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Alla vigilia delle gare di La Thuile, praticamente casa sua, su una pista, la 3 Franco Berthod, che ama come nessuna altra, Federica Brignone, in testa alla classifica generale di Coppa del Mondo a sette gare dal termine, si apre su svariati argomenti intervenendo a Salotto Bianco, condotto da Dario Puppo e Massimiliano Ambesi, voci storiche di Eurosport/Discovery+. Ecco i pensieri più interessanti:
LA THUILE – «A La Thuile avevo le ginocchia che mi tremavano, in passato. Essere qui a casa, su una pista tosta, davanti a miei amici, alla gente che viene qui per vedermi, è qualcosa che mi emoziona sempre tanto e… mi stressa anche tanto. Qualcosa di molto forte».
RICORDI LA THUILE – «E’ la prima volta dove sono andata a punti in discesa, dove mi sono sentita bene in discesa e dove ho iniziato di fatto la mia carriera in discesa. Da lì poi ne ho fatta sempre di più. Anche in superG ho ottenuto uno dei miei migliori risultati in quegli anni lì, diciamo che da fine 2015 ho iniziato a fare questa specialità a tempo pieno in Coppa del Mondo. Poi nel 2020 c’è stata la conquista della coppa di combinata con l’annullamento della gara specifica e… il centesimo di troppo in superG dietro Nina Ortlieb, che mi è invece costato la coppa di specialità. Io adoro questa pista, per la velocità è la mia preferita. Però la “sento” tanto, è qualcosa di particolare, per una come me che si emoziona,che patisce queste situazioni. Va detto che quest’anno sono riuscita a sconfiggere molti miei tabù».
COPPA DEL MONDO – «Io tengo i miei piedi ben piantati per terra, voglio solo provare, sciare come so. Poi quello che succederà, succederà. Le coppe di specialità? E’ una sfida impossibile quella di vincerle tutte tra discesa, superG e gigante, ma sono anche le sfide belle, queste. Nulla vieta di provarci fino in fondo. Qualcosa è cambiato in questa stagione, sì. Ho iniziato molto bene vincendo a Sölden, vero, ma già a Beaver Creek, dove in prova ero tra le prime e ho fatto dei settori veramente veloci, non è andata come avrei voluto, in gara. Non ero io, mi sentivo completamente bloccata. Tecnicamente sempre solida, ma ero rigida, non facevo scorrere lo sci e per questo ero molto arrabbiata. Insomma, nelle prime gare non ero poi così contenta. Dopo invece ho trovato tanta continuità, come mai prima, e la cosa incredibile è riuscire praticamente in tutte le gare a mostrare il mio miglior sci: ecco, questo è veramente speciale. Rendere facile una cosa così è difficile, credetemi. Si tratta di un percorso molto difficile e lungo. Limite? Io in realtà scio sotto controllo da sempre; certo, do il 100%, ma so qual è il mio limite e vado al mio limite. Non di più. Io sto sciando in gara come in allenamento, già da questa estate, chiedete pure alle mie compagne. Non sto facendo qualcosa in più, ecco. Sto facendo esattamente quella cosa lì, già dall’Argentina. Certo, più lo fai in allenamento più puoi riprodurlo in gara. Sulla neve primaverile ho dei materiali che lavorano benissimo e adesso sì mi piace, da qualche anno mi ci trovo a mio agio. Prima però non era così, da giovane facevo fatica anch’io su questo tipo di neve».
TOP STAGIONALE – «I Mondiali sono stati il mio top stagionale, sia in superG sia in gigante. In superG ho fatto quasi la manche perfetta, in un superG dove normalmente non faccio così tanto la differenza. In gigante ho realizzato due manche davvero buone a Saalbach, in quel contesto lì. Essere prima a metà gara in un rassegna iridata, con distacco, è difficile da gestire. Io non sapevo niente della manche di Robinson, perché non voglio sapere mai niente. Al massimo guardo le primissime a partire e poi stop. Anche perché potrebbe condizionarmi troppo. Se avessi saputo della prova di Robinson forse avrei cercato di staffare, di andare oltre il limite. Quindi preferisco non sapere nulla».
