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La deducibilità fiscale degli interessi passivi rappresenta spesso una questione delicata per molti professionisti, ed è proprio su tale argomento che recentemente l’Agenzia delle Entrate ha fornito importanti chiarimenti, attraverso l’interpello n. 56/2025. In particolare, gli interessi pagati nell’ambito del cosiddetto “ravvedimento speciale” non possono essere considerati deducibili dal reddito derivante da attività di lavoro autonomo. La ragione è semplice: tali interessi nascono da un pagamento ritardato di tributi e non possiedono, pertanto, quella connessione funzionale alla produzione del reddito necessaria per godere del beneficio della deducibilità fiscale. Il recente interpello dell’Agenzia delle Entrate n. 56/2025 ha cristallizzato un principio rilevante per tutti i professionisti che si avvalgono del ravvedimento speciale: gli interessi versati per regolarizzare la propria posizione fiscale non possono essere dedotti dal reddito di lavoro autonomo. La motivazione si fonda sul principio di inerenza, cardine del sistema tributario italiano, secondo cui sono deducibili solo i costi funzionalmente connessi alla produzione del reddito professionale. Gli interessi derivanti dal ritardato pagamento delle imposte, considerati accessori all’obbligazione principale, ne seguono la natura e pertanto risultano fiscalmente irrilevanti ai fini della determinazione del reddito professionale. Una precisazione che richiede particolare attenzione nella pianificazione fiscale dei professionisti che hanno optato o intendono optare per questa forma di regolarizzazione.
Il caso concreto: la richiesta di chiarimenti all’Amministrazione finanziaria
La questione è emersa dal quesito di un professionista che, dopo aver presentato nel 2024 dichiarazioni integrative relative a precedenti periodi d’imposta avvalendosi del ravvedimento speciale, si è trovato a versare non solo le maggiori imposte dovute e la sanzione ridotta, ma anche gli interessi previsti dalla normativa. Il dubbio riguardava proprio la possibilità di considerare tali interessi come componenti negativi di reddito nella dichiarazione relativa all’anno del loro pagamento.
La risposta dell’Agenzia delle Entrate, contrariamente a quanto forse auspicato dal contribuente, ha negato categoricamente questa possibilità, offrendo un’analisi dettagliata dei principi che regolano la determinazione del reddito professionale e la deducibilità degli oneri finanziari.
Il quadro normativo di riferimento
Per comprendere appieno le motivazioni dell’Amministrazione finanziaria, occorre esaminare il contesto normativo all’interno del quale si inserisce la questione. Il punto di partenza è rappresentato dall’articolo 54, comma 1, del Testo Unico delle Imposte sui Redditi (TUIR), recentemente modificato dall’articolo 5, comma 1, lettera b) del D.Lgs. n. 192/2024.
La norma stabilisce che “il reddito derivante dall’esercizio di arti e professioni è costituito dalla differenza tra tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo percepiti nel periodo di imposta in relazione all’attività artistica o professionale e l’ammontare delle spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’attività, salvo quanto diversamente stabilito nel presente articolo e negli altri articoli del capo V…”.
Questo principio generale, che definisce il perimetro delle componenti reddituali rilevanti per i professionisti, va integrato con la disciplina specifica degli interessi moratori, che si applica anche agli interessi da ravvedimento. Tale disciplina è contenuta nell’articolo 13, comma 2, del D.Lgs. n. 472/1997, secondo cui gli interessi moratori sono dovuti al tasso legale, con maturazione giorno per giorno.
La Circolare n. 180/1998 ha precisato che questi interessi costituiscono una forma generalizzata di risarcimento del danno derivante dal ritardo nell’adempimento degli obblighi tributari, qualificandoli quindi come accessori rispetto all’obbligazione principale, cioè il pagamento del tributo.
La natura degli interessi da ravvedimento: moratori e accessori
Un elemento fondamentale dell’analisi dell’Agenzia riguarda la qualificazione degli interessi derivanti dal ravvedimento operoso come “interessi moratori”. Tale classificazione discende dal fatto che essi sono generati da un inadempimento del contribuente, nello specifico dal ritardato pagamento delle imposte.
Questa caratterizzazione ha importanti conseguenze sul piano fiscale: essendo accessori rispetto all’obbligazione principale (il pagamento del tributo), questi interessi ne seguono necessariamente il regime fiscale. Se le imposte non sono deducibili, anche gli interessi versati per il loro tardivo pagamento non potranno essere dedotti.
Il principio di accessorietà opera quindi come una sorta di “contagio fiscale”, trasmettendo l’indeducibilità dell’obbligazione principale (l’imposta) all’onere accessorio (gli interessi).
