta e arriva inevitabilmente un punto in cui c’è il calo. Secondo me, nel suo caso era più quello.

È difficile tenere gli standard. L’idol – il cantante, ma anche l’attore – viene visto come un punto di riferimento e devi essere perfetto. Dal momento che tu devi fare da standard per la popolazione, non puoi permetterti errori. Una sigaretta è un grande errore. Vieni visto male. Ma anche per cose più normali per noi.

Il lato oscuro del K-pop e i teen idol

Dopo l’esplosione del K-pop anche oltre i confini nazionali grazie a gruppi come BTS e Blackpink, si è aperto l’interesse verso l’industria musicale coreana. Ma dietro la facciata scintillante, si è moltiplicata anche l’attenzione sul cosiddetto “lato oscuro” del K-pop, ovvero le condizioni in cui gli artisti devono lavorare e che in non pochi casi hanno portato a conseguenze estreme.

Il percorso per diventare una star del K-pop inizia prestissimo, a volte anche da bambini, con anni di allenamenti massacranti. Una volta entrati in un’agenzia si diventa “trainee”, sottoposti a prove costanti, diete rigide, orari folli e una disciplina ferrea. L’obiettivo non è solo imparare a cantare e ballare. A essere temprato è anche il carattere per essere perfetti in tutto, sempre pronti a impressionare e senza mai mostrare debolezze o commettere errori.

Di fatto, però, dopo anni di sacrifici non c’è nemmeno la certezza di debuttare in un gruppo K-pop – ancora più difficile salire alla ribalta da solista. Per chi ce la fa, poi, il sogno spesso si trasforma in poco tempo in una prigione. Non a caso i contratti con le agenzie che seguono gli artisti K-pop, o idol, vengono comunemente chiamati “contratti da schiavitù”. I contratti possono legare gli idol alle agenzie per anni con clausole durissime.

Anche in fatto di guadagni gli idol non se la passano benissimo. Inizialmente guadagnano pochissimo perché gran parte dei ricavi va a coprire i costi della formazione, della promozione e del management: alcuni artisti sono rimasti indebitati per anni prima di iniziare a guadagnare.

Gli idol devono inoltre rispettare standard di bellezza rigidissimi. Il K-pop è anche estetica e perfezione che, unite all’ossessione per l’immagine della cultura coreana, spesso sfociano in diete esteme o chirurgia plastica. Gli artisti devono fornire uno standard da seguire per i fan e la popolazione, perciò anche essere leggermente “fuori forma” è un problema.

La pressione delle critiche e il rischio di perdere il lavoro spesso portano ad ansia, depressione e disturbi alimentari che, tuttavia, non vengono trattati (o nemmeno presi sul serio). Nel K-pop, almeno nell’immagine data al pubblico, non c’è spazio per la fragilità. Gli idol devono essere sempre sorridenti, sempre disponibili e impeccabili.

Come anche molti documentari hanno messo in luce – da K-pop Idols su Apple Tv+ alla video inchiesta della BBC Burning Suns – il K-pop è un’industria che di fatto non si ferma mai. Si potrebbe paragonare a una catena di montaggio che crea nuovi gruppi in continuazione, pronta a sostituire senza battere ciglio chiunque non regga il ritmo. Se un’artista non funziona più, ce n’è sempre un altro pronto a prendere il suo posto.

La competizione spietata tra idol – unita alle pressioni di un’industria musicale che funziona come un tritacarne in cui gli idol sono più prodotti, macchine, che esseri umani – ha portato nei casi più estremi anche a suicidi. Come si suppone per Wheesung, e come è accaduto per molti altri prima di lui.

Il problema dei suicidi dei teen idol nel K-pop

L’industria del K-pop è ormai conosciuta per spingere gli idol fino al limite, imponendo ritmi insostenibili, aspettative spesso definite “disumane” e una pressione costante a essere perfetti. E purtroppo, a volte, le ombre dietro le luci accecanti del palcoscenico ha portato diversi artisti a dire basta, quando il peso della fama si è trasformato in un fardello insostenibile.

Wheesung è solo l’ultimo in ordine cronologico. La morte della star del K-pop 43enne, trovato senza vita dalla madre, non è ancora stata confermata come suicidio. Ma lo sono state, invece, le morti di Kim Sae-ron, attrice di 24 anni, lo scorso 25 febbraio, e dell’attore attore Song Jae-rim, che si è tolto la vita il 12 novembre 2024.

Prima ancora, altre tragedie. Nel 2023 Moonbin, membro degli ASTRO, è stato trovato senza vita nella sua casa. Aveva 25 anni. Anche lui, come tanti altri, soffriva in silenzio, dietro un volto che per il pubblico doveva sempre essere luminoso e felice. Nello stesso anno, il 27 dicembre, l’attore Lee Sun-kyun, noto per il ruolo in Parasite, si è tolto la vita a 48 anni, schiacciato da uno scandalo e dalla pressione mediatica.

La lista non si ferma. Uno dei casi più eclatanti risale al 2017. Il 18 dicembre Kim Jonghyun, cantante dei SHINee, si è tolto la vita a soli 27 anni. Descritto come un artista incredibilmente talentuoso, con una voce straordinaria e una sensibilità unica, dietro il suo sorriso nascondeva in realtà un dolore profondo. Nella sua lettera d’addio parla di un vuoto incolmabile, di un dolore che nessuno sembrava davvero comprendere. “Sono distrutto dentro”, scriveva. E non era il solo.

Due anni dopo, nel 2019, il mondo del K-pop ha perso altre due stelle: Sulli e Goo Hara. Due giovani ragazze, amate dal pubblico ma perseguitate dai giudizi e dagli insulti. Sulli, ex membro delle f(x), aveva spesso parlato apertamente dei problemi della fama, dell’odio online, della difficoltà di essere una donna indipendente in un’industria che spesso soffoca la libertà individuale.

Il 14 ottobre 2019 è stata trovata morta nella sua casa. Poche settimane dopo, il 24 novembre, Goo Hara, ex membro delle Kara, ha seguito la stessa tragica strada. Aveva già tentato il suicidio qualche mese prima, ma era stata salvata. Questa volta, però, non c’era nessuno a fermarla. E si possono trovare altri casi simili andando ancora più a ritroso nel tempo.

Ormai non si tratta più di casi isolati. Anzi, le recenti morti dimostrano come i suicidi tra gli idol e gli attori più famosi siano sempre più frequenti. Grida d’aiuto che risuonano sempre più forti ma che sembrano essere ignorati dall’industria coreana. E mentre i fan piangono le perdite, mentre il mondo si commuove per ogni giovane talento spezzato, il sistema continua a girare, pronto a lanciare la prossima generazione di stelle forse destinate a bruciare troppo in fretta.



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