LAVORO SULLA SCORREVOLEZZA – «Un lavoro di anni e anni. Intanto devo ringraziare il mio skiman Mauro Sbardelotto che ha creduto in me in velocità, mi diceva “guarda che sei brava, hai intermedi buoni”, ed era vero, anche in discesa avevo dei parziali buoni. Poi l’esperienza certo ti aiuta, come il fatto di farne tante, le piste più o meno sono sempre le stesse e alla fine le conosci a memoria. E poi capire come fare velocità in alcuni tratti: io ero sempre troppo aggressiva, pur facendo sugli sci una curva in 3 metri, ma, ripeto, con tanta aggressività. Sulla tecnica ho lavorato tantissimo assieme a Davide, mio fratello, con l’idea di distribuire di più il carico. Io davo delle calcate molto potenti e quanto ti costa? Quanto freni con quelle calcate? Tanto. Ho provato anche a essere passiva, ma non funzionava. La realtà è che devi distribuire tutto il carico, ed essere molto più presente sugli sci. Serve anche l’atteggiamento prima di tutto, sia chiaro, se non ti va di buttarti in discesa allora meglio lasciare perdere, ma quello non mi è mai mancato. Bisognava però essere più morbidi, ecco. Essere troppo incisivi sulle neve, soprattutto quella aggressiva, ti frena tantissimo. Ci ho lavorato fino allo sfinimento, anche con dei movimenti: appiattire il prima possibile, distribuire tutto il carico, cercare di non essere così incisiva, ma al contempo essere sempre attiva. Perché se sei passiva ti lasci solo portare. Negli ultimi anni è diventata anche una sfida personale perché vedo che ero lì, salivo sul podio magari, pur non vincendo ancora in discesa. L’idea di vincere in più specialità era da sempre un sogno per me. E alla fine la voglia di imporsi anche in discesa mi ha spronato a lavorare ancora di più».

PRESSIONE – «Io sono emotiva, patisco un po’ le aspettative su di me. Essere praticamente a casa per me, come a La Thuile, vuol dire che sarà ancora più difficile, perché a maggior ragione non vuoi sbagliare proprio davanti ad amici, parenti. Il nostro sport poi è uno dei pochi dove non c’è ripetitività. La gara è adattabilità. Io faccio ricognizione alle 8, alle 8.30 del mattino per dire. La gara è due ore dopo e nel frattempo è già completamente cambiata la neve. E ti devi adattare in quel momento lì. In questo sport la regola numero uno è l’adattamento».
FUTURO – «Quando ho saputo dei Mondiali a Crans Montana ho detto “Ma non potevate metterli prima”? E’ la località dove ho ottenuto più podi in carriera! Ci sarò nel 2027? Non lo so. Ho già sbagliato un anno quando mi sono detta “questa è la mia ultima stagione”, e alla fine non l’avevo vissuta bene. Sono arrivata a fine annata e per fortuna ho capito che non avevo finito con questo sport. Ho deciso di continuare e ha deciso che non mi sarei più messa una linea d’arrivo. Io smetterò il giorno che non me la sentirò più, non sarò motivata per migliorarmi e non mi divertirò. Se non ci sono queste tre condizioni, soprattutto la seconda, non si può andare avanti. L’estate è tosta, devo lavorare tanto e il mio corpo quest’inverno un po’ di fastidi me li ha creati. Io lavoro tanto, mi piace farlo, però ogni anno diventa più difficile quella parte lì, estiva. Tu sei un’atleta 24 ore su 24».
BAMBINI – «Io ho vissuto un’infanzia veramente felice, tornerei subito indietro per rifare tutto quello che abbiamo fatto e per quanto ci siamo divertiti. Non tornerei per fare tutti i pali che fanno oggi, purtroppo. Per me è stato veramente un divertimento. Mi piacerebbe lavorare con i bambini in futuro, sì, ma con un progetto più ampio. E poi lo farei a modo mio e so che al momento non si potrebbe fare così come piace a me. Bisognerebbe cambiare troppe cose».
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