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“È il tempo della pace da strappare con la forza”, tuona von der Leyen. Dal Pd voto contrario, tra le proteste dei big. E la Lega si sfila da Fi e FdI
Di fronte al Parlamento europeo la presidente von der Leyen procede a passo di panzer. Non concede alcuna sfumatura alle critiche rivolte al suo Piano di riarmo, neppure se provengono da chi è deciso comunque a sostenerlo come il Pse (tranne la delegazione italiana, cioè il Pd) o il governo di Roma. L’“illusione della pace” è arrivata al capolinea. Alle frontiere preme un “vicino ostile” del quale non ci si può fidare. Partendo da una citazione di Alcide De Gasperi conclude che “è il momento per raggiungere la pace attraverso la forza”. Nessuno spazio per la richiesta di cambiare nome al progetto, per non focalizzare tutto solo sulle armi ma coinvolgere l’intero comparto della Difesa, incluse ricerca e infrastrutture. Ursula è in versione superbellica.
Di fronte all’aula di Strasburgo i 5S, capitanati da Conte manifestano e bersagliano il Riarmo, a loro volta senza lasciare alcuno spazio alla mediazione: “Von der Leyen e i governanti europei ci portano a un’economia di guerra che non serve e si assumono il rischio di una prospettiva di guerra”. Ma per Elly l’avvocato del Popolo ha solo miele. Certo i 5S confermano il no alla manifestazione del 15 marzo, anche se Serra si sbraccia per assicurare che non si tratta di un sostegno al piano, che anzi “cozza con i valori fondanti dell’Europa”. Resta “ambiguo” ma nessun problema con il Pd che andrà in piazza: “La posizione di Schlein sul no al riarmo è stata chiara e ne prendiamo atto”.
I problemi, però, Elly ce li ha in casa e sono grossi. Uno dopo l’altro i padri storici del Pd sono usciti allo scoperto, ciascuno col suo differente stile, per bersagliare Elly Schlein e la sua scelta di schierare il partito contro il piano europeo di riarmo. Dopo Gentiloni e Prodi, drastici e tassativi, è stato il turno di Walter Veltroni, il primo segretario del partito. Ospite nel salotto tv di Lilli Gruber è stato, come nel suo stile, bonario e affabile nelle forme, ferreo nei contenuti. Nessun anatema e sia chiaro che la segretaria non si tocca. Però deve cambiare posizione perché al riarmo europeo non si può dire no. Enrico Letta arriva ultimo, ma solo in ordine di tempo, e sceglie la sintesi: “In questo momento più che mai l’Europa deve essere unita. I leader hanno compiuto un passo importante per arrivare alla Difesa comune europea”.
Se si aggiungono al plotone il Pse e il capo dello Stato, che non dice ma fa capire al di là di ogni dubbio, Mario Draghi e Mario Monti, il quadro è completo e per quanto la segretaria sia certa di avere dalla sua parte il grosso degli elettori è un quadro preoccupante. La minoranza non esaspera i toni però non è un segnale di mitezza. È che i sostenitori del Piano sono convinti che alla fine la segretaria troverà modo per fare un passo indietro, più o meno mascherato, e preferiscono di gran lunga non portare la tensione all’estremo se non strettamente necessario. Ma se lo riterranno necessario invece lo faranno. Si aspettano, come molti nelle istituzioni, che Elly passi dal no secco “alla Conte e Fratoianni” a una più duttile richiesta di segnali che indichino la determinazione nel procedere verso una vera difesa comune. Ma se invece la segretaria confermerà la posizione netta la rottura sarà inevitabile.
Oggi il Parlamento europeo voterà una risoluzione presentata dal Ppe, dal Pse e dai Liberali sull’Ucraina ma nella quale si farà cenno anche al riarmo. La minoranza del Pd la voterà comunque. Gli altri probabilmente si asterranno, anche perché la delegazione più numerosa del Ppe non può votare contro una risoluzione dei Socialisti e Democratici, l’eurogruppo del Pse. Ma la settimana prossima, martedì al Senato e il giorno dopo alla Camera, ci saranno le comunicazioni della premier e alla fine il voto sulle mozioni. Se la segretaria non riuscirà nei prossimi giorni a domare l’opposizione interna la lacerazione emergerà in pieno e sarà lo sparo d’inizio per uno scontro interno al partito nel quale però le pressioni esterne saranno onnipresenti anche se non tutte alla luce del sole.
La sola consolazione per la segretaria è che la maggioranza ha problemi identici. La linea rigida di von der Leyen non aiuta neppure Giorgia che deve, proprio come la rivale del Pd, evitare un voto che nel Parlamento italiano veda la maggioranza spaccata. A Strasburgo, nel voto di oggi, la divisione salvo improbabili sorprese è certa: FdI e FI voteranno a favore della risoluzione, la Lega contro. Ma la divisione nell’europarlamento è molto più facilmente digeribile, per la destra, che nel Parlamento italiano, dove infatti non si è mai verificata. Ma evitare la frattura su un tema che non è possibile derubricare a questione particolare e specifica stavolta sarà davvero difficile.
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