un vitalizio anche alla moglie

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Il riconoscimento di «vittima del dovere» a un poliziotto, Vittorio Pirone, morto d’infarto quattro anni dopo il pensionamento. Un precedente che potrebbe prefigurare un gigantesco esborso per le casse dello stato, che diventa ancor di più un caso perché l’agente è un familiare acquisito del capo della Polizia di Stato, Vittorio Pisani.

Proprio Pisani, come ha rivelato Domani, ha avviato una pratica simile per sé, nel 2023 quando era vicedirettore dell’Aisi, l’agenzia dei servizi segreti interni, e poche settimane prima della sua nomina, a maggio dello stesso anno, a direttore della pubblica sicurezza.

L’istanza presentata da Pisani riguarda la rottura del polso, risalente al 1996, avvenuto durante un blitz anti camorra. L’iter è stato portato avanti quando era diventato capo della polizia. Ma ora emerge che quella non è l’unica pratica avviata da Pisani e congiunti.

L’ex numero due dell’intelligence italiana ha avuto già un’esperienza simile in famiglia, relativa alla legislazione sulle vittime del dovere, in questo caso con benefici previsti per gli eredi. La pratica ha riguardato Vincenzo Pirone, ex ispettore e suocero di Pisani, morto nel maggio 2002, quando ormai era già in pensione da quattro anni (dal 28 gennaio 1998).

Una vicenda lunga, articolata, quella che può raccontare Domani sulla base delle carte consultate, tra cui c’è una relazione firmata, nel 2010, da Pisani, all’epoca dirigente della questura di Napoli, nonostante il possibile conflitto di interessi. La battaglia si è conclusa nel 2020.

I familiari di Pirone, alla fine, hanno ottenuto i benefici previsti, elargizione una tantum e vitalizio, come congiunti di «vittima del dovere».

Generalmente viene riconosciuto a chi perde la vita, subisce ferite nel corso di operazioni di polizia o contrae malattie. Lo status garantisce un’elargizione una tantum di oltre 200mila euro, da suddividere tra gli eredi, più una pensione a vita superiore a 2mila euro al mese per ogni erede.

In questo caso la moglie di Pirone e due figli, tra cui Giulia Pirone, moglie di Pisani. Se il caso facesse scuola, aprirebbe alla possibilità per centinaia di agenti e familiari di presentare ricorsi e ottenere i benefici con un esborso milionario per le casse dello stato.

La storia

Facciamo un passo indietro. Pirone è stato ispettore superiore della polizia di stato nella squadra mobile di Napoli dal 1964 al 28 gennaio del 1998, quando festeggia la pensione alla fine di un’onorata carriera. Nel maggio 2002 muore per arresto cardiocircolatorio.

Nel 2009 parte la prima richiesta dei familiari: la moglie di Pirone e i due figli, tra cui la moglie di Vittorio Pisani, presentano la documentazione alla prefettura di Napoli per la richiesta di riconoscimento di «vittima del dovere». Il motivo – come si legge nella documentazione allegata – risiede nei numerosi compiti svolti da Pirone nella sua carriera.

Vengono citate le indagini in provincia di Verona «al fine di individuare i responsabili del sequestro di persona del generale americano James Lee Dozier» e le ripetute missioni in Calabria «per le indagini relative al sequestro a scopo di estorsione commesso in danno di Carlo De Feo».

Sono solo alcune delle decine di operazioni che avrebbero inciso sullo stato di salute dell’ex ispettore.

Secondo la famiglia di Pirone, le varie missioni elencate «devono ritenersi caratterizzate da particolari condizioni ambientali e operative». E, siccome c’era stato il via libera a una pensione privilegiata per «infermità riconosciuta dipendente da causa di servizio» (che prevede una piccola integrazione economica), è scattata l’istanza ulteriore per l’ottenimento dello status di vittima del dovere.

Il riconoscimento dà diritto a benefici molto più rilevanti, come una serie di esenzioni, tra cui i ticket sanitari e sgravi Irpef, più un assegno vitalizio e l’una tantum che consiste in 2mila euro (rivalutati al rialzo, quindi fino a un massimo di 2.800 euro) per ogni punto percentuale di invalidità. Nel caso di una persona deceduta, è pari al 100 per cento.

La possibilità, si legge sempre nella domanda della famiglia Pirone, sarebbe dettata dalle normative introdotte nella legge di Bilancio 2006 (intervenuta anche sui benefici per le vittime del terrorismo, e avrebbe ampliato le maglie sui beneficiari).