Il principio di inerenza come criterio discriminante
L’Agenzia delle Entrate, nella sua risposta, richiama un principio cardine del sistema tributario italiano: il principio di inerenza. In assenza di specifiche previsioni riguardanti il regime di deducibilità degli interessi passivi nel TUIR per i lavoratori autonomi, la loro rilevanza fiscale va valutata alla luce dei principi generali dell’articolo 54.
Per essere fiscalmente deducibili, le spese devono essere:
- Effettivamente sostenute nel periodo d’imposta,
- Debitamente documentate,
- Inerenti all’esercizio dell’attività professionale.
Come precisato dalla Circolare n. 55/2002 e dalla Risoluzione n. 30/2006, le spese relative all’attività professionale sono quelle sostenute per l’esercizio dell’attività stessa o per l’acquisto di beni da cui derivano compensi che contribuiscono alla formazione del reddito professionale.
È quindi essenziale l’esistenza di una connessione funzionale, anche indiretta, tra i costi sostenuti e la produzione dei compensi che concorrono a determinare il reddito da lavoro autonomo.
Quali interessi sono deducibili per i professionisti?
Per chiarire ulteriormente la questione, l’Agenzia richiama le istruzioni per la compilazione del rigo RE13 del modello Redditi 2024 PF, che considerano deducibili dal reddito di lavoro autonomo, in quanto inerenti, solo gli interessi passivi sostenuti nel periodo d’imposta per:
- Finanziamenti relativi all’attività artistica o professionale,
- Acquisto dell’immobile strumentale,
- Dilazione nei pagamenti di beni acquistati per l’esercizio dell’arte o professione.
Si tratta, come si può notare, di oneri finanziari che presentano tutti una chiara connessione con l’attività professionale e la produzione di reddito.
Perché gli interessi da ravvedimento non sono deducibili
Alla luce di quanto esposto, gli interessi moratori versati avvalendosi del ravvedimento speciale presentano caratteristiche che li escludono dal novero delle spese deducibili.
L’Agenzia evidenzia che tali interessi non possono essere considerati inerenti nel senso indicato dalla normativa e dalla prassi sopra menzionata, in quanto derivano dal ritardato pagamento di imposte che, per loro natura, non sono costi connessi funzionalmente alla produzione del reddito di lavoro autonomo.
In altre parole, mentre un finanziamento per l’acquisto di strumentazione professionale ha una chiara connessione con l’attività produttiva di reddito, il pagamento tardivo di imposte (e i relativi interessi) non contribuisce in alcun modo alla generazione di compensi professionali.
La ratio della posizione dell’Amministrazione finanziaria
La posizione dell’Agenzia delle Entrate appare coerente con i principi generali del sistema tributario italiano. Ammettere la deducibilità degli interessi da ravvedimento comporterebbe, infatti, un’attenuazione dell’onere complessivo della regolarizzazione, riducendo parzialmente l’effetto deterrente rispetto all’inadempimento originario.
Inoltre, considerando che le imposte oggetto di ravvedimento non sono esse stesse deducibili (ad eccezione dell’IRAP, nei limiti previsti dalla normativa), risulta logico che anche gli oneri accessori seguano lo stesso trattamento fiscale.
In sintesi
IN SINTESI Qual è il chiarimento fornito dall’Agenzia delle Entrate con l’interpello n. 56/2025? Gli interessi versati per regolarizzare la propria posizione fiscale tramite il ravvedimento speciale non sono deducibili dal reddito professionale. Per quale ragione gli interessi da ravvedimento non sono deducibili? Perché derivano dal ritardo nel pagamento delle imposte, non possiedono una connessione funzionale con la produzione del reddito professionale e sono accessori ad obbligazioni tributarie non deducibili. Qual è il principio normativo alla base di questa decisione? È il principio di inerenza stabilito dall’articolo 54 del TUIR, secondo cui sono deducibili solo le spese direttamente connesse alla produzione del reddito professionale. Quali interessi risultano invece deducibili per i professionisti? Sono deducibili solo gli interessi passivi relativi a finanziamenti professionali, acquisto di beni strumentali o dilazioni di pagamento legate all’attività professionale. Quale esempio pratico chiarisce la posizione dell’Agenzia? Nel caso di un avvocato che acquista a rate un computer per la propria attività, gli interessi sono deducibili; al contrario, gli interessi versati con il ravvedimento speciale per il ritardo nel pagamento delle imposte non lo sono. Qual è la logica dell’Amministrazione finanziaria nel negare la deducibilità? Evitare che la deduzione fiscale riduca l’effetto deterrente rispetto al ritardo nell’adempimento tributario e mantenere coerenza con l’indeducibilità delle imposte stesse. |
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