Torniamo alla vicenda di Pirone. Il 12 maggio 2010, il dirigente della questura di Napoli, Vittorio Pisani, firma una relazione sul percorso dell’ispettore, suo suocero. Domani ha chiesto a Pisani l’opportunità di quella relazione, visto lo stato di parentela, ma il capo della polizia non ha voluto rispondere a nessuna delle nostre domande.

La firma di Pisani

Nel documento, l’allora capo della squadra mobile di Napoli scriveva: «L’ispettore superiore Vincenzo Pirone è stato inquadrato […] in una delle due squadre della sezione omicidi, sequestri di persona e criminalità organizzata […], quindi deve ritenersi non sia chiaramente intervenuto sul luogo di commissione di tutti gli omicidi indicati (1.435, ndr) ma sicuramente per un numero consistente di essi».

E ancora: «Tali missioni e interventi sul territorio sono stati svolti dall’ispettore superiore Pirone in particolari condizioni ambientali e operative». Un documento che, come si vedrà in seguito, sarà citato nel ricorso della famiglia di Pirone e nella sentenza del giudice del lavoro.

Quella relazione, in un primo momento, non sortisce l’effetto sperato dalla famiglia. La richiesta, infatti, viene respinta, a maggio 2010, dal ministero dell’Interno.

«Sulla scorta del parere formulato a suo tempo dal Consiglio di stato, è da considerarsi vittima del dovere solo chi, con l’espletamento di un servizio particolarmente rischioso, […] subisca un incidente violento che ne determini la morte o il ferimento», si legge nel pronunciamento del prefetto di Napoli, Alessandro Pansa, successivamente diventato capo della polizia (dal 2013 al 2016).

Torniamo alla pratica Pirone e alla battaglia della famiglia che, nel marzo 2012, chiede al ministero dell’Interno una rivalutazione del caso allegando un’ampia documentazione della commissione medica. A ottobre 2012 c’è pure il rapporto informativo, firmato da Andrea Curtale, dirigente della questura di Napoli, per anni braccio destro di Pisani, con il quale ha condiviso numerosi arresti eccellenti.

Nel documento viene raccontato il contesto criminale in cui ha operato Pirone. «I luoghi in cui l’ispettore è stato inviato in missione […] sono caratterizzati da elevata densità criminale ed il maggiore rischio ambientale si accresce ulteriormente con riferimento a zone periferiche e suburbane ed alle zone campestri e montane».

Insomma, Pirone ha avuto a che fare con persone che «non sono criminali comuni», ma «pregiudicati, omertosi, pericolosi e […] spesso violenti», evidenzia Curtale. Tratteggiando il quadro che riguarda molti investigatori che operano in zone a rischio criminalità.

Il no del Viminale

Il dipartimento di Pubblica sicurezza del Viminale riesamina l’incartamento e respinge l’istanza perché «dall’esame degli atti non si evidenziano condizioni ambientali e operative di missione implicanti l’esistenza o il sopravvenire di circostanze straordinarie e fatti di servizio che abbiano esposto il dipendente a maggiori disagi o fatiche».

La valutazione è quella di un compito sicuramente rischioso, ma messo in conto da un ispettore di polizia. Il dipartimento del ministero dell’Interno conferma l’orientamento di sempre: lo status viene concesso ad agenti morti o feriti durante le varie operazioni.

La carriera di Pisani prosegue, nel frattempo nel 2019 diventa vicedirettore dell’Aisi, i servizi segreti interni, fortemente sponsorizzato da Matteo Salvini, vicepremier nel primo governo Conte. Parallelamente viene portato avanti il ricorso della famiglia Pirone che arriva al comitato di verifica delle cause di servizio del ministero dell’Economia per un parere.

La sentenza finale

Fatto sta che, dopo una serie di “no”, nel 2020 arriva il ribaltamento. Il tribunale del lavoro di Napoli accoglie il ricorso riconoscendo l’assegno vitalizio (sui 2mila euro) e un indennizzo una tantum (almeno di 200mila euro al netto della rivalutazione) da dividere tra gli eredi di Pirone.

Nella sentenza è espressamente citata la relazione di Pisani, risalente al maggio 2010, quando era dirigente della questura napoletana. Quella in cui erano evidenziate le «particolari condizioni ambientali e operative» che hanno riguardato il suocero.

Insomma, la questione si chiude con un nuovo pronunciamento arrivato quando Pisani è numero due all’Aisi in grande ascesa. Nonostante la lunga diatriba con il ministero, il ministero dell’Interno accetta il pronunciamento e non fa appello, evitando un testacoda imbarazzante.

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